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QUANDO UN ART DIRECTOR SI SCOPRE SCRITTORE: INTERVISTA A LUCA MASIA

PC Parlando del protagonista del suo nuovo romanzo, Il sarto di Picasso, Luca Masia dice: “È vero, la vita è strana: ci induce a seguire dei percorsi che passo dopo passo sembrano strade obbligate, quasi imposte dal destino. Ma poi ci si ferma a prendere fiato, ci si volta e si riguarda con gli occhi dell’esperienza la strada che si è percorsa. E ciò che vediamo è spesso la strada che avremmo voluto percorrere. Lo comprendiamo solo dopo, ma è così: il destino scrive per noi le storie che noi vogliamo scrivere. In realtà siamo noi che le dettiamo, magari inconsapevolmente; il destino le scrive soltanto.” (La bella intervista completa su booksblog)

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Avendolo conosciuto e stimato come art director in Young & Rubicam, ritrovarmi tra le mani il suo, bellissimo, libro mi emoziona, ma mi incuriosisce anche: siamo abituati a pensare che la creatività, almeno in ambito lavorativo, abbia una sua strada segnata, mentre la storia di Luca ci dimostra che ognuno di noi contiene delle piccole matriosche pronte a rivelarsi agli altri, per magari scoprire che la più piccola e nascosta è proprio la più preziosa.

A questo proposito Luca dice che il protagonista del libro, Michele Sapone, il sarto di Picasso, gli ha insegnato molto: innanzitutto a guardare in profondità dentro se stessi, scoprire il proprio talento e dedicarsi con fiducia alle proprie passioni. Il successo verrà dopo, ma se anche non dovesse venire, il fatto stesso di vivere con intensità, collezionando gli attimi della propria esistenza, sarebbe comunque un successo.

Gli abbiamo chiesto quindi qualche suggerimento per quei nostri lettori che, a qualsiasi età, stanno ancora cercando di capire qual è il loro talento e come trasformare una passione in un lavoro.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che vuole entrare nel mondo della comunicazione ma non sa ancora esattamente che strada prendere?

Intanto ti ringrazio per queste domande che mi permettono di ragionare sulle cose che faccio e che ho fatto per condividere con altri – soprattutto giovani – il senso di un percorso.

Una delle cose che ho imparato e di cui sono maggiormente convinto è che abbiamo tutti dei talenti nascosti e che dobbiamo imparare a riconoscerli. Heinrich Böll suggeriva di diventare “collezionisti di attimi”; ecco, capire cosa siamo realmente bravi a fare è un modo assai efficace per diventare collezionare di attimi.

A un giovane che desideri entrare nel mondo della comunicazione direi di leggere molto, studiare molto, ragionare molto su se stesso e confrontarsi molto con gli altri, ricercando le proprie particolari inclinazioni. E poi di buttarsi nel mondo, senza averne troppo timore: rispetto sì, ma non timore.

Se in cucina disponi degli ingredienti giusti per fare un buon piatto, anche se non hai la ricetta troverai il modo di combinarli bene.

Che cosa ti ha dato la tua esperienza come pubblicitario? Mi dicevi che con Aldo Colonetti pensavi di fare un corso allo Ied “dalla pubblicità al romanzo”, c’è quindi un percorso (virtuoso?) che può portare dalla “réclame” alla letteratura?

Un’altra delle cose che ho imparato è che la specializzazione in quanto tale non esiste; ogni cosa è sempre in collegamento con le altre. C’è molta letteratura nella réclame, così come c’è molta réclame nella letteratura, nel cinema, nella pittura, nella musica. Per réclame intendo quella particolare architettura del pensiero che è alla base della pubblicità, quella dialettica che ha la forza di convincere proponendo argomentazioni credibili e inattese.

Una buona pubblicità è come una finestra spalancata su paesaggi nuovi, così come un buon libro o un quadro. In questo senso il percorso che porta dalla réclame alla letteratura è meno lungo e tortuoso di quanto si possa immaginare.

Come hai capito che albergava dentro l’art director un copy writer, che è poi diventato scrittore?

