Archivio mensile:dicembre 2012

Da Mani Tese un appello a firmare per una buona causa e utili consigli per chi vuole lavorare nel no profit

PC Ci arriva da Mani Tese, la storica ong impegnata a combattere gli squilibri tra nord e sud del mondo, con la quale collaboro, un appello ad aiutarli nel rush finale della raccolta firme per la promozione della Dichiarazione Europea per la Sovranità Alimentare. Una dichiarazione che è il frutto del primo forum continentale sul tema svoltosi a Krems, in Austria, nell’agosto del 2011 (400 delegati da 34 paesi) e che contiene 6 richieste forti di cambiamento rispetto a tutte le politiche europee che regolano la produzione, la vendita e il consumo di cibo. (Firmare è facilissimo e velocissimo, basta andare a questo link: http://www.change.org/it/petizioni/sovranit%C3%A0-alimentare-in-europa-ora, fatelo tutti subito!)

Giosuè de Salvo capo area advocacy Mani Tese

Giosuè de Salvo capo area advocacy Mani Tese

Approfittiamo per porre a Giosuè De Salvo, capo area advocacy Mani Tese, alcune domande inerenti alle possibilità di lavoro nell’ambito del mondo no profit.

Quali prospettive si aprono per i giovani nell’ambito del no profit in questi anni di crisi?

Giosuè De Salvo: Guardandola in positivo, la crisi apre delle enormi prospettive per i giovani. Essendo una crisi di sistema, travolge larga parte delle convinzioni su cui si sono fondati i percorsi di carriera negli ultimi trent’anni e consente loro di essere più creativi che mai. Detto in altre parole, il fallimento del dogma “libera impresa in libero mercato = prosperità e benessere” fa sì che i giovani possano approcciare in modo innovativo i mestieri tradizionali e addirittura inventarsi nuovi mestieri basati su valori e visioni capaci di rimettere la dignità umana e la sostenibilità ambientale – i due grandi perdenti del così detto Finanzcapitalismo – al centro della loro esperienza di vita e di lavoro. Ebbene, questi valori e queste visioni sono la sostanza dell’impegno nel no profit.

Un giovane di talento che voglia lavorare nel no profit deve avere delle caratteristiche particolari? Quali?

Giosuè De Salvo: C’è no profit e no profit ovviamente. Per come la vedo io, dall’osservatorio Mani Tese, occorre essere dei professionisti appassionati. Professionisti della progettazione, della logistica, dell’amministrazione, della comunicazione. Appassionati del genere umano e di madre Terra. Non bisogna mai stancarsi di “camminare domandandosi” quali sono le cause più profonde dell’ingiustizia e come fare per porvi rimedio. E’ un lavoro che ti mette in discussione ogni giorno come persona e come specialista, che sfida la tua coerenza, che ti fa litigare in famiglia e con gli amici, che ti rende inviso agli indifferenti, che molto spesso è fonte di grandi rinunce materiali ma che proprio per questo ti rende vivo. Ecco, forse la dote più grande richiesta è una grande e inguaribile voglia di vivere!

Tornando al tema della Sovranità alimentare, ci spiega Giosuè che “ad oggi, siamo a quota 5.000 firme cartacee e quasi 2.000 on line. Se riusciremo a completare l’impresa entro il 31 dicembre 2012, porteremo la voce di 10.000 cittadini europei (una cifra non trascurabile!), tra gli altri, al sindaco Giuliano Pisapia e al futuro presidente della Regione Lombardia perché Milano e la Lombardia ospiteranno l’Esposizione Universale del 2015 che ha come temi portanti il diritto al cibo e la sostenibilità, ai Parlamentari Europei che stanno svolgendo il ruolo di relatori sulla riforma della PAC, la politica agricola comunitaria e ad altre figure chiave in ambito Unione Europea, fra chi si occupa di politiche del cibo. Ciò che ci muove è la ferma convinzione che “un cambiamento del nostro sistema alimentare sia un primo passo verso un cambiamento più ampio della nostra società!”.”

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Dimmi come scrivi e ti dirò chi sei

PC Conosco Alessandra Selmi da quando si è laureata a pieni voti  in Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo alla IULM di Milano. Alessandra ha subito deciso di provare la difficile strada della scrittura e ha esordito come redattore per le testate Vogue Sposa, Vogue Bambini, Matrimonio Perfetto e Kid’s Sport (in sostanza scriveva sul matrimonio e i suoi frutti).

