Archivio mensile:luglio 2013

LA PROPOSITIVITA’ CHE FA LA DIFFERENZA.

PC Bucare lo schermo, passare sotto il radar che ognuno di noi è abituato a usare per filtrare i troppi stimoli esterni, riuscire a farsi notare e ricordare: sono alcune delle regole fondamentali che il comunicatore moderno deve seguire per far distinguere il suo brand in un contesto di prodotti analoghi.under the radar

Lo stesso principio vale anche quando si comunica se stessi e si vuole emergere dalla massa, tutto sommato omogenea, composta dagli altri candidati a un posto di lavoro.

Ci sono sicuramente riuscite, sia nei miei confronti, che nei confronti di un loro possibile datore di lavoro, Alessia Porro e Susanna Bossi, studentesse del master IULM in Food and Wine communication dove ho insegnato qualche mese fa. Vi riporto, per loro gentile concessione, la lettera che mi hanno inviato (usando Linkedin!). Mi scrive Alessia: ” Mi faceva piacere condividere con Lei qualche aggiornamento. Susanna Bossi  e io avevamo inventato il prodotto e creato la campagna di lancio per il prodotto Lindor ice cream.
Dopo la sua valutazione e il suo commento noi ci abbiamo creduto davvero!! Così abbiamo preparato un video, preparato materialmente il prodotto per il tasting e chiamato Lindt: ieri siamo andate a presentare il nostro progetto. E’ stato decisamente emozionante e una sfida, ora non sappiamo bene che cosa ci attenda ma volevo ringraziarla per la sua fondamentale iniezione di fiducia.”

Questa mail è stata un’iniezione di fiducia anche per me, che mi ha confermato che è giusto stimolare i giovani a dare di più e che sono tanti quelli che sapranno stupirci con la loro propositività.

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Questione di Stile

PB  Sono stata un paio di giorni a Parigi.

Scrivo queste note a mano, sul retro di un contratto che poi dovrò ristampare per via che l’ho scarabocchiato con questo post, mentre volo verso Malpensa.

Ho preso spesso la metropolitana e ho visto molta gente (la metropolitana è sempre piuttosto imbottita di varia umanità).

Numerose ragazze e giovani donne si muovono per la città. Per studiare, per lavorare.

Non ho visto nessuno degli elementi che trovo abusati e davvero orribili in Italia:

–          neanche uno stivale estivo (chi è lo sciagurato che li ha inventati?). Solo sandali, di tutte le fogge, essenzialmente rasoterra.

–          Neanche una manicure con unghie ricostruite, gel, disegni, artigli posticci

–          Neanche una borsa di Louis Vuitton, accompagnata da scarpa simil jogging con tacco di Hogan, nessuna cintura Guess

–          Nessun capello stirato con la piastra alla Anna Tatangelo. Nessuna piega di quelle che esci ancora con la spazzola del parrucchiere attaccata.

–          Nessun uomo con mutanda logata in vista, nessun borsello Calvin Klein, nessuna polo di Burberry con fessino in tartan, nessun colletto rialzato dietro a mostrare il marchio (ma perché gli uomini italiani portano il colletto della polo alzato?)

Le ragazze mi parevano tutte belle e sottili (forse non hanno fame), indossavano soprattutto vestiti (a fiori, in voile, in cotone, senza maniche…), avevano i capelli sciolti o morbidamente raccolti con una naturalezza seducente.

Forse aiuta Parigi, la erre moscia, il loro scarso appetito, l’estate che sorride, il colorito diafano e il passo spedito. Ma certo nessuna di loro avrebbe potuto essere a proprio agio nel look Pokahontas  sexy che mi capita di incontrare sulla tratta Bisceglie – Duomo , linea rossa.

Consiglio a tutte un look francese: se non per trovare un fidanzato (che già non sarebbe male come effetto collaterale) almeno per trovare un lavoro. Au revoir.

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Da grande voglio fare il raccattapalle

PB La scorsa settimana io e Cristina, una mia collega, siamo andate a Wimbledon.

Arrivarci dall’aeroporto di Luton (che è un aeroporto di Londra solo per le compagnie low cost, perché in realtà è su Marte) è un calvario , ma poi per rientrare in città c’è il metro e è tutto più semplice e gradevole.

Di Wimbledon non mi sono rimaste particolarmente impresse le partite (non ero lì per la bella finale in cui Murray ha riportato gli onori della vittoria in Gran Bretagna dopo 77 anni) ma il magnifico, superbo contorno.

Proprio in quel tratto di strada che porta ai cancelli di ingresso, gli “Honorary Stuart” aiutano il pubblico che scorre numeroso a trovare il gate, ad attraversare le strade, a informarsi in caso di bisogno. Sono volontari così british che più british non si può, con un accento che neanche i maggiordomi della casa reale, selezionati tra migliaia di candidati, rinnovati di anno in anno (quello che ha aiutato noi era Honorary Stuart da 16 anni).