Fin da ragazzo amavo la lettura e la scrittura. Dopo il liceo ho frequentato la Scuola Politecnica del Design di Nino Di Salvatore che mi ha avvicinato al mondo dell’arte, della grafica e quindi della comunicazione. Quando, poco dopo, ho vinto una borsa di studio dell’Assap e sono entrato in agenzia, per tutti ero un art director, ma io non avevo mai smesso né di leggere né di scrivere.

Ho sempre pensato alla campagna pubblicitaria come a qualcosa di complessivo: un corpo unico di immagine e testo generati da un art e un copy insieme, senza distinzioni. E questo senza citare il contributo essenziale di account, ricercatori e degli stessi clienti.

Poi, sempre in agenzia, ho avuto modo di frequentare alcuni corsi di cinema e di sceneggiatura che mi hanno stimolato a scrivere testi più lunghi e storie più articolate. La sceneggiatura mi è servita molto per avvicinare la dimensione del romanzo, di cui all’inizio avevo un po’ di timore (o forse, troppo rispetto).

Cosa puoi suggerire a dei giovani talenti che cercano faticosamente di entrare nel difficile mondo del lavoro?

Il talento è come il tempo per sant’Agostino: “se mi chiedi cos’è lo so, se mi chiedi di spiegarlo non lo so più”. Il talento non deve necessariamente essere spiegato, ma deve essere lasciato libero di esprimersi. In un colloquio di lavoro, ad esempio, è più efficace sorprendere che cercare di convincere delle proprie qualità.

D’altro canto, occorre mantenere il senso della misura e trasmettere un segnale preciso di quanto si potrà – una volta assunti – essere ben integrati nel team di lavoro rimanendo comunque delle individualità.

Quando mio nonno mi spiegava l’arte del fuoco, mi diceva che dovevo mettere i legni il più vicino possibile in modo che si toccassero il meno possibile.

Il talento è come il fuoco: i ceppi devono essere abbastanza vicini da passarsi la fiamma, ma non troppo da togliersi l’aria…

E a chi a 40 anni non si sente soddisfatto di quanto sta facendo?

Penso che sia la stessa cosa di quando di anni ne avevi venti: da un lato è più difficile perché pensi di aver perso del tempo e soffri l’assillo delle responsabilità, ma dall’altro è più facile perché hai un’esperienza che non avevi da ragazzo. Disponi di molte più informazioni per cercare il tuo talento e lasciarlo libero di esprimersi.

Il cammino è sempre quello: collezionare gli attimi della vita. Si può iniziare anche l’ultimo giorno, sarebbe comunque un bel finale.

E in un romanzo, il finale è importante quanto l’inizio.

Del Sarto di Picasso, SilvanaEditoriale, che ho iniziato solo ieri sera, posso per ora dirvi che ha un inizio magnetico come lo sguardo di Picasso e che la storia di questo artigiano, così abile nel suo  saper fare da mettersi allo stesso piano con il più grande artista del XX secolo, è una bellissima metafora dell’importanza di fare un lavoro che piace e per il quale si è, scusate il gioco di parole di bassa lega, tagliati. Che sono poi gli argomenti che amiamo trattare su questo blog.

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INTERVISTA A GIUSEPPE MASTROMATTEO, EXECUTIVE CREATIVE DIRECTOR DI OGILVY&MATHER

PC Ho conosciuto Giuseppe Mastromatteo quando era il giovanissimo assistente di Gianpietro Vigorelli in Young & Rubicam: non ci è rimasto molto perché Vigorelli se l’è portato via dopo poco più di un anno, quando ha aperto la D’Adda Lorenzini Vigorelli. Nonostante ciò mi è rimasto impresso come pochissimi altri perché era evidente da subito che avrebbe avuto grande successo, malgrado fosse tutt’altro che un aggressivo carrierista  (anzi si presentava, allora come adesso, con innata gentilezza ed educazione). Credo che il motivo di questa impressione, difficile da razionalizzare, sia proprio” la luce negli occhi” che, come ci dice Giuseppe, ha colpito Vigorelli al primo colloquio. Una luce che rispecchia un’energia interiore che non riesce a canalizzare tutta nella pubblicità, ma che si esprime anche nelle sue opere come fotografo e nell’attività di docente.