Alessandra Selmi. Fotografia di Stefano Molaschi

Alessandra Selmi. Fotografia di Stefano Molaschi

Tra le sue diverse attività  la più divertente è sicuramente la collaborazione con il settimanale “Confidenze” per cui scrive storie vere, dietro pseudonimo.

Ma il suo contributo a trampolinodilancio nasce dal lavoro come editor freelance per  diverse case editrici, per cui si occupa di revisione dei testi e selezione dei manoscritti per la pubblicazione. Da fedele lettrice di trampolinodilancio ci ha infatti proposto un post sugli errori che più frequentemente si compiono quando si scrive in italiano, perché se è vero che è fondamentale sapere l’inglese bisogna innanzitutto scrivere in un irreprensibile italiano.  Ecco quindi i suoi consigli:

Alessandra Selmi: L’insegnamento della grammatica inizia sin da quando siamo bambini e prosegue lungo tutto l’iter formativo, fino a insinuarsi – come una maledizione, direbbero alcuni – nei corsi di studio che apparentemente nulla hanno a che spartire con “lo bello stile”, dalle scuole alberghiere agli istituti tecnici.

In alcuni, disperati casi, tanti anni di studio non sono sufficienti e spesso mi capita di imbattermi in scrittori, affermati o in erba, che disseminano i loro manoscritti di abominevoli errori. Sono tristemente numerosi anche gli aspiranti correttori che infarciscono i curricula di sviste più o meno gravi e, per contro, troppo pochi coloro che superano il test preliminare di grammatica.

E tuttavia la lingua italiana non è uno strumento d’uso obbligatorio solo per giornalisti, scrittori, editor e professori. Se non tutti sono nati romanzieri, chiunque è tenuto a padroneggiare le basi della grammatica, perché tutti, prima o poi, ci troviamo nella (spiacevole?) incombenza di scrivere qualcosa.

E quel che scriviamo, come lo scriviamo, ci qualifica per quello che siamo.

Inviare un’email punteggiata di refusi è come presentarsi a un colloquio con le unghie sporche: inquadra il candidato come una persona trasandata, disattenta, inaffidabile. Chi metterebbe il proprio reparto nelle mani di un professionista che non si prende nemmeno la briga di rileggere due righe prima di cliccare invio? E cosa pensereste del capo che prende uno stipendio tre volte superiore al vostro, ma verrebbe bocciato in quinta elementare?

Il medesimo discorso vale per tutte le occasioni in cui siete tenuti a scrivere qualcosa (salva, forse, la lista della spesa): che si tratti degli auguri di Natale per i vostri clienti, o del planning trimestrale, così come la presentazione in Power Point della tesi o la relazione per gli investitori, un errore grossolano può intaccare l’immagine professionale costruita in mesi di duro lavoro. E sappiate che vale anche per i social network, soprattutto se un cliente su cui volete fare colpo rientra tra i vostri contatti; nessuna scusante del tipo “Ero di fretta” o “Non se ne accorge nessuno”, né tanto meno “Su Facebook lo fanno tutti”. Iniziate a distinguervi per eleganza di stile nell’uso di accenti, apostrofi, troncamenti ed elisioni.

Il primo consiglio, dunque, è il seguente: rileggete, rileggete, rileggete.

Non fidatevi del correttore di Word, che è talvolta truffaldino. Fate affidamento, soprattutto, su un buon dizionario e su un vecchio, tradizionale testo di grammatica, in cui rifugiarvi ogni volta che un dubbio vi assale. Se non vi piace la carta, un sito attendibile è quello dell’Accademia della Crusca (www.accademiadellacrusca.it), che offre anche un interessante e utile servizio di risposta ai quesiti.

E soprattutto dubitate, dubitate moltissimo. Perché spesso si è convinti di sapere e non si sa, e perché la nostra lingua è ricca, affascinante e piena di insidie.

Eccone alcune in cui cadono anche i più esperti:

“Qual è” e “Qual era” vanno sempre senza apostrofo.

“Qualcun altro”, maschile, non ha mai l’apostrofo.