In quel momento ho pensato: da grande voglio fare l’Honorary Stuart!

Pranzato presso l’Hospitality di una grande agenzia americana di cui eravamo ospiti,dopo aver girovagato tra i campi minori, siamo finalmente andate nel centrale.

La coreografia e le cerimonie gestuali dei raccattapalle, quando entrano in campo, quando porgono la salvietta agli atleti, quando aprono i tubi nuovi e dispongono le palle come se fossero su un tavolo da biliardo. Quando corrono veloci e quasi senti il loro cuore battere, perché essere perfetti è la loro partita (sono ragazzini che hanno fatto selezioni e selezioni per arrivare a inginocchiarsi su quel tappeto verde) , allora in quel momento ho pensato: da piccola voglio fare il ballboy!

Verso il secondo pomeriggio è caduta una goccia di piogga. Mentre le atlete finivano il loro gioco, intorno al campo si sono assemblati una ventina di manutenori. Vestiti di verde e blu, parevano in assetto di guerra. Sul punto della Azarenka hanno invaso il prato. All’unisono hanno preso i teli. Due uomini hanno abbattuto la rete in un batter d’occhio.

Mentre la grande vela si stendeva sull’erba, il tetto del centrale si chiudeva.

A Roma il centrale non si può chiudere. Tanto non piove mai. L’anno scorso alla finale degli Internazionali sembrava di essere nella foresta pluviale. Quando i manutenori hanno coperto il campo (in terra rossa) c’era già un po’ di effetto sabbie mobili. Certo non c’erano “quelli di Wimbledon”.

Io settimana scorsa li ho visti, forti come soldati, armoniosi come ballerini, e ho pensato: da grande voglio fare il manutenore di Wimbledon !

Certo anche il tennis non era male, e le fragole con la panna so sweet, ma che spettacolo vedere i manutenori! Che commozione guardare i ball boys! Che ammirazione ascoltare gli Stuart!

(riflessione per il vostro futuro: meglio essere un superbo muratore che un mediocre architetto)

(ulteriore riflessione: andate a imparare laddove c’è l’eccellenza. Alla Scala per fare la costumista o il cantante d’opera, in Svizzera per fare l’orologiaio, in California per fare il surfista…)

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Lavorare studiando: utile e adesso più facile

PC Il nuovo decreto per il lavoro prevede che i giovani universitari e anche gli iscritti alle scuole tecniche e professionali abbiano la possibilità di passare del tempo in azienda venendo sovvenzionati dallo Stato, se hanno una buona media universitaria e sono al di sotto di una certa soglia di reddito.

How you spend your 20s define your identity-Forbes

How you spend your 20s will define you-Forbes

Questa iniziativa riconosce un valore al fatto di lavorare mentre ancora si studia, valore del quale sono profondamente convinta.

È un tema che ha  recentemente affrontato  Annamaria Testa in un interessante post sul suo blog nuovoeutile.it, ricordando che durante un sondaggio svolto tra gli studenti del suo corso in Iulm era emerso che chi aveva già avuto delle esperienze di lavoro in parallelo allo studio otteneva dei risultati migliori all’università.

Sia Patrizia che io abbiamo lavorato per quasi tutto il periodo universitario, ed entrambe ne abbiamo sicuramente tratto dei vantaggi. Nel mio caso è fin troppo facile dire che mi è stato utile, visto che sono riuscita a entrare a 23 anni in Young & Rubicam, grazie a una borsa di studio che l’Assocom di allora metteva a disposizione dei giovani.

Il fatto stesso di dedicarmi in parallelo alle due attività permetteva di vedere in modo diverso sia le materie che studiavo in università, che i compiti che dovevo svolgere in agenzia, non tanto per le singole nozioni, quanto per l’acquisizione di un approccio mentale più ampio ed elastico.

Ma mi sono state altrettanto utili alcune esperienze totalmente diverse, anche saltuarie, come la vendita di libri durante la fiera campionaria (parenti e amici costretti ad acquistare a prezzi esorbitanti titoli che non avrebbero mai comprato in condizioni normali, pur di garantirmi la soglia minima sotto la quale non sarei stata pagata)e le lezioni di pianoforte a bambini svogliati e senza orecchio musicale. Con la prima ho dimostrato a me stessa che la timidezza poteva essere vinta grazie alla determinazione, con la seconda ho imparato la dote della pazienza (non tanto nel sopportare i bambini poco dotati, quanto nel gestire le aspirazioni delle mamme frustrate).