Giuseppe, nel frattempo, da giovane di talento è diventato direttore creativo di alcune tra le migliori agenzie italiane ed è stato anche direttore creativo con responsabilità mondiale sul marchio Jaguar alla EuroRSCG di New York, quindi gli abbiamo chiesto qualche utile consiglio per i giovani di talento con i quali viene a contatto e che assume nella sua funzione di direttore creativo.

Gli siamo particolarmente grati del tempo che ci ha dedicato perche in questi giorni è super impegnato nell’apertura della sua nuova mostra fotografica –  A LIQUID VISION –  che sarà alla Fondazione Forma per la Fotografia dal 2 al 14 ottobre.

Trampolinodilancio: Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare nel reparto creativo di Ogilvy&Mather?

Giuseppe Mastromatteo: E’ molto difficile spiegare cosa cercare, hai in mente un profilo, delle caratteristiche ma a volte incontri persone che ti sorprendono per ciò che non avevi pensato o immaginato potesse andare bene per il reparto creativo. Ultimamente abbiamo avuto un ragazzo che lavora molto con i video, è un video artista e lavorare con lui è stato molto stimolante.

Cercare un art o un copy oggi può significare chiudere delle porte a nuove figure che sono degli ibridi, nè art nè copy, ma sono persone che pensano in modo completamente diverso ed innovativo.

Un art director oggi non deve concentrarsi solo su stampa e affissioni che pur sono sempre importanti ma deve avere competenze più ampie, soprattutto di pensiero. Amo le persone piene di interessi e che mi raccontano cose che non so, amo i curiosi. E poi è molte volte la pancia a dirti se è la persona che stai cercando, è la persona che mi deve colpire e far pensare.

Trampolinodilancio: C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Giuseppe Mastromatteo: Quando lavoravo a New York in EuroRSCG, ho assunto una decina di persone per comporre il gruppo di lavoro che mi era stato chiesto di organizzare. Una di queste persone è un giovane californiano Austin, junior art director in una piccola agenzia di Los Angeles. In un anno è stato promosso prima a senior art poi a direttore creativo. Davvero impressionante per cultura, qualità della persona, capacità a soli 25 anni.

Trampolinodilancio: Un consiglio su come affrontare un colloquio di lavoro?

Giuseppe Mastromatteo: E’ come il primo appuntamento. Poi deve diventare una relazione. La chimica è un componente non pianificabile. O c’è oppure…

Trampolinodilancio: In quale settore del marketing e della comunicazione ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Giuseppe Mastromatteo: Mai come adesso c’è bisogno di giovani in ogni ambito, dalle agenzie alle piccole boutique.

Trampolinodilancio: Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione?

Giuseppe Mastromatteo: Stare qualche anno fuori dall’Italia.

Trampolinodilancio: Essendo tu così giovane (ricordo benissimo quando eri il garzone di bottega di Vigorelli!) ti farei anche una domanda che riservo alle interviste ai giovani che ce l’hanno fatta: perché pensi di essere stato scelto al tuo primo colloquio, cosa ha fatto la differenza?

Giuseppe Mastromatteo: La luce negli occhi, così racconta Vigorelli oggi.

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Regola n°1: imparare a comunicare

PC Parliamo, parliamo… Ma non sappiamo spiegarci bene, così si intitola l’articolo di Sabelli Fioretti sull’ultimo Io Donna, che giustamente evidenzia che nell’era della comunicazione nessuno insegna a comunicare.

Credo che l’attenzione al saper comunicare sia particolarmente necessaria per chi vuole lavorare o già lavora nel campo del marketing e della comunicazione.

Chi si presenta a un colloquio verrà anche valutato per come sa spiegare il suo portfolio o curriculum: la figura del genio creativo solitario non esiste, il lavoro nel marketing e nella comunicazione è essenzialmente un lavoro di team, dove le capacità dialettiche sono importantissime.

Saper argomentare la propria posizione, infatti, che si tratti di difendere una proposta creativa al cliente o un innovativo progetto di marketing ai venditori riuniti nel temuto sales meeting è uno di quegli elementi che faranno la differenza nella vostra carriera.