“Egli dà” vuole sempre l’accento, per distinguersi da (appunto) “da” preposizione semplice e “da’” con l’apostrofo, che è elisione di “dai” (seconda persona singolare dell’imperativo presente attivo del verbo dare: “Da’ una mano in cucina!”).

“Dì” con l’accento è sinonimo di giorno: “Sono stato a spasso tutto il dì”. “Di” senza nulla è preposizione semplice. “Di’” con l’apostrofo è l’imperativo del verbo dire: “Di’ la verità!”.

“Un’” con l’apostrofo si mette solo davanti a nomi femminili. “Un’arancia, un’eccezione, un’idea, un’ossessione, un’usuraia” e “Un amico, un esempio, un idiota, un orso, un uomo”.

“Sé” (con l’accento acuto) indica il pronome. “Se” la congiunzione.

“Né” (sempre con l’accento acuto) indica la congiunzione: “Non voglio né latte né limone”. “Ne” il pronome: “Non ne posso più”.

“Sì” con l’accento è l’avverbio affermativo: “Sì, lo voglio!”. “Si” è pronome: “Si viaggia a rilento”.

“La” articolo determinativo (“La casa è grande”). “Là”, con l’accento, avverbio di luogo: “Vieni di là”.

“Qui, quo, qua” l’accento non va, come ci insegnava la maestra. Non hanno mai l’accento: “Io so”, “Egli sa”, “Egli va”, “Egli sta”.

“Perché, poiché, nonché, giacché, allorché, finché” hanno sempre l’accento acuto.

 

Grazie Alessandra, un bel ripasso fa sicuramente bene a tutti noi!

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Ronald e le maestre del Connecticut

PB   In questo periodo in cui si parla molto di lavoro (della sua ricerca, della sua mancanza, della sua retribuzione, della sua dignità) un paio di casi – tra loro davvero disgiunti – mi hanno colpito.

Il primo è quello di Ronald, oscuro autista dello scuola bus di Abbiategrasso. Ronald recupera mio nipotino Francesco (anni sette) tutte le mattine e lo riporta a casa tutti i pomeriggi, da quando aveva tre anni: prima all’asilo, poi alle elementari.

In questi  quattro anni ha spesso aspettato mia sorella che correva da lontano sempre all’ultimo minuto, trascinandosi lo scompigliato figliolo come fosse una bandiera;  ha verificato al ritorno che avesse la cartella prima di scendere , che ci fosse qualcuno ad aspettarlo , e che quel qualcuno fosse un viso noto e non un brutto ceffo.

Ha dato il suo cellulare a tutte le mamme ansiotiche del quartiere e ogni mattina si trova al distributore di benzina – molto presto – con gli altri autisti per bere il caffè e fare due chiacchiere.

Ora è stato trasferito ad un altro servizio e già tutti rimpiangono  la sua efficienza, la sua affidabilità, la qualità del suo lavoro.

Il secondo è quello della maestra della scuola del Connecticut, dove qualche giorno fa un folle ha sparato.

Ho visto la foto della maestra che portava fuori, in piena sparatoria, i suoi alunni in fila indiana , con le mani l’uno sulle spalle dell’altro.

L’ordine in mezzo al disordine.

Il rispetto del ruolo, della forma, delle procedure di fronte alla follia.

La responsabilità e il coraggio di fronte alla violenza incontrollata.

Davvero il valore del lavoro è nel modo in cui lo si fa più che nel ruolo stampato sul biglietto da visita.

L’immagine di Ronald che verifica che tutto funzioni sul suo autobus e quella di quelle insegnanti che nell’insensatezza della tragedia trovavano il senso del loro lavoro mi riconcilia con il genere umano.

Forse mi commuovo perché è Natale, ma va la mia ammirazione (come agli orchestrali sul Titanic che hanno suonato fino alla fine) a tutti coloro che il proprio lavoro lo fanno bene, fino in fondo, nonostante tutto. Buon Natale

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IED E OGILVY & MATHER CERCANO NUOVI TALENTI BRAVI A RACCONTARE STORIE

PC Forse hai un talento e non lo sai…”. Esordiscono così i video virali pensati e realizzati da Ogilvy & Mather Advertising per reclutare studenti per il  corso di copywriting di Ied. Caricati su Youtube e subito condivisi da molti utenti, i tre video virali spiegano in modo divertente e coinvolgente che raccontare storie potrebbe diventare un lavoro.

