PB. Ora siamo in casa da un mese. La prima settimana la abbiamo passata pulendo con entusiasmo la cabina armadio, la seconda cucinando come una mamma napoletana alla vigilia di Natale e cantando sul balcone, la terza facendo ginnastica usando il barattolo del tonico al posto dei pesi e facendo aperitivi virtuali con le amiche, la quarta piangendo.
Escludendo i drammi veri, mi concentro su quello tutto relativo di chi ha visto la casa dolce casa trasformarsi in un mondo troppo piccolo e affollato.
La mia casa (è la dantesca legge del contrappasso) si è trasformata in un camper.
Il salotto è un open space in cui lavorano due esseri umani che fino a fine febbraio pensavano di essere compatibili (di come diversi lustri di matrimonio possano essere messi in discussione da 4 settimane di Smart Work). Quella bella voce profonda che ti faceva battere il cuore al telefono si è rivelata una frequenza baritonale incompatibile con le tue Skype call.
Le statistiche parlano chiaro: il virus non tratta allo stesso modo uomini e donne. Anche se non ti viene la febbre.
Lei, in smart, mantiene un minimo di dignità estetica e di ritmo circadiano (si lava al mattino, si trucca, si veste, si mette il rossetto e anche il profumo) anche perché i contatti con i colleghi e gli amici passano attraverso uno schermo e lei vorrebbe essere riconosciuta anche senza il nome sottopancia.
Lui, felice di essersi liberato di camicia e cravatta gira per casa in tuta e infradito (tanto al telefono non lo vedono), si nutre e si lava alla bisogna (doccia alle 3 pm, sacchetto dei pistacchi di fianco al PC all day long), porta giù la differenziata con garrula allegria (è una scusa per varcare la soglia del camper) e riserva al sacchetto dell’umido tenere espressioni (“ora andiamo a fare un giretto”, “dai che ti porto giù”) mentre annoda i manici compostabili e evade.
Due volte al giorno lo spazio lavoro si trasforma in sala da pranzo (o ristorante per il terzo esserino che divide l’unità di abitazione e che emerge dalla sua cameretta – trasformata in scuola on line – con fame primitiva): chiudi Pc, quaderni, astucci e parti in modalità cuoca. La tua scrivania si arricchisce di tovaglia e cibo. Ma tutto deve essere risistemato per le 14.15, quando riprende la modalità occhiali/computer.
Il pomeriggio, la scuola on line è finita, il tuo lavoro no. Tuo figlio, non abituato a sentire di giorno la tua voce, chiede consigli, abbracci, attenzione, che tu rimandi a sera (quando parte la seconda trasformazione del camper in palestra, sala giochi, lettino dello psicanalista). Lui intanto ti passa pizzini dal contenuto filosofico (mamma oggi fai la carbonara?).
La tata non viene da un mese. Tu instauri con la lavatrice una affettuosa relazione (forse anche le parli, come tuo marito chiacchiera con il sacchetto dell’umido) e spendi il sabato a ripassare bagni e pavimenti (prima, durante la vita normale, andavi in piscina e poi uscivi con le amiche), gestendo anche un inedito mal di schiena perché sicuramente sbagli i movimenti e avresti bisogno della tata on line, non del pilates su facebook.
In definitiva ci dobbiamo rassegnare, collettando i consigli di carcerati, astronauti, asceti per immaginare il camper come un luogo sopportabile.
Però, almeno, mettiamo a posto le parole: questo telelavoro non ha niente di smart. Non funziona neanche la stampante e lo sgabello della cucina è molto più scomodo della sedia ergonomica dell’ufficio. Quando vai a fare la spesa fai la coda come a Cuba e i ragazzi hanno nostalgia dei loro amici e persino della prof di matematica dal vivo. La retorica del “che bello stare a casa” ci ha convinto per i primi tre giorni e poi è subito suonata chioccia soprattutto quando risuona dal salotto dei vip (stonati pure loro e talmente simili a noi, sul divano, che era meglio non vederli) e la convivenza forzata non ci rende tutti più buoni, ma qualche volta ci fa dare di matto.
Per fortuna ci sono i libri, che ti fanno volare lontanissimo e in spazi immensi, e la primavera che si vede dalla finestra con l’aria pulita e silenziosa. E si, dai, anche gli altri abitanti del micro mondo che con le infradito ti ricordano che il mare esiste ed è là ad aspettarci: se solo il camper potesse per magia mettersi in moto e andare…