PB Lo scorso 23 giugno mio marito (Erri) e alcuni amici hanno affrontato il giro in bicicletta del Sella. Quattro passi dolomitici, circa 60 km con un dislivello di 3000 metri.
Sei mesi di allenamento dopo l’ufficio, al sabato, spesso con il freddo di una primavera che non arrivava mai.
Bobo, uno dei cinque eroi, ha scritto il resoconto della giornata.
Mi pare che ci sia tutta la poesia e la metafora del sogno, della fatica, della caduta, della determinazione, della riuscita. Che vale per un giro in bicicletta ma anche per la nostra vita e il nostro lavoro.
Ecco il suo racconto (fatto per l’amico Max):
Ciao Max, solo adesso sono nella condizione di fare il punto sul giro, se hai 10′ leggiti il raccontino.
I partecipanti in parte li conosci: il sottoscritto… scarsa preparazione atletica e debilitato da un bastardissimo virus che ho sottovalutato, Enri che ormai passa il suo tempo in bicicletta, Eros con i suoi acciacchi fisici brillantemente superati, Paolino e il Biondino che sono due malati, ma non hanno la consapevolezza di esserlo… poi ti spiego.
Sintetizzo, il nostro bell’albergo è situato nel bel mezzo di un tornante in salita, quindi uscendo dal parcheggio hai due possibilità per iniziare la pedalata, sx in discesa dx in salita. Secondo te da quale parte abbiamo iniziato? Esatto, inizio il mio calvario iniziando a pedalare in salita intorno al 7/8% , rendendomi conto che in questo giro non c’è un fottutissimo metro in piano… ci avviamo così al primo passo, il Gardena, caratterizzato da un paesaggio spettacolare e infatti in poco meno di un’ ora scolliniamo. Qui ci perdiamo Enri, poi qualcuno trova la sua bici davanti ad un cesso, e capiamo che è chiuso lì dentro… il bambinone ha preso freddo al pancino e poco c’è mancato che non si è cagato addosso. Enri finalmente torna, foto di rito e si parte verso il discesone che ci porterà verso il secondo passo il Sella.
Durante queste lunghe discese con un asfalto perfetto, scopro di avere un talento naturale nel condurre la bicicletta, che non vuol dire mollare i freni incoscientemente a 80 kmh per poi inchiodare per affrontare i tornanti, ma mollare i freni a 80 kmh e sfiorarli appena percorrendo i tornanti impostato al doppio della velocità degli altri usando il peso del corpo per far girare la bici… E’ un concetto confuso mi rendo conto, però è così, le discese non sono state un problema anzi sono convinto che mi hanno tirato fuori dai momenti più bui, la scarica di adrenalina che ne scaturiva mi neutralizzavano i dolori, perchè i dolori ad un certo punto sono arrivati… cazzo se sono arrivati.
Il Sella è bellissimo ha un aspetto lunare, mi sono ricordato di averlo fatto in moto, ma in bici lo apprezzi ad un altro livello, lo affronto da solo ovviamente sono quello messo peggio di tutti quindi sono sempre l’ultimo, mi superano tutti… donne e uomini dai ventri smisurati. Incomincio ad avere dei dubbi, credo di avere sottovalutato la mia condizione fisica e non sono più così sicuro di arrivare alla fine, qui in prossimità del passo ci sono 14° tira un vento porco e il cielo è incazzato da far paura.
L’unica cosa che riesco a controllare è la frequenza cardiaca, bassa per i miei standard, e questo mi tranquillizza. Incontro Paolino sul passo e da quel momento, forse vedendomi in faccia, non mi ha più abbandonato, lui e il Biondino si sono alternati standomi al fianco nelle ultime due salite. Iniziamo la discesa, anche lui se la cava e in un quarto d’ora arriviamo al cartello che indica il passo Pordoi, il più lungo 27 o 28 tornanti. Al 22 tornante non ne ho più, mi devo fermare e sdraiare per rilassare i muscoli che interessano la zona cervicale e del trapezio. Capita che quando non hai più forza nelle gambe ti attacchi al manubrio e “tiri” coinvolgendo anche tutti i muscoli della schiena, trovo un muretto e mi fermo, mi sdraio e mi sforzo di mangiare una barretta energetica.