Video virali per il corso Ied di copywriting

Video virali per il corso Ied di copywriting

Un progetto così innovativo ci ha incuriosito e abbiamo quindi chiesto a Ogilvy & Mather Advertising, dove hanno lavorato sul progetto i direttori creativi esecutivi Giuseppe Mastromatteo e Alessandro Sabini, con il contributo del copy Maurizio Rosazza Prin, e a Ied di raccontarci di più. Ci hanno risposto Alessandro Sabini per Ogilvy & Mather e Matteo Battiston, direttore Ied Comunicazione.

Com’è nata l’idea di presentare un nuovo corso attraverso uno strumento innovativo nell’ambito della formazione: la diffusione di video virali?

Alessandro Sabini: la scelta dei virali nasce per tanti buoni motivi: il primo, sicuramente di natura economica. Una scuola come IED, seppur una delle realtà più importanti a livello internazionale nella formazione di talenti creativi, non può certo permettersi una pianificazione televisiva per promuovere un solo corso. Ma soprattutto, per via del fatto che il target da raggiungere vive in rete: è lì che recupera tutti i contenuti e le informazioni più importanti per la propria vita. Dalla musica agli amici fino ad arrivare a tutto ciò che riguarda scuola, formazione e futuro.

In più, abbiamo usato un format che potesse valere sia come video virale, ma anche (e soprattutto) come activation sfruttando le reazioni vere, di ragazzi veri fermati per strada e messi nelle condizioni di dover fare appello alle proprie capacità creative e di storytelling. Proprio per dimostrare che la creatività è già dentro di noi. Basta saperla sfruttare.

Matteo Battiston: Trasformare la fine di una giornata nell’inizio di una nuova avventura. 

Questo è il concetto base da cui siamo partiti assieme ad Alessandro Sabini, Direttore Creativo di Ogilvy & Mather e coordinatore del corso. Molti ragazzi, magari già avviati alle loro professioni, nutrono passioni e curiosità o nascondono un talento che attende la giusta opportunità per essere messo in gioco. Dall’altro lato le agenzie di comunicazione – piccole, indipendenti, digitali oppure affermate e internazionali come quella diretta da Alessandro – sono alla continua ricerca di profili in grado di concepire e sviluppare messaggi e narrazioni adeguate a una frammentazione di pubblici e mezzi di comunicazione sempre più complessa.

In questo punto di incontro vive l’opportunità che vogliamo dare ai partecipanti del Boot Camp, un vero e proprio “campo di addestramento” dove teoria e pratica si accompagnano sempre. Un camp creativo che affronta tutti i temi e tutte le figure che ruotano attorno al mestiere di scrivere e pensare: advertising, web writing e concept thinking. Durante il Copywriting Boot camp si acquisiranno e si affileranno tutte le armi che servono al creativo: dalla comunicazione classica – tv, stampa, affissione e radio – alle nuove forme di comunicazione: web engaging, live activation, consumer experience.

I video virali che abbiamo sviluppato e si sono diffusi in rete sono un esempio di tutto questo, un vero teaser dei risultati che si potranno ottenere. 

L’idea è semplice: esiste un talento comunicativo che spesso teniamo nascosto o non sappiamo di avere, e quel talento ha un valore enorme. Cercavamo storie di tutti i giorni, dove ognuno di noi, in qualche modo si riconosce e immedesima. 

Poi, con Alessandro Sabini, il resto è venuto da sé: con guide così, le avventure sono più facili da intraprendere con coraggio. E anche più belle!

Quali prospettive si aprono per i giovani che seguiranno questo corso di copy writing, con una particolare enfasi sullo storytelling? 

Alessandro Sabini: Il corpo docenti è formato da una schiera di giovani docenti/professionisti. Alcuni tra i migliori nomi provenienti dall’advertising, il digital, il planning e anche clienti di brand internazionali. I temi trattati sono i più attuali e i profili che cercheremo di formare sono quelli che in futuro avranno più possibilità di entrare in questo difficile mercato del lavoro, quello della comunicazione. Ecco perché in classe non si parla di pubblicità, ma di storytelling, di creazione di contenuti, di integrazione e di futuro del digital. Poi, ovviamente, le prospettive di ciascuno studente dipenderà dalle capacità di ognuno di loro di sfruttare al meglio gli strumenti messi a disposizione. 

