PC Ieri ho ripassato la lezione che farò domani al Corso di Tecniche Pubblicitarie in Iulm: si chiama Tool Kit – cassetta degli attrezzi – ed è una carrellata di varie tattiche pubblicitarie che si possono usare quando si sviluppa una campagna. Come mi ha giustamente fatto notare Marco Lombardi sono delle “simulazioni”: il creativo conosce bene le caratteristiche del prodotto che deve pubblicizzare e prova diversi strumenti per cercare di individuare quello più efficace. Prova per esempio a portare il beneficio del prodotto alle sue conseguenze estreme: un reggiseno Wonderbra sostiene il seno talmente bene che i piedi di colei che lo indossa si abbronzeranno solo a metà.
Oppure prova a vedere cosa succede se usa un’iperbole volutamente estrema del benefit del prodotto: se un cerotto è davvero flessibile allora anche Hulk lo può usare, senza paura che nella trasformazione si strappi (a proposito, avete notato che nel classico fumetto le magliette che Hulk indossa si riducono in brandelli e spariscono lasciandolo a torso nudo, mentre i pantaloni si limitano a diventare corti e sbrindellati, ma continuano a coprire ciò che non si può mostrare? Miracoli del tessuto stretch?).
Mentre mi preparavo quindi a spiegare l’utilità di conoscere la cassetta degli attrezzi per capire che uno stesso prodotto può essere presentato in molti modi diversi mi sono ritrovata a pensare che anche a chi cerca lavoro può essere utile un’attività di simulazione guidata, che si tratti di un giovane che ancora deve trovare la sua strada o di un dirigente cinquantenne che si trova a doverla cercare nuovamente.
Questo perché il contesto nel quale da qualche anno viviamo ci costringe ad essere resilienti, cioè flessibili, agili, allenati, come spiega molto bene un articolo sul Corriere della Sera di sabato.
La resilienza è la capacità di un metallo o di una struttura di resistere a un urto improvviso senza spezzarsi. È quella qualità che alcuni esseri umani possiedono più di altri e permette per esempio ad Alex Zanardi di correre l’11 ottobre l’Ironman Hawaii insieme ai normodotati.
È un termine che sta velocemente diventando di moda (era una delle “parole del cibo” al Festival di Mantova del mese scorso, l’ha usata Obama per spiegare come gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi, Andrew Zolli ci ha scritto un saggio pubblicato da Rizzoli) perché esprime perfettamente un imperativo categorico di questi anni: la capacità di vedere la crisi come una sfida da superare e non come un ostacolo insormontabile.
Tornando alle simulazioni utili per vendere un prodotto, un disoccupato resiliente è quello che cerca alternative per vendere il prodotto se stesso, provando a vedere nel cambiamento una fase della vita lavorativa, non un fermo totale; è quello che prova, con flessibilità, a immaginarsi in un altro contesto; che cerca di figurarsi cosa succederebbe se un suo benefit secondario diventasse quello principale, come quando un hobby si trasforma in lavoro; in sintesi è quello che rimbalza dopo una caduta (resilio in latino significa proprio rimbalzare) e arriva di nuovo in una posizione che lo rende felice, anche se diversa dalla precedente.
Come sottolinea Anna Maria Testa, in un post uscito sul suo Nuovo e Utile e su Internazionale, in questa capacità di rafforzarsi superando delle difficoltà “c’entrano senso di identità, fiducia in se stessi, forti convinzioni, capacità di avere relazioni, di creare nuovi legami con altre persone e di solidarizzare, di condividere, di restare aperti, di coltivare l’ottimismo e di immaginare. Non a caso, la resilienza è una componente (e anche un dono) della creatività.”
Il che ci riporta alla lezione di martedì che spero quindi sia doppiamente utile ai miei studenti.