Sono molti i fattori che impediscono, soprattutto quando si è agli inizi, di essere chiari e di spiegarsi bene, provo a riassumerne alcuni:

1. Parlare prima di aver pensato a cosa dire

Questo rende lunghe e poco coerenti le argomentazioni, mentre soprattutto nelle riunioni è fondamentale la sintesi e la chiarezza

2. Aver paura di parlare in pubblico

Per molti è fonte di ansia e rende confuse le argomentazioni. Bisognerebbe abituarsi cominciando da giovani, non importa se parlate alla riunione dell’oratorio o all’open day della scuola, ma solo facendo pratica si riesce a vincere la vera e propria paralisi che assale molti quando devono parlare davanti a tante persone. Sul Secondo libro dell’ignoranza (di John Lloyd e John Mitchinson) regalato a mio figlio ma abbondantemente spulciato durante i pin nic montani si dice che la paura di parlare in pubblico è la prima paura per diffusione!

3. Non saper ascoltare

Spesso si prepara la propria argomentazione prima ancora di aver ascoltato quanto dice l’altro. Saper ascoltare è il miglior modo per imparare a comunicare. Se un account, ad esempio, riesce ad usare le stesse parole usate dal cliente per spiegare il proprio punto di vista avrà già il vantaggio di utilizzare un linguaggio condiviso. Ascoltare è un’arte che richiede concentrazione e attenzione, ma anche quando ci sono entrambi non sempre è facile capire cosa intende l’interlocutore e rispondere in modo appropriato. Recentemente, in una riunione nella quale si parlava di possibili product placement, un cliente mi spiegava che sarebbero stati interessati a trasmissioni tipo l’ispettore Coliandro (famosa – ho scoperto dopo – serie noir televisiva, che non avevo mai sentito nominare prima). Quando alla fine ho voluto riepilogare le opportunità e l’ho definita l’ispettore Coriandolo l’ilarità è stata generale.

4. Non conoscere bene quello di cui si parlerà

Forse ho avuto modo già di ricordare un motto Young & Rubicam, che mi ha ripetuto più volte Marco Lombardi prima delle riunioni importanti: rehearse, rehearse, rehearse. Provare, provare e provare ancora quello che si deve presentare. La sicurezza acquisita ci permetterà di comunicare in modo fluente e persuasivo.

Se avete altri suggerimenti spiccioli su come migliorare la propria arte oratoria nella vita lavorativa di tutti i giorni raccontateceli!

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INTERVISTA A LORENZO CEFIS – PARTNER ED EXECUTIVE PRODUCER DI FILMMASTER PRODUCTIONS

LORENZO CEFIS PARTNER ED EXECUTIVE PRODUCER DI FILMMASTER

PC Conosco Lorenzo da quando abbiamo vinto insieme la borsa di studio che Assocomunicazione (allora Assap) metteva in palio per selezionare 60 pubblicitari da tutta Italia e ci siamo quindi trovati, alle 9.00 di mattina, seduti sui divanetti di una Young & Rubicam deserta, perché tutti erano tornati  a notte fonda da un viaggio premio ad Agadir (300 persone! Erano gli anni d’oro della pubblicità).

Ricordo quando andavamo a Roma un paio di volte a settimana, e ci ritenevamo fortunati se riuscivamo a tornare con l’aereo delle 17 in partenza dal gate 17 (è lì che ho superato qualsiasi forma di superstizione). Sono stati tra gli anni più movimentati della mia vita, mentre penso rappresentino il periodo più tranquillo di quella di Lorenzo, che presto ha capito che la sua vocazione lo portava lontano dal lavoro di account e sicuramente più lontano di Roma.

Come executive producer ha avuto modo di girare il mondo per seguire lo shooting di alcuni tra gli spot più belli realizzati da case di produzione italiane. Un lavoro nel quale ha saputo mettere a frutto la sua invidiabile energia, l’indubbia abilità gestionale e quell’irresistibile charme con il quale riesce a far trasformare in agnellini i più ostici direttori creativi, registi e clienti.