A questi link i video virali: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=b3ZBW8fHEZw

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INTERVISTA A GIUSEPPE MINOIA, PRESIDENTE DI GFK EURISKO

Giuseppe Minoia, presidente Eurisko

Giuseppe Minoia, presidente Eurisko

PC Abbiamo incontrato Giuseppe Minoia, membro del Board e Presidente Onorario di GfK Eurisko, al termine dell’interessante convegno su GLI ITALIANI E IL CIBO e abbiamo approfittato per chiedergli se dal suo osservatorio privilegiato (Eurisko GFK è  il più importante istituto operante in Italia nelle ricerche sul consumatore) è possibile individuare una via d’uscita alla crisi per i giovani che entrano nel mondo del lavoro.

Lei ha recentemente detto: “Siamo passati dalla certezze alle delusioni collettive. Oggi la precarietà è sotto gli occhi di tutti: un Paese incapace di fornire risposte”. Questo nei confronti dei giovani che cosa comporta?

Comporta una voglia di avere delle risposte che finora non hanno avuto, a qualsiasi costo, in una maniera quasi imprevedibile. Faccio un esempio: noi stiamo facendo settimanalmente delle indagini per Quotidiano in classe che è questa organizzazione che è sostenuta da molti editori della carta stampata e ogni settimana facciamo dei sondaggi. Ad esempio da questi sondaggi, fatti tutti su ragazzi delle superiori – quasi nessuno supera i 18 anni – questi ragazzi sembrano avere un atteggiamento molto più concreto e realistico dei trenta/quarantenni, rispetto all’atteggiamento che la ministra Fornero aveva chiamato choosy. Non vorrei che la ministra Fornero avesse sbagliato segmento!  E che pensasse a quelli di 30 anni e non tanto ai giovani che fanno il liceo e a quanto risulta dalle nostre ricerche sembrano veramente molto preoccupati già adesso di trovare uno sbocco professionale e a parole si dichiarano molto adattabili anche a soluzioni di tipo non necessariamente intellettuale e di alto livello e con caratteristiche esibitive.

E quindi quali consigli si sentirebbe di dare ai giovani che si affacciano sul mondo del lavoro?

Prima di tutto, mi piacerebbe che nelle scuole, cominciando dalle scuole superiori, si parlasse di più di lavoro, se n’è parlato troppo poco, si portassero delle testimonianze, non necessariamente da parte del papà che è medico, architetto, professore universitario, ma anche da parte del papà che sa fare bene l’idraulico, che potrà portare una testimonianza dei suoi guadagni che non è sicuramente negativa e deprivata. O perché no, anche l’agricoltura, ma la nuova agricoltura, non necessariamente l’agricoltura pesante, penalizzante, triste, abbruttente. Io vedo che quando si toccano questi temi con i giovani, anche in logiche un po’ di start up, vengono fuori delle nuove idee, se si mette l’agricoltura nella logica di un lavoro che è anche ripagante dal punto di vista della propria immagine.

Il cibo ad esempio è un sistema, è una circolarità così ricca! Facciamo di più, lavoriamo di più, impegniamoci di più in queste cose e facciamo vedere che ci sono delle realtà assolutamente divertenti all’interno della filiera alimentare, facciamo capire a un giovane che può sentirsi arrivato se riesce a fare la sua prima formella di formaggio o il suo primo vino, anzi forse è meglio che un impiego in una grande multinazionale.

Questa è una dimensione ancora più legata alle sue capacità, alla sua manualità, alla sua creatività.

Spero che i vari uomini di governo si diano da fare in questa direzione, non pensino soltanto ai contratti, che tra l’altro hanno creato dei seri problemi ai giovani. Con questa nuova contrattualistica ci sono  giovani che non possono più mantenere l’impiego.

Entrando più nello specifico, visto che avete molti giovani che lavorano con voi, ha un consiglio, anche spicciolo, su come affrontare un colloquio di lavoro? Cosa apprezza lei in un giovane durante il colloquio?

