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A pranzo con Alfredo Mattiroli

Reduce da due giorni a Pitti, da due pranzi in sala stampa e da due incontri che mi hanno fatto venire voglia di un post, eccomi con la penna in mano.

Alfredo Mattiroli presenta il suo libro a Pitti il 12 gennaio 2022

Premetto che dopo mesi in cui è socialmente accettabile mangiare solo con i congiunti, viaggiare solo con i congiunti, sedersi accanto solo ai congiunti, la fuga con uno sconosciuto (anche un brutto ceffo intendo, un disgraziato) mi pare un rischio da correre. Magari muoio di qualche cosa, ma non di noia.

Al netto della mia vertigine da astinenza sociale, io e Marilena (collega incantevole che ho scoperto velista e non solo) ci siamo trovate a pranzare per caso di fianco a un signore ottantatreenne vispo come un ragazzino e interessante come un libro giallo.

Alfredo Mattiroli (è lui lo sconosciuto commensale, ma lo avremmo scoperto solo al dessert) è la prova vivente che la giovinezza non è una questione anagrafica. In verità lo avevo già intuito con Elio Fiorucci e Patti Smith. Con Mattiroli (terzo indizio) ora ho le prove.

Nessun rimpianto, nessuna atmosfera vintage nei suoi racconti, nei suoi aneddoti, ma solo continui spunti per il futuro, letture in prospettiva e sguardo capace di vedere opportunità.

Sono andata alla presentazione del suo libro “Cacciatore di sogni”, edito da Rubattino.

Poi ho dato il tormento a Marilena e Giulia (pazienti compagne di viaggio) finché non sono andate a prenotarlo su Amazon.

Ho distillato il suo intervento in pillole: conoscere le lingue, vedere i mercati direttamente, darsi il tempo di visitare i clienti e sentire i loro feed back in presa diretta. Essere internazionali e curiosi. Essere umili. Rifuggire i luoghi comuni (tipo “in quel quel mercato non vado perché i clienti non pagano”), avere un buon network per verificare le referenze di chi si propone con cariche altisonanti.

E ho aggiunto qualche cosa di mio che lui non ha elencato in presentazione, ma che ho capito dal pranzo e che credo sia parte della ricetta per essere un buon cacciatore di sogni: avere una moglie incantevole, suonare il pianoforte, giocare a golf, andare in vela, avere amici che ti stimano e che tu stimi, non cercare lo scandalo anche se hai le info per scatenarlo, avere un paio di figlie che hanno preso in mano il tuo lavoro e lo portano avanti come si deve, tacere quando è opportuno farlo, avere rispetto del prossimo.

Ad un certo punto ho pensato di essermi così ingarellata per reazione al troppo isolamento (voi lettori fedeli sapete che il blog nasce dalla cattività covid), entusiasta di chiunque non avesse il mio stesso cognome o non abitasse al mio civico.

Tranquilli, non si è trattato dell’entusiasmo dell’ergastolano appena evaso: il giorno dopo a pranzo siamo incappate in un tris di tre sciure di straordinaria antipatia, noiosi residui anni ’80 di privilegi demodé, talmente autoreferenziali da non scambiarsi neanche il buongiorno.

A chi interessa capire come l’Italia sia passata dai sarti all’alta moda, passando per il pret a porter , consiglio di dare un’occhiata al libro. E a tutti auguro gioiosi pranzi con sconosciuti.

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Consigli per giovani designer (a Milano): intervista a Gaetano Simeone

PB Io #Gaetano Simeone, lo ho conosciuto nel 2013 in Sergio Tacchini, quando ho dovuto assumere un Responsabile dello Stile, dopo che il carismatico #Alessandro Crosato aveva deciso di lasciare l’azienda per (in ordine) amore, prossimità a casa, ambizione professionale, passione green (con molti anni di anticipo rispetto al mainstream della sostenibilità).

Ricordo che ero a Tokio e con doppio WhatsApp a distanza ravvicinata ho ricevuto le dimissioni dello stilista (nooooo!!!!) e la notizia che Tommy Robredo, tennista appena messo sotto contratto, si era rotto un polso (voglio suicidarmi).

Sostituivo così un veneto ecologista vegano con un napoletano stiloso e consumatore di pastiera (per altro con quella pastiera ci ha conquistato: un originale manufatto della nonna che è valso più del curriculum).

Al colloquio (procacciato dal mitico collega e skateboarder #Cisco Ciniselli, che oggi disegna da Neil Barrett) si era presentato con un book gigantesco (modelli, shooting, progetti) indossando a pelle un improbabile maglione color tabacco.

Sembrava si fosse messo addosso la prima cosa trovata sulla sedia in fondo al letto. Imparando poi a conoscerlo, ho capito che per sembrare così” buttato lì per caso” avrà lavorato di styling mezza giornata.

E quel colore un po’ “da vecchio” (ma chi se lo mette quel color ocra con i pantaloni grigi?) era proprio il suo marchio di fabbrica (Gae è abbastanza da vecchio questo tessuto?  è una delle frasi ricorrenti al Prodotto) che ci ha fatto creare completi da tennis con binari gessati, polo in piquet con collo smoking, short con piega cucita, tute con zip e cintura rimessa, che hanno incantato i nostri atleti e i nostri clienti.