Grazie alle sue capacità è presto diventato partner di BRW, ha poi fondato The Family insieme a Federico Brugia,  ed è infine approdato come partner in Film Master, la più grande casa di produzione italiana e una delle più importanti d’Europa, vincitrice di moltissimi premi per spot e film brevi, attiva anche nei nuovi canali di comunicazione. Un osservatorio privilegiato dal quale può darci degli utili consigli per chi volesse intraprendere una carriera nell’ambito della produzione pubblicitaria.

Trampolinodilancio: Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare in Filmmaster?

Lorenzo Cefis: Le caratteristiche principali che richiediamo in un candidato sono: curiosità, intraprendenza, assoluta padronanza della rete e di tutti i device dove vengono veicolati i contenuti, un’ottima conoscenza del mondo delle immagini in movimento in tutte le sue possibili declinazioni (cinema, tv, contenuti on line, music promo…) e degli autori e delle tecniche per produrli; l’esperienza sul campo e la tenacia sono qualità che verranno misurate una volta “a bordo”; una sola lingua oggigiorno non basta, sicché oltre all’inglese, che diamo per scontato, ci piacerebbe che il candidato sapesse comunicare anche in altro idioma. 

Trampolinodilancio: C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Lorenzo Cefis: Ovviamente sì e ne sono molto soddisfatto. Mi piace come, nonostante la realtà della mia società sia molto complessa, la persona in questione sia riuscita a inserirsi in modo organico e ritagliandosi il giusto spazio senza crisi di rigetto (da una parte o dall’altra!).

Trampolinodilancio: In quale settore del marketing ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Lorenzo Cefis: Ovviamente il mondo della rete è quello che prospetticamente offre maggiori opportunità di inserimento; lo spazio è grande e le occasioni molteplici, dalle applicazioni e la loro creatività , dalla produzione di contenuti di immagini in movimento a quella di blog o contest o quant’altro nel nuovo spirito redazionale la rete possa offrire. Purtroppo la moltitudine di offerte nasconde anche qualche possibile zona d’ombra e relativa incognita; molte strutture sono giovani e non organizzate e potrebbero essere foriere di delusioni e/o insidie.

Trampolinodilancio: Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione?

Lorenzo Cefis: Cercare, almeno nella fase iniziale di perseguire i propri sogni e le proprie ambizioni, cercando di non scendere a compromessi o mediazioni. Per quello c’è tempo!

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Le caratteristiche del collaboratore ideale per Marco Lombardi

PC Nell’intervista a Laura Biagini troviamo degli utili suggerimenti che il suo capo e mentore Marco Lombardi le ha trasferito  in questi anni. Aggiungo la massima “l’ottimo è nemico del meglio” che mi ha sempre ispirato e che ho a mia volta ripetuto spesso a collaboratori che aspettavano inutilmente che tutte le congiunture, anche astrali, fossero perfettamente allineate.

A questo punto ci incuriosiva conoscere il punto di vista di Marco Lombardi e capire dal suo punto di vista quali fossero le caratteristiche del collaboratore ideale. “Oltre alle ovvietà che tutti sappiamo con buon senso (le competenze hard e soft),” ci ha spiegato Lombardi “aggiungo il mio fattore: “il dimostrare di poter fare bene anche un altro lavoro, completamente diverso”. Sto parlando di carattere, di passioni non di hobby … Di ricchezze interiori: quale monotonia sterile sono lo zelo e la dedizione senza passione, anche contrastante con il comunicare per vendere (il mestiere mio). Cito tre casi, senza far nomi (se mi leggono, loro e pochi altri sanno).

Ho avuto la fortuna di avere tre collaboratori ora tutti e tre a capo del planning di tre agenzie diverse e grandi. Ovviamente bravi ma la differenza era che il primo poteva da qualsiasi sera fare lo chef di un gran ristorante; il secondo, avrebbe potuto entrare nella schiera di programmatori e autori di contenuti nello spettacolo; la terza, avrebbe sicura carriera nella danza, con fascino e classe.

La passione, la poliedricità….

Alla fine, rispondetemi: Con chi vorreste passare una vacanza? Con chi tiene l’agenda del viaggio o con chi riuscite ad avere saporita conversazione?

Volete fare comunicazione? Fate un altro mestiere!”