E’ veramente una domanda difficile! Io posso dire che personalmente apprezzo quando mi trovo davanti una persona con una sua personalità, che dimostra di avere delle sue idee, una persona che pur avendo 20 22, 24 anni, comincia ad avere un’idea sua della vita, del lavoro, e non necessariamente la preoccupazione di essere inquadrato. Ecco io suggerirei questo ai ragazzi:  sappiate  cominciare ad essere autonomi nelle cose che dite;  se avete delle originalità, non tarpatevi le ali, fatele conoscere, perché l’originalità è veramente il sale della vita, anche in azienda, anche in un apparente sistema omogeneizzante alla fine la persona che ha più capacità di personalizzare il suo lavoro viene premiato. Quindi non tarpatevi, non pensate di entrare in catene di montaggio, dove tutti devono essere uguali. Io darei questo consiglio ai giovani.

E per concludere a suo parere in quale settore del marketing e della comunicazione ci sono maggiori prospettive per i giovani?

Se parliamo di settori io ritengo che il settore agroalimentare è forse quello nel quale i giovani dovrebbero investire di più, ci sono il settore delle TLC, dell’IT che sono in crescita, però è un dato scontato. Io direi ai giovani: guardate che si sta aprendo una dimensione anticiclica nel mondo dell’agroalimentare. Studiate, approfondite, e vedrete che nasceranno opportunità di nuovo lavoro.

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QUANDO UN ART DIRECTOR SI SCOPRE SCRITTORE: INTERVISTA A LUCA MASIA

PC Parlando del protagonista del suo nuovo romanzo, Il sarto di Picasso, Luca Masia dice: “È vero, la vita è strana: ci induce a seguire dei percorsi che passo dopo passo sembrano strade obbligate, quasi imposte dal destino. Ma poi ci si ferma a prendere fiato, ci si volta e si riguarda con gli occhi dell’esperienza la strada che si è percorsa. E ciò che vediamo è spesso la strada che avremmo voluto percorrere. Lo comprendiamo solo dopo, ma è così: il destino scrive per noi le storie che noi vogliamo scrivere. In realtà siamo noi che le dettiamo, magari inconsapevolmente; il destino le scrive soltanto.” (La bella intervista completa su booksblog)

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Avendolo conosciuto e stimato come art director in Young & Rubicam, ritrovarmi tra le mani il suo, bellissimo, libro mi emoziona, ma mi incuriosisce anche: siamo abituati a pensare che la creatività, almeno in ambito lavorativo, abbia una sua strada segnata, mentre la storia di Luca ci dimostra che ognuno di noi contiene delle piccole matriosche pronte a rivelarsi agli altri, per magari scoprire che la più piccola e nascosta è proprio la più preziosa.

A questo proposito Luca dice che il protagonista del libro, Michele Sapone, il sarto di Picasso, gli ha insegnato molto: innanzitutto a guardare in profondità dentro se stessi, scoprire il proprio talento e dedicarsi con fiducia alle proprie passioni. Il successo verrà dopo, ma se anche non dovesse venire, il fatto stesso di vivere con intensità, collezionando gli attimi della propria esistenza, sarebbe comunque un successo.

Gli abbiamo chiesto quindi qualche suggerimento per quei nostri lettori che, a qualsiasi età, stanno ancora cercando di capire qual è il loro talento e come trasformare una passione in un lavoro.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che vuole entrare nel mondo della comunicazione ma non sa ancora esattamente che strada prendere?

Intanto ti ringrazio per queste domande che mi permettono di ragionare sulle cose che faccio e che ho fatto per condividere con altri – soprattutto giovani – il senso di un percorso.

Una delle cose che ho imparato e di cui sono maggiormente convinto è che abbiamo tutti dei talenti nascosti e che dobbiamo imparare a riconoscerli. Heinrich Böll suggeriva di diventare “collezionisti di attimi”; ecco, capire cosa siamo realmente bravi a fare è un modo assai efficace per diventare collezionare di attimi.

A un giovane che desideri entrare nel mondo della comunicazione direi di leggere molto, studiare molto, ragionare molto su se stesso e confrontarsi molto con gli altri, ricercando le proprie particolari inclinazioni. E poi di buttarsi nel mondo, senza averne troppo timore: rispetto sì, ma non timore.

Se in cucina disponi degli ingredienti giusti per fare un buon piatto, anche se non hai la ricetta troverai il modo di combinarli bene.