Oggi non lavoriamo più insieme, ma ci incrociamo di tanto in tanto in qualche week (design, fashion, green, wine…Milano green pass è tutta una week) e di fronte a un Martini con l’oliva (un aperitivo da vecchio, ça va sans dir) gli ho chiesto qualche consiglio per i nostri giovani lettori che vogliono diventare fashion designer.

Ecco come è andata:

Che formazione, che scuola, hai frequentato per diventare fashion designer?

Ho amato disegnare da sempre, ma la prima scuola, sul campo, è stata a Napoli nel negozio dei miei genitori, commercianti di abbigliamento, poi a Milano, nel ’99, alla Marangoni, per quattro anni impegnativi pieni di emozioni: il disegno, la storia dell’arte e del costume, la modellistica (mia grande passione) e poi gli eventi, lo studio dei moodboard.

La tesi finale, dove portavo una mia collezione, era una donna elegante, creata partendo dai classici del guardaroba uomo (i formali, gli smoking). Se non un’anticipazione del genderless, sicuramente un amore per la contaminazione che ho poi portato anche nel mio lavoro

Che cosa è per te il talento? come lo riconosci?

Bella domanda! Credo sia una dote innata che uno ha dentro e che si delinea anche in base a come e dove è cresciuto…il talento alla fine, se ce l’hai, prima o poi esplode. Comunque per me è quella cosa in più (sensibilità /sesto senso) che ti dà la possibilità di rendere “unico” un individuo. Forse è un talento anche saper riconoscere il talento…

Quando ti è capitato di selezionare giovani designer, come li hai scelti? cosa ti ha colpito?

Durante la mia collaborazione con ST mi è capitato di selezionare grafici e fashion designer per l’ufficio stile. Scegliere le persone giuste è un compito elaborato e complesso … un vero e proprio lavoro!

Devi capire come sono le persone (carattere /personalità /stile di vita) e immaginare che parte avranno all’ interno di un team.

Devi essere anche psicologo. Io facevo, oltre alle domande tecniche / professionali, quelle personali (intendiamoci non volevo sapere chi frequentavano o cosa mangiavano …): che musica ascolti? che libri leggi? che fai quando non lavori?

Di solito la mia scelta era molto variegata così da equilibrare l’ufficio stile che si componeva di personalità complementari e non omologhe.

Inoltre posso dire che non mi sono mai fatto condizionare dall’estetica…L’ABITO PER ME NON FA IL MONACO! Mi hanno sempre colpito i piccoli dettagli, gesti o racconti all’apparenza marginali ma che io coglievo come segnali di differenza.

Quando sei stato scelto, che domande ti hanno fatto? e quali avresti voluto ti facessero?

…Bha, mi hanno chiesto di tutto. So che compito delicato sia scegliere un collaboratore in Ufficio Stile. Io ho sempre cercato di “raccontarmi ” professionalmente e personalmente Fare un colloquio di lavoro credo sia un po’ come una seduta da uno psicologo. Ho sempre cercato di rendere il compito più facile a chi doveva scegliere. 

Che importanza ha il network?

Se per network intendiamo connessioni /link nel settore in cui si opera, secondo me ha tanta importanza. 

Cerco sempre di rimanere in contatto con i vecchi amici della Marangoni che oggi sono impegnati in diversi settori e con gli ex colleghi che mi hanno lasciato qualcosa durante la mia vita lavorativa. Prima o poi ci si ritrova.

Tra i lavori che hai fatto (collezioni, capi, collaborazioni, progetti) c’è qualcuno a cui sei particolarmente affezionato?

Sono affezionato un po’ a tutte le collezioni a cui ho lavorato perché hanno SEMPRE dentro un pezzo di me, sincero e spontaneo.

Però posso dire che le collezioni che ho sempre amato realizzare sono state quelle per il torneo di Montecarlo: una vetrina prestigiosa e internazionale. Vedere il risultato di un lungo lavoro su un palcoscenico così credo non abbia prezzo!

Quali consigli daresti a un giovane che volesse diventare fashion designer?

Prima di tutto studiare! che sta alla base di tutto. Dopodiché essere curioso e nutrirsi /alimentarsi sempre: arte /mostre/ musica /storia /gossip /vintage market.

Ma anche non perdere di vista la quotidianità (cena con amici /rapporti con la famiglia /amore).

E tu come alimenti la tua creatività?

Mi piace perdermi tra i mercatini di Milano: quello di Corsico dove si possono trovare le cose più strane e vintage, fuori dal tempo o anche in Bovisa un po’ più spartano ma molto interessante.

Io giro per le vie di Milano con la mia bici, il che mi permette di vedere la città che si trasforma e i suoi abitanti, di visitare le mostre fotografiche più interessanti (MUDEC/HANGAR BICOCCA/ADI DESIGN MUSEUM).

Durante il periodo di pandemia, mi sono dedicato alla cucina (ho aperto un nuovo profilo IG “cucino da sigle”) e ho ripreso il disegno a mano libera realizzando piccole miniature di soggetti /oggetti dalle misure ridotte (circa 7/8 cm) utilizzando diverse tecniche (pantoni /matite /trattopen).