Credo che il vero vantaggio risieda nell’acquisire una certa dimestichezza a confrontarsi con altre persone dal punto di vista professionale: gli psicologi dell’analisi transazionale  direbbero che si impara a relazionarsi con i propri colleghi e superiori pariteticamente da adulti, non come bambini che temono il giudizio del genitore.

 

In più, come sottolinea un libro appena uscito – The Defining Decade di Meg Jay-  che consiglio ai più giovani (per gli altri il rischio è solo di avere dei rimpianti!) i vent’anni sono l’età in cui si crea il proprio capitale di identità (in questo articolo di Forbes una sintesi).

Quindi il mio consiglio è di approfittare delle nuove opportunità messe a disposizione della legge (speriamo presto) e in generale di cominciare lavorare appena possibile, un appello che rivolgo non solo ai giovani lettori ma anche ai loro genitori, che a volte inspiegabilmente considerano degradanti o dispersivi alcuni “lavoretti” che i ragazzi fanno durante gli anni dell’università. Siete dello stesso parere?

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Il giro del Sella che pare il giro della vita

PB Lo scorso 23 giugno mio marito (Erri) e alcuni amici hanno affrontato il giro in bicicletta del Sella. Quattro passi dolomitici, circa 60 km con un dislivello di 3000 metri.IMG-20130623-00095

Sei mesi di allenamento dopo l’ufficio, al sabato, spesso con il freddo di una primavera che non arrivava mai.

Bobo, uno dei cinque eroi, ha scritto il resoconto della giornata.

Mi pare che ci sia tutta la poesia e la metafora del sogno, della fatica, della caduta, della determinazione, della riuscita. Che vale per un giro in bicicletta ma anche per la nostra vita e il nostro lavoro.

Ecco il suo racconto (fatto per l’amico Max):