Faccio una telefonata parlo con moglie e bambino e questo mi procura sollievo. Sono sfinito, ho freddo nonostante stia pedalando in salita ho le mani ghiacciate, finalmente leggo il 27esimo tornate e vedo il passo, riconosco il luogo ho un bel ricordo di una vacanza con il bambino piccolo, riconosco anche le bici parcheggiate dei miei amici davanti ad un rifugio, sono sul Pordoi… entro prendo un tè caldo e cerco di scaldarmi le mani. Ovviamente i miei amici sono lì da più di un’ ora e mi sembrano molto rilassati, capisco che hanno una percezione della cosa molto differente dalla mia. Discesa, discesa finalmente la discesa, è come una pozione magica la lunga discesa che ci porterà ad Arabba mi riconcilia con il mondo, è una cosa pazzesca non ho più un dolore…
il senso di malessere sparisce completamente, bello.
Sono nel bel mezzo di una crisi, la più dura a circa due km dall’ultimo passo il Campolongo, sono quasi stordito da questo fiume di ciclisti colorati che mi gira intorno, sono bravi e attenti, se ti fermi anche per un minuto c’è sempre qualcuno che ti chiede come stai e ti incita ad andare avanti… non sono l’unico ad essere in crisi, diversi ciclisti ormai camminano di fianco alla loro bici. Prima di un tornante c’è il fotografo dell’organizzazione che mi sprona, faccio il tornante e mi pianto, ho dei dolori lancinanti a tutto il corpo e non ho più l’energia per fare un metro. Mi viene in soccorso il Biondino che mi propina una sorta di gel fluorescente, un alimento che usano gli sportivi, quelli veri, contiene caffeina, tutti i tipi di zuccheri e secondo me anche dell’ anestetico, serve per superare i momenti più duri con la consapevolezza di essere alla fine… lo bevo.
Da giovane ho avuto una modesta esperienza agonistica durata qualche anno, nel nuoto e nel basket, per quello che sono i miei ricordi il nuoto era il più duro, ricordo per esempio all’arrivo di alcune gare che prima di riprendere l’uso della parola passava qualche minuto, lo sforzo era molto intenso ti portava allo sfinimento, però tutta l’azione durava qualche minuto… qui lo sforzo è prolungato non c’è tregua a parte le magiche discese naturalmente.
Io non ho idea di che cosa mi abbia propinato il Biondino… fatto sta che i dolori sono spariti come del resto l’energia. Mi trascino fino all’ultimo passo i dolori sono tornati, sono sfinito, ho sonno, non riesco a stare in piedi devo dormire per qualche minuto, trovo una panca e mi sdraio, nel dormiveglia che ne segue vengo disturbato da un cameriere bulgaro che bofonchia qualcosa che ha a che vedere con il sonno prima della morte… sono così stanco che non ho neanche la forza di mandarlo a cagare.
Cerco l’ultima discesa come un tossico, chissà se torna l’effetto magico… 70,72,78 kmh si ecco che torna, che figata, Enri fa un dritto e quasi finisce a fare conoscenza con delle vacche al pascolo.
I pochi km di salita che ci separano da amici e parenti sono, neanche a dirlo, devastanti… al mio fianco c’è Eros che mi racconta che tutto sommato sta bene a me sembra in buone condizioni e ne sono contento.
Intravedo amici e famiglia che fanno il tifo, prendono giustamente per il culo etc. Mi dicono che ho un aspetto orribile, sono pallido, faccio fatica a scendere dalla bici e tremo dalla stanchezza…
Che senso ha tutto questo? Non ne ho la più pallida idea.
La cosa che ho capito è quanto può essere buio e profondo l’abisso da cui puoi uscirne appellandoti solo alla tua forza mentale, e parafrasando quell’allegrone di Max “fanculo ce l’ho fatta”
ps1- sono felice di non essere morto, affanculo il cameriere bulgaro dei miei coglioni, e di avere degli amici che mi hanno coccolato ed accudito come un infante.
ps2- potete immaginarvi il viaggio di ritorno, arrivato a casa sono praticamente svenuto sul divano, la dissenteria accompagnata da una simpatica febbriciattola mi ha accompagnato fino alla metà della settimana successiva… oggi è giovedì
mi sembra di stare un po’ meglio ed infatti mi è venuta voglia di raccontare i fatti.
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