Io consiglio di ritagliare un po’ di tempo  per lo sport. Il crossfit, a cui mi sono avvicinato da diversi anni mi fa stare bene non solo fisicamente ma anche mentalmente, mi aiuta a scaricare le tensioni e lo stress.

Milano propone molte eventi (serate /locali di tendenza) di cui è divertente approfittare in compagnia degli amici più cari. Milano la ho scelta tanti anni fa e continua a offrirmi davvero tante cose.

Dunque ragazzi, per diventare giovani, come diceva Picasso, ci vuole tempo. Il vecchio Gae (vedi una sua miniatura nella foto, con il maglione tabacco!) conferma. E Milano aiuta. Buona fortuna!

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“COSA CERCO IN UNO STRATEGIC PLANNER”. INTERVISTA A MICHAEL ARPINI, CHIEF STRATEGIC OFFICER TBWA\GROUP.

PC Ieri Michael Arpini ha fatto un intervento sulla Disruption durante una mia lezione al Master del Poli.design in Brand Communication. La platea era costituita da trenta potenziali futuri comunicatori, tra i quali negli scorsi anni il gruppo TBWA ha scelto stagisti per il reparto strategic planning, che Michael coordina.

Michael Arpini – Chief Strategic & Digital Officer TBWA Group

Ho quindi approfittato per chiedergli quali sono i criteri che utilizza quando seleziona un giovane planner. Sono emerse delle indicazioni valide in generale per capire se avete l’attitudine giusta per lavorare in un’agenzia di comunicazione.

Trampolinodilancio: “Quali caratteristiche deve avere un planner?”

Michael Arpini: “Si tratta più di un’attitudine che di preparazione tecnica: la preparazione si può imparare, mentre l’attitudine ha a che fare con tratti della personalità che sono difficili da plasmare anche a 23 anni.

Io cerco persone curiose, che come un bambino piccolo studiano, smontano e rimontano il loro giocattolo per capire come funziona.

Questa curiosità va applicata nel day by day. Dopo un po’ di tempo un planner vede insight ovunque. Come un antropologo del mondo moderno studia il modo con cui gli amici, i colleghi, i familiari si comportano. Va al supermercato e guarda cosa fanno le persone quando comprano il prodotto, usa i tool di social listening riuscendo a trarre da tanti dati un insight.

Un buon planner è una persona analitica che ha la capacità razionale di costruire dei percorsi.

Il ruolo dei planner sta cambiando, si apre il mondo della data strategy. Saranno sempre più fondamentali figure di data analysist che sappiano però anche trovare nei big data degli insight.

Un consiglio che posso dare è quello di fare cose anche lontane dal marketing classico: ricercare la varietà di stimoli, la diversità culturale, leggere tanti libri. Tra l’altro un planner dev’essere bravo a scrivere in modo da trasferire insight e copy brief al team creativo in modo ingaggiante e stimolante.

Infine, ricordatevi di non aver paura di sbagliare. Negli Stati Uniti viene addirittura premiato il fallimento, perché dimostra il coraggio di provare tante nuove strade.”

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QUESTIONE DI PORTAMENTO

PB

  1. Come gestire il tuo capo se è maleducato?
  2. Come non essere in imbarazzo entrando in una sala dove non conoscete nessuno?
  3. Come fare buona impressione a un colloquio di lavoro?
  4. Come non sprofondare dall’imbarazzo se arrivate vestiti a una festa come fosse il ballo debuttanti e tutti sono vestiti Decathlon?
  5. E se siete la più bassa della sala?
  6. E se il vostro inglese è così così?

NO

Mentre siete tentati – nell’ordine di:

  1. Fare gli offesi
  2. Sbarrare gli occhi disperatamente alla ricerca di un viso noto mentre aderite alla tappezzeria
  3. Inginocchiarvi supplicando disperatamente di essere assunti.
  4. Rimproverare al festeggiato di non avervi avvisato che tutti avrebbero poi dormito nel fienile.
  5. Scappare, ulteriormente ingobbite.
  6. Stare zitti tutta la sera.

SI

Dovrete invece:

  1. Fingere di non esservi accorti della sgarberia e sorridere. Se vi capita di arrivare sistematicamente prima (puntuali) al ristorante e di dovere aspettare da soli a tavola, ordinate un buon aperitivo e mettetelo in nota spese. Quando il capo arriva, sorridete. E pensate al cocktail della prossima occasione.
  2. Incedete nel mezzo della sala con nonchalance, come se aveste una meta. Stringete un po’ gli occhi (i miopi lo fanno meglio ed è anche piuttosto sexy) come se cercaste una persona in particolare e non un buon uomo qualsiasi che vi salvi dal nulla: chi vi ha invitato, o chi vi conosce, vi intercetterà più facilmente se non vi nascondete e il momento di orror vacui sarà più breve.
  3. Stringete la mano con decisione ma senza arroganza: voi stimate la compagnia per la quale state facendo il colloquio, ma siete consapevoli del vostro valore.
  4. Se vi fanno accomodare in una sala vuota, sedetevi spalle al muro e sguardo alla porta. Alzatevi per salutare con naturalezza sapendo che il piacere di incontrarvi non è solo il vostro, ma anche quello del vostro interlocutore.
  5. E’ sempre meglio essere ben vestiti che no. Chi vi ha invitato sarà contento che per la sua festa vi siate presi la briga di prepararvi come si deve, anziché essere arrivati direttamente dalla palestra. Fate la faccia democratica e amabile delle ambasciatrici dell’Unicef che indossano pratici sandalini capresi hand made da Don Ciccillo , quando visitano le favelas.
  6. Una forte personalità e una postura eretta possono supplire a parecchi centimetri. I tacchi faranno il resto. Ad un certo punto si va sempre a tavola e qui si pareggiano i conti. Kylie Minogue sarebbe a suo agio anche a una partita di basket.
  7. Non sottovalutate l’esotismo dell’accento italiano e il fascino di argomenti interessanti: sarete molto più seducenti che stando zitti. Lo sforzo di parlare una lingua che non è la vostra sarà apprezzato anche da pigri anglofoni madrelingua.

 

Insomma un poco di autostima (se non la avete fingete pure di averla) e spavalderia, un sorriso e un incedere elegante vi daranno una mano in tutte le occasioni. È una questione di portamento. Se vi comportate come se foste a proprio agio, sarete a vostro agio.

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I consigli di un esperto di placement. Intervista a Maurizio Mesenzani.

PC Mi capita spesso che qualche studente mi chieda un parere personale su come orientarsi dopo la laurea, sapendo che il mio impegno in università è collaterale rispetto al mio lavoro principale come consulente di aziende e agenzie, è che questo mi porta quindi a conoscere dall’interno quegli stessi ambienti dove vorrebbero intraprendere una carriera.

Un mix analogo rende particolarmente interessanti i consigli che ci dà Maurizio Mesenzani, che oggi intervistiamo in veste di collaboratore esterno dell’ufficio placement dell’Università Bicocca, dov’è anche docente di master del dipartimento DISCO (informatica e comunicazione) e dove ha insegnato per tanti anni come docente a contratto nel dipartimento di Sociologia (Laurea Magistrale in Sociologia del Lavoro e dell’Organizzazione). Maurizio infatti conosce molto bene il mondo dell’impresa, perché da anni offre soluzioni manageriali e di CRM a grandi aziende come Fiat FGA Group, Vodafone, H3G, RCS.

Maurizio attualmente offre la sua competenza all’Università Bicocca come collaboratore su alcune iniziative specifiche, quali la preparazione degli studenti ed ex studenti al career day e altri seminari di placement. Gli chiediamo quindi di condividere con i nostri lettori alcuni preziosi consigli.

Trampolinodilancio: Come devono scegliere i giovani laureati a quali aziende indirizzarsi?

Maurizio Mesenzani: bisogna partire dalle proprie passioni. La scelta del tipo di azienda, settore, dimensione, collocazione geografica, stile, ecc ecc deve basarsi sulle proprie passioni, sul tipo di emozione e coinvolgimento che si prova ad immaginarsi dentro quel contesto. Bisogna conoscere tante realtà, leggere, documentarsi, guardare, domandare. La curiosità e la voglia di mettersi in gioco e di “sperimentare” sono lo strumento migliore per scegliere le aziende.

Maurizio Mesenzani, Founder e Sales Director Chorally, consulente placement dell'Università Bicocca

Maurizio Mesenzani, Founder e Sales Director Chorally, consulente placement dell’Università Bicocca

Dove cercare le opportunità di lavoro? Che ruolo hanno i social media?

A parte le agenzie per il lavoro, gli strumenti pubblici di supporto al collocamento e gli uffici placement delle università, il social network più adatto alla ricerca di lavoro è Linkedin. Ciò è vero per molte professioni. Altro canale di contatto sono gli “eventi” (generalisti o di settore) che permettono di approfondire tematiche specifiche e di creare relazioni.

Ha quale consiglio utile da dare a chi deve affrontare un colloquio?

Passione e motivazione. Un colloquio non è un ostacolo da aggirare, è un momento fondamentale per farsi scegliere e per scegliere. La scelta è reciproca! Chi affronta un colloquio deve avere le idee chiare su di sé e su chi ha di fronte; i colloqui si preparano studiando, leggendo i giornali, leggendo il web. Bisogna sapere tutto dell’azienda da cui si va a colloquio. Non si mente, non si improvvisa e non bisogna fare “i fenomeni”: al colloquio bisogna essere se stessi, con i pregi e i difetti che si hanno. La domanda da farsi non è sul tipo di “posto” che l’azienda offrirà, ma piuttosto sul “valore” che si genererà da questa relazione professionale: che valore porto io all’azienda oggi e domani? che valore dà a me l’azienda oggi e domani?

Cv e lettera motivazionale: ha qualche aneddoto o accortezza da segnalare?

Si trova in rete ogni forma di consiglio, difficile dire qualcosa di originale. Come accortezza, eviterei frasi fatte, quelle banalità stereotipate che non hanno alcun senso e che non sono facilmente riconducibili alla vita reale, tipo: “persona solare, orientata a lavorare in gruppo…”, “persona affidabile concreta orientata al risultato”…frasi con questi toni, senza esempi concreti, fanno solo rumore e spesso danno fastidio a chi legge

Quanto è importante la rete di contatti?

