PC Sabato scorso sono stata al Pac di Milano a vedere la performance di Marina Abramovic, approfittando dell’ultimo giorno nel quale era presente di persona (il cosiddetto metodo Abramovic verrà applicato dalle sue assistenti per altri due mesi).
Ne parlo oggi per riallacciarmi a quanto ha scritto Pier Luigi Vercesi nel suo editoriale su Sette del 29 Marzo. Il direttore riportava che tanti “nei giorni scorsi, a Milano, hanno sussurrato in privato – senza il coraggio di confessarlo in pubblico – che Marina Abramovic è un genio per la sua capacità di tenere in piedi, appoggiato su chissà cosa, un tale baraccone mediatico” e concludeva chiedendosi: “Si chiama arte o marketing?”
La mia opinione è che si tratti principalmente di personal branding. La Abramovic ha saputo creare una proposta diversa (non tanto nella performance di Milano, ma sicuramente in quelle che l’hanno resa più nota, fra le più recenti: The artist is present al Moma), rilevante per una parte di appassionati di arte moderna alla ricerca di nuovi stimoli, ha poi saputo costruire la stima del suo pubblico, proponendo sempre nuove idee coerenti con il suo personalissimo approccio, e infine la familiarità, grazie anche alla persistenza di alcuni caratteri esteriori che la rendono sempre perfettamente riconoscibile: in particolare i lunghi capelli neri.
Diversità, rilevanza, stima e familiarità sono i 4 pilastri che costituiscono l’immagine di una marca nel modello BAV sviluppato a livello internazionale da Young & Rubicam. Un modello che misura il valore delle marche, che proveremo a usare per definire le azioni più indicate per la costruzione del proprio personal branding o per il suo miglioramento.