Ciao Max, solo adesso sono nella condizione di fare il punto sul giro, se hai 10′ leggiti il raccontino.
I partecipanti in parte li conosci: il sottoscritto… scarsa preparazione atletica e debilitato da un bastardissimo virus che ho sottovalutato, Enri che ormai passa il suo tempo in bicicletta, Eros con i suoi acciacchi fisici brillantemente superati, Paolino e il Biondino che sono due malati, ma non hanno la consapevolezza di esserlo… poi ti spiego.
Sintetizzo, il nostro bell’albergo è situato nel bel mezzo di un tornante in salita, quindi uscendo dal parcheggio hai due possibilità per iniziare la pedalata, sx in discesa dx in salita. Secondo te da quale parte abbiamo iniziato? Esatto, inizio il mio calvario iniziando a pedalare in salita intorno al 7/8% , rendendomi conto che in questo giro non c’è un fottutissimo metro in piano… ci avviamo così al primo passo, il Gardena, caratterizzato da un paesaggio spettacolare e infatti in poco meno di un’ ora scolliniamo. Qui ci perdiamo Enri, poi qualcuno trova la sua bici davanti ad un cesso, e capiamo che è chiuso lì dentro… il bambinone ha preso freddo al pancino e poco c’è mancato che non si è cagato addosso. Enri finalmente torna, foto di rito e si parte verso il discesone che ci porterà verso il secondo passo il Sella.
Durante queste lunghe discese con un asfalto perfetto, scopro di avere un talento naturale nel condurre la bicicletta, che non vuol dire mollare i freni incoscientemente a 80 kmh per poi inchiodare per affrontare i tornanti, ma mollare i freni a 80 kmh e sfiorarli appena percorrendo i tornanti impostato al doppio della velocità degli altri usando il peso del corpo per far girare la bici… E’ un concetto confuso mi rendo conto, però è così, le discese non sono state un problema anzi sono convinto che mi hanno tirato fuori dai momenti più bui, la scarica di adrenalina che ne scaturiva mi neutralizzavano i dolori, perchè i dolori ad un certo punto sono arrivati… cazzo se sono arrivati.
Il Sella è bellissimo ha un aspetto lunare, mi sono ricordato di averlo fatto in moto, ma in bici lo apprezzi ad un altro livello, lo affronto da solo ovviamente sono quello messo peggio di tutti quindi sono sempre l’ultimo, mi superano tutti… donne e uomini dai ventri smisurati. Incomincio ad avere dei dubbi, credo di avere sottovalutato la mia condizione fisica e non sono più così sicuro di arrivare alla fine, qui in prossimità del passo ci sono 14° tira un vento porco e il cielo è incazzato da far paura.
L’unica cosa che riesco a controllare è la frequenza cardiaca, bassa per i miei standard, e questo mi tranquillizza. Incontro Paolino sul passo e da quel momento, forse vedendomi in faccia, non mi ha più abbandonato, lui e il Biondino si sono alternati standomi al fianco nelle ultime due salite. Iniziamo la discesa, anche lui se la cava e in un quarto d’ora arriviamo al cartello che indica il passo Pordoi, il più lungo 27 o 28 tornanti. Al 22 tornante non ne ho più, mi devo fermare e sdraiare per rilassare i muscoli che interessano la zona cervicale e del trapezio. Capita che quando non hai più forza nelle gambe ti attacchi al manubrio e “tiri” coinvolgendo anche tutti i muscoli della schiena, trovo un muretto e mi fermo, mi sdraio e mi sforzo di mangiare una barretta energetica.
Faccio una telefonata parlo con moglie e bambino e questo mi procura sollievo. Sono sfinito, ho freddo nonostante stia pedalando in salita ho le mani ghiacciate, finalmente leggo il 27esimo tornate e vedo il passo, riconosco il luogo ho un bel ricordo di una vacanza con il bambino piccolo, riconosco anche le bici parcheggiate dei miei amici davanti ad un rifugio, sono sul Pordoi… entro prendo un tè caldo e cerco di scaldarmi le mani. Ovviamente i miei amici sono lì da più di un’ ora e mi sembrano molto rilassati, capisco che hanno una percezione della cosa molto differente dalla mia. Discesa, discesa finalmente la discesa, è come una pozione magica la lunga discesa che ci porterà ad Arabba mi riconcilia con il mondo, è una cosa pazzesca non ho più un dolore…
il senso di malessere sparisce completamente, bello.
Sono nel bel mezzo di una crisi, la più dura a circa due km dall’ultimo passo il Campolongo, sono quasi stordito da questo fiume di ciclisti colorati che mi gira intorno, sono bravi e attenti, se ti fermi anche per un minuto c’è sempre qualcuno che ti chiede come stai e ti incita ad andare avanti… non sono l’unico ad essere in crisi, diversi ciclisti ormai camminano di fianco alla loro bici. Prima di un tornante c’è il fotografo dell’organizzazione che mi sprona, faccio il tornante e mi pianto, ho dei dolori lancinanti a tutto il corpo e non ho più l’energia per fare un metro. Mi viene in soccorso il Biondino che mi propina una sorta di gel fluorescente, un alimento che usano gli sportivi, quelli veri, contiene caffeina, tutti i tipi di zuccheri e secondo me anche dell’ anestetico, serve per superare i momenti più duri con la consapevolezza di essere alla fine… lo bevo.
Da giovane ho avuto una modesta esperienza agonistica durata qualche anno, nel nuoto e nel basket, per quello che sono i miei ricordi il nuoto era il più duro, ricordo per esempio all’arrivo di alcune gare che prima di riprendere l’uso della parola passava qualche minuto, lo sforzo era molto intenso ti portava allo sfinimento, però tutta l’azione durava qualche minuto… qui lo sforzo è prolungato non c’è tregua a parte le magiche discese naturalmente.
Io non ho idea di che cosa mi abbia propinato il Biondino… fatto sta che i dolori sono spariti come del resto l’energia. Mi trascino fino all’ultimo passo i dolori sono tornati, sono sfinito, ho sonno, non riesco a stare in piedi devo dormire per qualche minuto, trovo una panca e mi sdraio, nel dormiveglia che ne segue vengo disturbato da un cameriere bulgaro che bofonchia qualcosa che ha a che vedere con il sonno prima della morte… sono così stanco che non ho neanche la forza di mandarlo a cagare.
Cerco l’ultima discesa come un tossico, chissà se torna l’effetto magico… 70,72,78 kmh si ecco che torna, che figata, Enri fa un dritto e quasi finisce a fare conoscenza con delle vacche al pascolo.
I pochi km di salita che ci separano da amici e parenti sono, neanche a dirlo, devastanti… al mio fianco c’è Eros che mi racconta che tutto sommato sta bene a me sembra in buone condizioni e ne sono contento.
Intravedo amici e famiglia che fanno il tifo, prendono giustamente per il culo etc. Mi dicono che ho un aspetto orribile, sono pallido, faccio fatica a scendere dalla bici e tremo dalla stanchezza…
Che senso ha tutto questo? Non ne ho la più pallida idea.
La cosa che ho capito è quanto può essere buio e profondo l’abisso da cui puoi uscirne appellandoti solo alla tua forza mentale, e parafrasando quell’allegrone di Max “fanculo ce l’ho fatta”

ps1- sono felice di non essere morto, affanculo il cameriere bulgaro dei miei coglioni, e di avere degli amici che mi hanno coccolato ed accudito come un infante.
ps2- potete immaginarvi il viaggio di ritorno, arrivato a casa sono praticamente svenuto sul divano, la dissenteria accompagnata da una simpatica febbriciattola mi ha accompagnato fino alla metà della settimana successiva… oggi è giovedì
mi sembra di stare un po’ meglio ed infatti mi è venuta voglia di raccontare i fatti.

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