Il network è fondamentale: i compagni di corso sono un gruppo professionale importantissimo nel percorso di crescita, così come i docenti, i colleghi negli uffici dei primi stage, i membri della stessa community professionale. Ecco perché è fondamentale leggere e andare a eventi, convegni, conferenze… Il network serve per aggiornarsi, per attivare relazioni, per identificare opportunità, per acquisire linguaggi specifici. 

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Alessandro Giua ci presenta la prima guida italiana ai salari nell’ambito creative & tech e ci racconta com’è lavorare a Londra e perché prima o poi tornerà a Milano.

PC Alessandro Giua, dopo aver creato Crebs, che da più di quattro anni aiuta migliaia di aziende, dalle grandi imprese internazionali alle startup più innovative, a trovare i migliori profili specializzati, ha deciso di fornire un altro utilissimo strumento per far incontrare domanda e offerta: la prima guida in Italia agli stipendi nel settore creative & tech, per mettere a disposizione di tutti gli utenti Crebs un nuovo metro di giudizio e di valutazione, più trasparenza e informazione, cioè la base necessaria per una mediazione il più possibile corretta e costruttiva tra impresa virtuosa e riconoscimento delle competenze e della dignità del lavoratore. Perché, come ci spiega Alessandro, c’è un solo modo per trovare il candidato ideale: innanzitutto, offrire il giusto compenso.salari

I dati della guida sono estratti da un sondaggio promosso da Crebs, svolto in forma anonima tra i professionisti del settore. I risultati della statistica, che verranno periodicamente monitorati e aggiornati sulla base delle risposte dei nostri utenti, sono ancora parziali e puramente indicativi. Ma partendo da questi dati, e intersecandoli con altri, si può ricavare una media significativa, ed eventualmente utilizzarla, se professionisti, per negoziare il proprio stipendio, o, nel caso di un’azienda, per confrontarsi con nuove figure professionali.

Dato che mio figlio si avvicina al momento in cui dovrà scegliere “cosa fare da grande” spesso mi chiedo se sia meglio per un giovane mettersi alla prova direttamente creando una startup o cominciare in una grande agenzia dalla quale attingere esperienza e metodi. Quando mi imbatto in quelli come Alessandro che riescono a fare entrambe le cose prevale la curiosità di farsi raccontare come riesce a conciliare una carriera canonica con una grande passione, che sicuramente contribuisce al suo personal branding. Complice il fatto che conosco i suoi genitori dai tempi di Young & Rubicam approfitto del suo pochissimo tempo libero per chiedergli di spiegarci le sue scelte dall’ultima intervista che gli abbiamo fatto quando nel 2012 Crebs è stato linkato a trampolinodilancio. Come sempre Alessandro dimostra grande generosità nella sua risposta ricca di spunti interessanti.

GIUA

ALESSANDRO GIUA DIGITAL ART DIRECTOR, CREATORE DI CREBS

Alessandro Giua: Da quando hai pubblicato l’intervista nel blog, è passato un po’ di tempo e sono cambiate delle cose. E sono cambiato anche io: adesso ho la barba 🙂 Continuo a fare il mio mestiere di designer e art director, e cerco di farlo meglio, con un percorso che è ovviamente pubblico e che ho aggiornato da poco: su Linkedin, su Behance, nel mio sito: http://www.alessandrogiua.it/

Nel 2013 sono passato da Cayenne a DGT Media, come Senior art director e in seguito Deputy creative director. È stato un periodo interessante per la mia crescita professionale, ma anche faticoso. Tra il 2014 e il 2015 ho cominciato a sentire l’esigenza di mettermi alla prova in un contesto diverso da quello italiano. In Italia si parla tanto, troppo, di “innovazione”, di “rivoluzione” digitale, ma c’è ancora confusione, a volte si fa fatica a lavorare in modo lineare. Posso dire una cattiveria dedicata a tutti i “nativi digitali” come me? Se c’è una cosa di cui ho nostalgia quando penso a Milano, non è tanto la presunta “innovazione”, ma è, semmai, la solida base della “vecchia” scuola dell’advertising, del design, della creatività. Quella da cui provieni tu o i miei genitori, e che per me è un importante riferimento con cui non posso fare a meno di confrontarmi.

E se parlo di “nostalgia”, è perché ho lasciato Milano: ho accettato la proposta di una digital production company e mi sono trasferito a Londra. Non è stata una decisione facile: perdevo un ruolo interessante; lasciavo molte comodità; ma era un passo necessario. La prima soddisfazione è stata quella di lavorare a stretto contatto, finalmente, con degli ottimi developer, tra cui degli italiani che sfiorano la pura genialità. Molto bravi. E poi ho conosciuto un ambiente vivace, in continuo movimento, con un ricambio continuo. Perciò molto stimolante. Tanto stimolante che, dopo sei mesi, ho già cambiato agenzia. Adesso lavoro per Fetch, una delle più importanti agenzie tra quelle specializzate nel settore mobile. Molto marketing & strategy, perciò un po’ ostica per un creativo puro, ma è un’esperienza necessaria, perché il mobile è fondamentale, ti cambia il modo di pensare, di progettare. “Be truly mobile first”, dice il mio nuovo direttore creativo.