Aggiungo che solo una persona davvero in grado di ascoltare può capire quando le persone dalle quali è circondato hanno anche carattere e passione. Questo mi ha ricordato com’è scattata la scintilla tra Marco e me. Allora Marco era il temutissimo direttore generale di Young & Rubicam, e io ero riuscita a evitare ogni contatto diretto con lui fino a quando – avendo dato le dimissioni – mi ha convocato nel suo ufficio. Ero pronta a rifiutare aumenti e promozioni, che mi aveva già proposto il mio capo diretto, ma lui mi spiazzò non chiedendomi niente di inerente al lavoro, ma solo “cosa ti interessa di più nella vita”. Gli raccontai che durante il corso di marketing in Ied avevo capito che mi affascinavano sociologia e psicologia e che quindi alla sera studiavo per laurearmi in Scienze Politiche con indirizzo sociologico (ai tempi a Milano non c’erano né sociologia né psicologia). Mi disse allora che da sempre insegnava proprio quelle materie, e quindi mi propose un tema per la tesi allora davvero innovativo e sperimentale (l’uso della paura nella pubblicità sociale), mi diede del materiale di ricerca introvabile in Italia, mi fissò degli appuntamenti in tutta Europa con i responsabili governativi che si occupavano del tema e mi fece seguire in Young & Rubicam tutti i progetti di pubblicità sociale, come sua assistente, in modo da avere dei casi reali da aggiungere alla tesi: grazie a questa volontà di ascolto mi sono laureata con 110 e lode, ho fatto carriera nell’agenzia che amavo e ho trovato un amico.

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INTERVISTA A LAURA BIAGINI, STRATEGIC PLANNING DIRECTOR IN YOUNG & RUBICAM

PC  Se penso a quelli che ce l’hanno fatta mi viene in mente subito Laura Biagini, che ho conosciuto in Young & Rubicam quando era la giovanissima laureanda e stagista di Marco Lombardi, nel reparto planning e ricerche. E non solo perché ha fatto una bellissima carriera, che l’ha portata in pochi anni a dirigere quel reparto, ma perché ha sempre caparbiamente lottato per fare quello che le piaceva fare. Essendo bella e socievole, a più riprese le è stato proposto di lavorare nel reparto account, quasi che fosse sprecata a studiare marche e trend di mercato in una posizione che è più di back office. Laura ha sempre declinato con diplomazia e gentilezza, anche quando l’implicita minaccia era che così non avrebbe fatto carriera. Non è stato così e sono felice che sia riuscita a coniugare lavoro e passione.

Questa scelta le ha anche permesso di coniugare il lavoro in Young & Rubicam con lo  studio prima e la docenza poi in Iulm; una sinergia di interessi nata dall’incontro con Marco Lombardi, come ci ha raccontato  quando le abbiamo chiesto perché pensa di essere stata scelta al suo primo colloquio e che cosa ha fatto la differenza: “Quando mi sono presentata al mio primo colloquio di lavoro non pensavo che lo fosse. Mi spiego: ero andata a un ricevimento dal professore con cui stavo facendo un corso in università. Era un corso di pubblicità, tenuto da quello che ancora non avevo capito essere una delle maggiori autorità italiane sul planning strategico: la verità è che, nonostante il corso, non mi era proprio chiarissimo che cosa facesse un planner. In quell’occasione ricordo di averlo bombardato di domande. E con il senno di poi temo di averlo preso per sfinimento: a un certo punto credo che gli sia venuto in mente che era più semplice offrirmi uno stage. Di lì a qualche settimana sarebbe diventato, per molti anni a venire, il mio mentore in Young&Rubicam.”

Trampolinodilancio: “Cosa ti è servito di più nel primo anno di lavoro?”

Laura Biagini: “Il fatto di non avere paura di mostrare carattere, l’avere trovato il modo di dire la mia e di potere esprimere un parere anche di fronte a persone con molta più esperienza: soprattutto all’inizio credo che nessuno dall’altra parte si aspetti che una persona sappia trovare tutte le risposte giuste, bensì che sia propositivo nel provare quantomeno a cercarle, a volte addirittura anticipando le domande. Di certo è necessario che l’ambiente in cui ci si trova (quello che io ho sempre trovato in Y&R) favorisca questo atteggiamento. E se così non fosse beh, il mio invito è quello di cominciare subito a cercare altrove.”