Che cosa ti ha dato la tua esperienza come pubblicitario? Mi dicevi che con Aldo Colonetti pensavi di fare un corso allo Ied “dalla pubblicità al romanzo”, c’è quindi un percorso (virtuoso?) che può portare dalla “réclame” alla letteratura?

Un’altra delle cose che ho imparato è che la specializzazione in quanto tale non esiste; ogni cosa è sempre in collegamento con le altre. C’è molta letteratura nella réclame, così come c’è molta réclame nella letteratura, nel cinema, nella pittura, nella musica. Per réclame intendo quella particolare architettura del pensiero che è alla base della pubblicità, quella dialettica che ha la forza di convincere proponendo argomentazioni credibili e inattese.

Una buona pubblicità è come una finestra spalancata su paesaggi nuovi, così come un buon libro o un quadro. In questo senso il percorso che porta dalla réclame alla letteratura è meno lungo e tortuoso di quanto si possa immaginare.

Come hai capito che albergava dentro l’art director un copy writer, che è poi diventato scrittore?

Fin da ragazzo amavo la lettura e la scrittura. Dopo il liceo ho frequentato la Scuola Politecnica del Design di Nino Di Salvatore che mi ha avvicinato al mondo dell’arte, della grafica e quindi della comunicazione. Quando, poco dopo, ho vinto una borsa di studio dell’Assap e sono entrato in agenzia, per tutti ero un art director, ma io non avevo mai smesso né di leggere né di scrivere.

Ho sempre pensato alla campagna pubblicitaria come a qualcosa di complessivo: un corpo unico di immagine e testo generati da un art e un copy insieme, senza distinzioni. E questo senza citare il contributo essenziale di account, ricercatori e degli stessi clienti.

Poi, sempre in agenzia, ho avuto modo di frequentare alcuni corsi di cinema e di sceneggiatura che mi hanno stimolato a scrivere testi più lunghi e storie più articolate. La sceneggiatura mi è servita molto per avvicinare la dimensione del romanzo, di cui all’inizio avevo un po’ di timore (o forse, troppo rispetto).

Cosa puoi suggerire a dei giovani talenti che cercano faticosamente di entrare nel difficile mondo del lavoro?

Il talento è come il tempo per sant’Agostino: “se mi chiedi cos’è lo so, se mi chiedi di spiegarlo non lo so più”. Il talento non deve necessariamente essere spiegato, ma deve essere lasciato libero di esprimersi. In un colloquio di lavoro, ad esempio, è più efficace sorprendere che cercare di convincere delle proprie qualità.

D’altro canto, occorre mantenere il senso della misura e trasmettere un segnale preciso di quanto si potrà – una volta assunti – essere ben integrati nel team di lavoro rimanendo comunque delle individualità.

Quando mio nonno mi spiegava l’arte del fuoco, mi diceva che dovevo mettere i legni il più vicino possibile in modo che si toccassero il meno possibile.

Il talento è come il fuoco: i ceppi devono essere abbastanza vicini da passarsi la fiamma, ma non troppo da togliersi l’aria…

E a chi a 40 anni non si sente soddisfatto di quanto sta facendo?

Penso che sia la stessa cosa di quando di anni ne avevi venti: da un lato è più difficile perché pensi di aver perso del tempo e soffri l’assillo delle responsabilità, ma dall’altro è più facile perché hai un’esperienza che non avevi da ragazzo. Disponi di molte più informazioni per cercare il tuo talento e lasciarlo libero di esprimersi.

Il cammino è sempre quello: collezionare gli attimi della vita. Si può iniziare anche l’ultimo giorno, sarebbe comunque un bel finale.

E in un romanzo, il finale è importante quanto l’inizio.

Del Sarto di Picasso, SilvanaEditoriale, che ho iniziato solo ieri sera, posso per ora dirvi che ha un inizio magnetico come lo sguardo di Picasso e che la storia di questo artigiano, così abile nel suo  saper fare da mettersi allo stesso piano con il più grande artista del XX secolo, è una bellissima metafora dell’importanza di fare un lavoro che piace e per il quale si è, scusate il gioco di parole di bassa lega, tagliati. Che sono poi gli argomenti che amiamo trattare su questo blog.

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