Poi, che altro? A Londra imparo l’inglese che non ho imparato nelle scuole di Milano (ho imparato anche a farmi le lavatrici, ma questa è un’altra storia). Ho a che fare con agenzie meglio strutturate, conosco nuovi trend e li sperimento subito sul campo. Mi concentro sul digitale in modo diverso, come non avrei mai potuto fare in Italia, vuoi per i budget, vuoi per i media a disposizione del creativo. A Londra ci sono pannelli interattivi dappertutto, il mobile è usatissimo (certo, anche in Italia, però con la differenza che a Londra con il tuo lavoro parli a 8 milioni di persone, a Milano a 1 milione; e poi, per dire, qui faccio un video che ti passa la BBC e fa il giro del mondo, che è una bella differenza).

A Londra ci sono tante possibilità per il creativo di oggi, che deve avere molte più conoscenze per spaziare da un mezzo all’altro. Ed è proprio qui che mi aiuta Londra, ad aprire la mente, a proiettarmi in un universo molto più affascinante. Certo, c’è competizione tra le persone, ma per ora la vedo in modo positivo. C’è gente molto brava, che proviene da tutto il mondo. Nel mio ufficio ci sono inglesi, giapponesi, indiani, francesi, irlandesi, tedeschi, americani, e un italiano (io). Dove lavoravo prima, a Milano, non c’era neanche uno straniero. E si pensa più in grande: cambiano i budget, ma non solo per questo il digitale qui è fatto veramente bene. Ma direi che tutto, advertising, marketing, digitale, sono fatti con competenza, e soprattutto senza quella confusione o approssimazione che percepisco in Italia, con le agenzie classiche che non sanno fare digitale, e le web agency che non sanno fare adv. Qui c’è commistione di generi e tante nuove professioni, ma è tutto perfettamente integrato. E poi ci metterei anche i motivi più personali: musica ovunque, una scena artistica in movimento, tante cose alla portata di tutti, senza inviti speciali, senza esclusive da prima blindata alla Scala. E soprattutto una scena più internazionale, forse l’unica cosa bella della “globalizzazione”: per dire, in questo preciso istante posso contattare un asiatico e lavorare insieme.

Trampolinodilancio: Come sei riuscito a mantenere il tuo impegno per Crebs in questi anni?logo

Alessandro Giua: Malgrado i nuovi impegni con il mio lavoro abituale, Crebs va avanti, e non potrebbe essere altrimenti (tu pensa che tutte le volte che ho cambiato posto di lavoro, in Italia come a Londra, una delle prime cose che dicevo nel colloquio era: io faccio anche Crebs, serve a migliaia di colleghi, e devo avere il tempo per farlo). Anzi, ci sono stati molti miglioramenti e novità da quando ci siamo sentiti l’ultima volta. Novità che non si vedono, nascoste nel motore, e altre più evidenti, come certe funzioni.

Trampolinodilancio: Da cosa nasce l’idea della Guida agli stipendi nell’ambito creative & tech?

Alessandro Giua: La guida nasce anche da una sofferenza personale per la mancanza di regole precise nell’ambito lavorativo in Italia, per quella confusione dei ruoli che, invece, non ho trovato a Londra. Confusione che si tramuta subito in una mancata soddisfazione anche economica da parte di molti colleghi e utenti di Crebs. E Crebs, è bene ricordarlo, è nato più come progetto “sociale” che come modello di business (i primi tre anni abbiamo lavorato con molto impegno, ma gratis, sempre a nostre spese), per aiutare le aziende e i professionisti ad incontrarsi attraverso degli annunci selezionati che rispettassero certe prerogative, e soprattutto la dignità, anche salariale, del lavoratore. Così è nato anche il sondaggio, che è sempre in progress, in costante aggiornamento; impreciso come tutti i sondaggi, ma utile perché indicativo e perché tende a stabilire una forchetta degli stipendi, dei limiti sotto cui non si può scendere.

Trampolinodilancio: Cos’altro ci dobbiamo aspettare da Crebs?

Alessandro Giua: Tutte le altre iniziative che seguiranno al sondaggio, come per esempio la piccola “enciclopedia” delle vecchie e nuove professioni, serviranno proprio a superare la confusione di cui parlavo, del ruolo, dei compiti, delle funzioni. Confusione – che io chiamo “colpevole”, perché serve a livellare i compensi, a pagare meno le competenze di chi è più specializzato degli altri – che può essere superata guardando a ciò che avviene all’estero, e ricordandosi che, giocando al ribasso, pagando meno del dovuto, è la qualità del lavoro che ne risente: alla fine non crescono le aziende, e non crescono i professionisti. Cito qualche caso, tanto per chiarire. Il project manager dovrebbe occuparsi della gestione del progetto, ma in Italia deve occuparsi anche di wireframing (lavoro da UX designer) o di gestione del cliente (che dovrebbe essere compito dell’account). Stessa cosa per il social media manager, figura differente dal community manager e dal social media strategist, ma spesso nelle agenzie italiane si tende a fondere tutte queste competenze in una figura-factotum, in un figaro qua figaro là. Senza parlare, poi, della confusione quando un’agenzia chiama un developer e confonde linguaggi di programmazione con linguaggi di markup.

