QUANDO UN ART DIRECTOR SI SCOPRE SCRITTORE: INTERVISTA A LUCA MASIA

PC Parlando del protagonista del suo nuovo romanzo, Il sarto di Picasso, Luca Masia dice: “È vero, la vita è strana: ci induce a seguire dei percorsi che passo dopo passo sembrano strade obbligate, quasi imposte dal destino. Ma poi ci si ferma a prendere fiato, ci si volta e si riguarda con gli occhi dell’esperienza la strada che si è percorsa. E ciò che vediamo è spesso la strada che avremmo voluto percorrere. Lo comprendiamo solo dopo, ma è così: il destino scrive per noi le storie che noi vogliamo scrivere. In realtà siamo noi che le dettiamo, magari inconsapevolmente; il destino le scrive soltanto.” (La bella intervista completa su booksblog)

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Avendolo conosciuto e stimato come art director in Young & Rubicam, ritrovarmi tra le mani il suo, bellissimo, libro mi emoziona, ma mi incuriosisce anche: siamo abituati a pensare che la creatività, almeno in ambito lavorativo, abbia una sua strada segnata, mentre la storia di Luca ci dimostra che ognuno di noi contiene delle piccole matriosche pronte a rivelarsi agli altri, per magari scoprire che la più piccola e nascosta è proprio la più preziosa.

A questo proposito Luca dice che il protagonista del libro, Michele Sapone, il sarto di Picasso, gli ha insegnato molto: innanzitutto a guardare in profondità dentro se stessi, scoprire il proprio talento e dedicarsi con fiducia alle proprie passioni. Il successo verrà dopo, ma se anche non dovesse venire, il fatto stesso di vivere con intensità, collezionando gli attimi della propria esistenza, sarebbe comunque un successo.

Gli abbiamo chiesto quindi qualche suggerimento per quei nostri lettori che, a qualsiasi età, stanno ancora cercando di capire qual è il loro talento e come trasformare una passione in un lavoro.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che vuole entrare nel mondo della comunicazione ma non sa ancora esattamente che strada prendere?

Intanto ti ringrazio per queste domande che mi permettono di ragionare sulle cose che faccio e che ho fatto per condividere con altri – soprattutto giovani – il senso di un percorso.

Una delle cose che ho imparato e di cui sono maggiormente convinto è che abbiamo tutti dei talenti nascosti e che dobbiamo imparare a riconoscerli. Heinrich Böll suggeriva di diventare “collezionisti di attimi”; ecco, capire cosa siamo realmente bravi a fare è un modo assai efficace per diventare collezionare di attimi.

A un giovane che desideri entrare nel mondo della comunicazione direi di leggere molto, studiare molto, ragionare molto su se stesso e confrontarsi molto con gli altri, ricercando le proprie particolari inclinazioni. E poi di buttarsi nel mondo, senza averne troppo timore: rispetto sì, ma non timore.

Se in cucina disponi degli ingredienti giusti per fare un buon piatto, anche se non hai la ricetta troverai il modo di combinarli bene.

Che cosa ti ha dato la tua esperienza come pubblicitario? Mi dicevi che con Aldo Colonetti pensavi di fare un corso allo Ied “dalla pubblicità al romanzo”, c’è quindi un percorso (virtuoso?) che può portare dalla “réclame” alla letteratura?

Un’altra delle cose che ho imparato è che la specializzazione in quanto tale non esiste; ogni cosa è sempre in collegamento con le altre. C’è molta letteratura nella réclame, così come c’è molta réclame nella letteratura, nel cinema, nella pittura, nella musica. Per réclame intendo quella particolare architettura del pensiero che è alla base della pubblicità, quella dialettica che ha la forza di convincere proponendo argomentazioni credibili e inattese.

Una buona pubblicità è come una finestra spalancata su paesaggi nuovi, così come un buon libro o un quadro. In questo senso il percorso che porta dalla réclame alla letteratura è meno lungo e tortuoso di quanto si possa immaginare.

Come hai capito che albergava dentro l’art director un copy writer, che è poi diventato scrittore?

Fin da ragazzo amavo la lettura e la scrittura. Dopo il liceo ho frequentato la Scuola Politecnica del Design di Nino Di Salvatore che mi ha avvicinato al mondo dell’arte, della grafica e quindi della comunicazione. Quando, poco dopo, ho vinto una borsa di studio dell’Assap e sono entrato in agenzia, per tutti ero un art director, ma io non avevo mai smesso né di leggere né di scrivere.

Ho sempre pensato alla campagna pubblicitaria come a qualcosa di complessivo: un corpo unico di immagine e testo generati da un art e un copy insieme, senza distinzioni. E questo senza citare il contributo essenziale di account, ricercatori e degli stessi clienti.

Poi, sempre in agenzia, ho avuto modo di frequentare alcuni corsi di cinema e di sceneggiatura che mi hanno stimolato a scrivere testi più lunghi e storie più articolate. La sceneggiatura mi è servita molto per avvicinare la dimensione del romanzo, di cui all’inizio avevo un po’ di timore (o forse, troppo rispetto).

Cosa puoi suggerire a dei giovani talenti che cercano faticosamente di entrare nel difficile mondo del lavoro?

Il talento è come il tempo per sant’Agostino: “se mi chiedi cos’è lo so, se mi chiedi di spiegarlo non lo so più”. Il talento non deve necessariamente essere spiegato, ma deve essere lasciato libero di esprimersi. In un colloquio di lavoro, ad esempio, è più efficace sorprendere che cercare di convincere delle proprie qualità.

D’altro canto, occorre mantenere il senso della misura e trasmettere un segnale preciso di quanto si potrà – una volta assunti – essere ben integrati nel team di lavoro rimanendo comunque delle individualità.

Quando mio nonno mi spiegava l’arte del fuoco, mi diceva che dovevo mettere i legni il più vicino possibile in modo che si toccassero il meno possibile.

Il talento è come il fuoco: i ceppi devono essere abbastanza vicini da passarsi la fiamma, ma non troppo da togliersi l’aria…

E a chi a 40 anni non si sente soddisfatto di quanto sta facendo?

Penso che sia la stessa cosa di quando di anni ne avevi venti: da un lato è più difficile perché pensi di aver perso del tempo e soffri l’assillo delle responsabilità, ma dall’altro è più facile perché hai un’esperienza che non avevi da ragazzo. Disponi di molte più informazioni per cercare il tuo talento e lasciarlo libero di esprimersi.

Il cammino è sempre quello: collezionare gli attimi della vita. Si può iniziare anche l’ultimo giorno, sarebbe comunque un bel finale.

E in un romanzo, il finale è importante quanto l’inizio.

Del Sarto di Picasso, SilvanaEditoriale, che ho iniziato solo ieri sera, posso per ora dirvi che ha un inizio magnetico come lo sguardo di Picasso e che la storia di questo artigiano, così abile nel suo  saper fare da mettersi allo stesso piano con il più grande artista del XX secolo, è una bellissima metafora dell’importanza di fare un lavoro che piace e per il quale si è, scusate il gioco di parole di bassa lega, tagliati. Che sono poi gli argomenti che amiamo trattare su questo blog.

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2 thoughts on “QUANDO UN ART DIRECTOR SI SCOPRE SCRITTORE: INTERVISTA A LUCA MASIA

  1. Giulia Spada ha detto:

    Paola, potresti ringraziare da parte mia il Sig. Masia ?
    Da quarantenne novella (10 gg) la sua frase sul collezionare gli attimi della vita mi ha finalmente dato un motivo per rasserenarmi.

    "Mi piace"

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