Trampolinodilancio: “Cosa ti ha insegnato il tuo primo capo?”

Laura Biagini: “Tre cose:

1)“sbaglia solo chi fa” (riferito al fatto che fare errori è normale quando uno lavora e che trovare soluzioni agli errori fatti da noi o da altri fa parte del gioco)

2)”quando un aereo precipita l’unica persona che non va in panico è il pilota”(potrebbe essere un corollario di quello sopra: nella difficoltà l’importante è non rimanere passivi come farebbe un   “passeggero” bensì prendere il controllo di quello che sta accadendo, sforzandoci di gestire le cose anziché farsi travolgere)

3) “del maiale non si butta via niente” (riferito alla gran mole di lavoro che viene prodotta in un’agenzia pubblicitaria spesso apparentemente destinata ad essere cestinata, archiviata, inutilizzata ma che prima o poi, per qualche gara, per qualche cliente, per qualche richiesta urgente dell’internazionale o del tuo AD torna buona: ergo MAI svuotare completamente il cestino dei file cancellati!)”  

Trampolinodilancio: “Cosa ti ha insegnato il capo che consideri tuo mentore?”

Laura Biagini: “Che in un mestiere dove quello che conta è l’immagine bisogna sforzarsi di non essere superficiali: può sembrare un paradosso ma un’intuizione è valida non tanto quando è spiazzante e originale bensì quanto più è fondata su dati oggettivi.”

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“Wpp si apre” nella descrizione di una partecipante

Wpp si aprePC Agli inizi di Aprile, è stata realizzata – grazie alla caparbia volontà di Marco Lombardi (presidente di Young & Rubicam e docente in Iulm) –  la prima edizione di WPP SI APRE, un’iniziativa grazie alla quale 30 studenti della Iulm hanno potuto passare quattro giorni a contatto con chi dirige le principali agenzie che formano il colosso WPP in Italia. Abbiamo chiesto a una partecipante, Giulia Di Santo, che in seguito al workshop è stata scelta per realizzare uno stage in una delle agenzie con le quali era venuta a contatto, di aiutarci a spiegarvi le caratteristiche peculiari di questo progetto. Domani pubblicheremo invece un intervento Marco Lombardi che ci spiega perchè è nata l”iniziativa.

Trampolinodilancio:  Solo 30 studenti Iulm hanno potuto partecipare. Com’è avvenuta la selezione?

Giulia Di Santo: L’ufficio placement dell’università ha selezionato 30 studenti IULM iscritti all’ultimo anno di un Corso di Laurea triennale o magistrale, in base alla media dei voti. 

Trampolinodilancio:  Quali sono stati i contenuti delle giornate?

Dopo una prima presentazione generale del gruppo WPP, 18 aziende del gruppo, specializzate in rami diversi della comunicazione, si sono presentate attraverso la voce di figure di rilievo come CEO e manager di diverso profilo.

Le giornate erano suddivise per aree tematiche: advertising per la prima e, a seguire, PR e branding, Consumer Insight e centri media e infine digital.

Il Professor Lombardi, che ci ha accompagnato per l’intero percorso e al quale dobbiamo questa splendida iniziativa, ha condotto un momento di riflessione finale a chiusura dell’evento, durante il quale ci sono stati consegnati dei certificati di frequenza personali.

Ciascuna azienda ha dato la propria impronta alla presentazione, che sostanzialmente prevedeva una prima parte introduttiva circa la struttura interna, le attività e i principali strategic tools utilizzati, seguivano poi una serie di case history che ci hanno permesso di comprendere più da vicino come nasce e si sviluppa una campagna, e come si arrivi a soluzioni ed esiti sempre diversi, e il tutto secondo diversi punti di vista. A conclusione di ciascun incontro è stato dedicato un momento di scambio di riflessioni e preziosi consigli pratici su come affrontare l’ingresso nella realtà lavorativa del mondo della comunicazione nell’imminente futuro post-universitario, e naturalmente di contatti e consegna dei CV.