Ma è possibile che in Italia non ci si renda conto che le figure professionali cambiano e si rinnovano alla stessa velocità dei mezzi? Prendi il ruolo del copywriter, come cambia. Le aziende hanno bisogno di copy che scrivano titoli e articoli usando un linguaggio che deve piacere, innanzitutto, ai motori di ricerca. C’era il CEO di Mashable, la rivista online di tecnologia tra le più lette al mondo (30 milioni di pagine visualizzate al mese), che alla domanda del giornalista “cosa cerchi in uno che scrive per te”, rispose “innanzitutto velocità e scrittura che favoriscano le visualizzazioni”. E perché le visualizzazioni? Perché sono fondamentali per i magazine online: l’inserzionista paga il giornale proprio per quelle.

Insomma, è un futuro in movimento, ed è un movimento a cui Crebs vuole partecipare, nel suo piccolo, anche con qualche azione solidale nei confronti dei colleghi, degli utenti. A volte mi dico che non è un caso che Crebs sia nato a Milano, e non mi riferisco soltanto alla Milano operosa, autodeterminata, aperta e solidale di cui anche un ventenne come me conosce certi stereotipi. Penso a Milano come luogo ideale per fare attivare online uno scambio produttivo tra aziende e nuove professioni, mettendo in contatto nord e sud, profonda provincia e grandi aree metropolitane, con una particolare attenzione ai giovani che cercano di uscire con le proprie gambe dall’inattività e dalla disoccupazione. Questo è quello che abbiamo provato a fare negli ultimi quattro anni, e il successo di Crebs dimostra che il progetto funziona. A chi l’ha sostenuto sinora, ai suoi utenti, a tutti gli amici di Crebs, è dedicata la guida che abbiamo appena pubblicato.

 

E ad Alessandro va il nostro ringraziamento per la guida (ho subito dato una sbirciata ai corretti livelli di stipendio di mercato!) e per tutto quello che seguirà e l’augurio di continuare a stupirci con la sua inesauribile carica di energia e di entusiasmo.

 

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Intuito e concretezza: ecco cosa ci insegna Fulvio Aniello con il suo Fashion Times. Da semplice startup a testata da milioni di pagine visitate al mese.

PC Per noi lo ha intervistato Daniela Pellegrini, già nostra collaboratrice e mia collega in Iulm.

Daniela Pellegrini: “A 21 anni ha avuto l’idea, a 22 l’ha messa in pratica, era il 2006. Stiamo parlando di Fulvio Aniello, che insieme a Elise Lefort, è co-founder di Fashion Times, web magazine che conta oggi più di 1 milione e 1/2 di utenti unici mese e 3 milioni di pagine visitate al mese. Fulvio studiava Scienze Politiche, ma la sua voglia di fare l’imprenditore e soprattutto lo sguardo e la mente aperta a quello che stava succedendo intorno a lui lo hanno spinto a muoversi in questa avventura. “From scratch”, come dicono gli inglesi è nato Fashion Times.six-thinking-hats_650

Questo è un insegnamento per i giovani, soprattutto in un contesto business come l’attuale dove si sente e si parla solo al negativo. La capacità di utilizzare i cappelli di colore diverso, per citare E. De Bono, ha spinto Fulvio a togliersi il cappello nero, quello del pessimismo, ed indossare prima quello giallo e quello verde per individuare i punti di forza della sua intuizione e cercare idee nuove, per finire poi con il cappello blu in modo da definire e dare concretezza alla sua intuizione.

Quindi, un monito a tutti i giovani che stanno finendo gli studi e vogliono buttarsi nel mondo del lavoro e della imprenditoria: abbandonate idee pessimistiche, date sfogo alla vostra creatività ed intuizione, ma verificate la fattibilità del vostro business prima di partire.

Cosa fai in Fashion Times di cui sei co-fondatore?
Mi occupo di marketing e advertising seguendo dinamiche seo e sem.
Come hai avuto l’idea?
Ci siamo accorti, nel 2006, che mancava un magazine come Fashion Times. Ci siamo subito imposti sul web come fonte di riferimento per il settore fashion.
Fashion Times è infatti un magazine che guarda alla moda e alle mode. Non parliamo solo di abbigliamento, accessori, lusso e bellezza. Affrontiamo tutte le tematiche legate ai trends del momento. Cinema, musica, hi tech e food. Tutto il panorama lifestyle del monento. Il concetto è che anche uno yogurt può andare di moda. Schermata 2015-11-03 alle 16.33.22
Qual è la caratteristica più importante/elemento differenziante di FT?
L’applicazione di attività legate al web marketing in tutte le pubblicazioni editoriali. Un aspetto maniacale per tutto quello che riguarda l’indicizzazione sui motori di ricerca e una grandissima passione. Senza passione non riesci a importi per 9 anni. Il prossimo anno festeggeremo 10 anni di attività.
Quali sono gli errori che hai fatto e non rifaresti?
Affidarmi a persone dalle grandi promesse. Chi promette troppo, il più delle volte ti inganna. La cosa più importante è trovare le persone giuste con cui lavorare.
Cosa hai imparato dagli errori?
Ho imparato che tutti i problemi sono risolvibili e che probabilmente la prima soluzione – quella più istintiva – che ti viene in mente, è la ricetta giusta per risolvere quel determinato problema. Gli errori ben vengano. Fanno crescere e creano struttura.
Cosa consigli ad un giovane che vuole intraprendere una idea di business?
Consiglio di lanciarsi con passione. Tanto al giorno d’oggi tutto sembra difficile. La difficoltà è un parametro legato alla paura di fallire… ma sempre meglio provarci che vivere di rimpianti.”