Sono quindi stati interventi formativi ed informativi allo stesso tempo, un’occasione unica di contatto concreto con la realtà lavorativa e con professionisti del settore.

Trampolinodilancio:  Quale o quali contributi ti hanno maggiormente colpito?

Giulia Di Santo: Quelli di United1861, tenuto da Gaetano De Marco (Strategic Planner), di Landor (Antonio Marazza, CEO), ed H-Art (Alberto Chiapponi, Media Director, col contributo del Direttore Creativo).

Sono tre agenzie appartenenti a mondi abbastanza diversi tra loro, ma tutti estremamente affascinanti, che si distinguono per forza creativa e fanno del cambiamento il loro metodo principe.

Di United mi hanno colpito in particolare la liquidità della struttura e dei processi, che sono pressoché inesistenti in quanto tali, e naturalmente le geniali soluzioni di advertising engage di cui tutti possiamo avere riscontro diretto attraverso le attività di IKEA e SKY in particolare.

La Landor si avvale di professionisti di altissimo livello e si fa carico di uno dei compiti più complessi e cruciali per la vita dei brand: la loro costruzione. A Landor dobbiamo la progettazione e la creazione di gran parte dei programmi di visual identity che conosciamo e ci sono ormai familiari, parliamo di circa 70 compagnie aeree (tra cui anche la nostra AlItalia), e di brand della portata di P&G, Pepsi o BlackBerry.

Di H-Art mi ha affascinato la natura giovane, avanguardista e il forte contatto con la natura.

Nata in H-Farm, “un incubatore di start-up tecnologiche che procura a persone comuni le condizioni materiali per realizzare le proprie idee, fornendo loro spazi e mezzi”, è oggi parte di GroupM ed ha i suoi headquarter in Italia a Ca’ Tron di Roncade, vicino a Venezia, completamente immersi nel verde.

Trampolinodilancio:  Quali sono stati i passi successivi al workshop?

Giulia Di Santo: Personalmente mi sono servita dei preziosi contatti che ci sono stati lasciati ed ho inviato alcuni CV.

Alcuni di noi, nei giorni immediatamente successivi, sono addirittura stati contattati da alcune agenzie per dei colloqui conoscitivi per un’eventuale proposta di stage.

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Marina Abramovic e il personal branding.

Marina Abramovic at the MoMA in 2010

Marina Abramovic at the MoMA in 2010 (Photo credit: Wikipedia)

PC Sabato scorso sono stata al Pac di Milano a vedere la performance di Marina Abramovic, approfittando dell’ultimo giorno nel quale era presente di persona (il cosiddetto metodo Abramovic verrà applicato dalle sue assistenti per altri due mesi).

Ne parlo oggi per riallacciarmi a quanto ha scritto Pier Luigi Vercesi nel suo editoriale su Sette del 29 Marzo. Il direttore riportava che tanti “nei giorni scorsi, a Milano, hanno sussurrato in privato – senza il coraggio di confessarlo in pubblico – che Marina Abramovic è un genio per la sua capacità di tenere in piedi, appoggiato su chissà cosa, un tale baraccone mediatico” e concludeva chiedendosi: “Si chiama arte o marketing?”

La mia opinione è che si tratti principalmente di personal branding. La Abramovic ha saputo creare una proposta diversa (non tanto nella performance di Milano, ma sicuramente in quelle che l’hanno resa più nota, fra le più recenti:  The artist is present al Moma), rilevante per una parte di appassionati di arte moderna alla ricerca di nuovi stimoli, ha poi saputo costruire la stima del suo pubblico, proponendo sempre nuove idee coerenti con il suo personalissimo approccio, e infine la familiarità, grazie anche alla persistenza di alcuni caratteri esteriori che la rendono sempre perfettamente riconoscibile: in particolare i lunghi capelli neri.

Diversità, rilevanza, stima e familiarità sono i 4 pilastri che costituiscono l’immagine di una marca nel modello BAV sviluppato a livello internazionale da Young & Rubicam. Un modello che misura il valore delle marche,  che proveremo a usare per definire le azioni più indicate per la costruzione del proprio personal branding o per il suo miglioramento.

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