Un invito stimolante per tutti i giovani e non solo. Gettiamo via il cappello nero del pessimismo che spesso si camuffa in ragionevolezza e ci paralizza!

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Il lavoro del futuro? Elena Sacco ci racconta cosa è emerso all’evento Job Future

11201180_1203700366312761_6010311211212588405_nPC Abbiamo chiesto a Elena Sacco, Direttore IED Management e Comunicazione Milano, di raccontarci cosa è emerso durante l’evento Job Future, che si è tenuto giovedì sera alla sede dello Ied.

Elena Sacco: “L’evento Job future aveva l’obiettivo di conoscere i nuovi orizzonti nelle professioni della comunicazione.

Abbiamo avuto una registrazione record di 144 partecipanti su Eventbrite ed in sala circa 100 partecipanti. Senza dubbio il tema era di grande interesse non solo per gli studenti ma diversi opinion leaders e il TG di La7Gold ha intervistato il parterre.

Per noi e’ stato molto interessante leggere i nuovi scenari con i protagonisti di questo mestiere e alcuni learnings sono fondamentali per poter anche adeguare la nostra offerta formativa nella direzione del mondo del lavoro. Una considerazione su tutte: la rinascita dei contenuti con la professione di content manager e copywriter sempre piu’ richiesta. Per fortuna siamo stati in grado di leggere questa tendenza in anticipo e abbiamo gia’ i secondi anni del Triennale che possono scegliere la specializzazione in Content/Copy e l’anno prossimo potranno affrontare il mondo del lavoro! Mentre abbiamo lanciato i corsi part-time di Digital Editor e Content&Copywriting per dar modo a chi già lavora di accrescere le proprie competenze.”

All’evento hanno partecipato Simona Maggini, CEO YOUNG&RUBICAM Italia/VMLSilvia Mauri, HR Director WE ARE SOCIALMaggie Priori, Brand Manager ROBERTO CAVALLIClaudio Burchi, Account Director FUTUREBRAND e Alicia Lubrani, Head of Consumer Communication SAMSUNG

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Come gestire meglio il tempo e aumentare la produttività

PC La mia collega in Iulm Daniela Pellegrini, da qualche mese collaboratrice di trampolinodilancio, ha fatto, come tutti noi, una serie di buoni propositi al rientro dalle ferie, tra cui quello di trovare più tempo da dedicare a se stessa. Con approccio pragmatico ha prima individuato una tecnica di time management davvero originale ed è poi riuscita a intervistare chi l’ha ideata: Francesco Cirillo, un italiano trasferito a Berlino, che in un mondo di applicazioni e smartwatch crede che la soluzione più efficace sia puntare simbolicamente un timer da cucina e procedere per segmenti di 25 minuti.

Ecco la spiegazione della tecnica e dei vantaggi nell’intervista di Daniela Pellegrini

“COSA E’ LA POMODORO TECHNIQUE?

La Pomodoro Technique e’ una tecnica di time management.

Spesso si usa il termine time management in modo improprio: si confonde la causa con l’effetto. Aumentare la propria produttività vuol dire riuscire a fare una di queste due cose: aumentare la quantità prodotta in un definito periodo di tempo (per esempio, riuscire in un mese a preparare tre esami universitari invece di due), oppure impiegare meno tempo per ottenere una certa quantità di prodotto, (per esempio, riuscire a preparare due esami universitari in due settimane invece che in un mese). L’aumentato livello di produzione o il risparmio di tempo conseguito sono quindi “l’effetto”. Veniamo alle cause. Ci sono almeno tre fattori che determinano la nostra produttività e quindi possono consentirci di risparmiare tempo: come prendiamo le nostre decisioni, come organizziamo le informazioni e come organizziamo il tempo. L’errore comune e’ considerare tecniche di time management qualsiasi approccio capace di generare un risparmio di tempo. Le tecniche di time management sono invece quelle che intendono ottenere un miglioramento di produttività attraverso la definizione di una strategia o un modello per  organizzare il tempo.

COME FUNZIONA

Tutti noi sappiamo cosa vuol dire dipendere dal tempo. Correre e’ in genere l’effetto di questa dipendenza. Una corsa ansiosa “contro” il passare del tempo può far diventare impossibili da completare anche le attività più semplici.

E’ inutile e dannoso competere con il tempo: perderemo sempre. Invece di far questo, la Pomodoro Technique intende “invertire la dipendenza col tempo” e rendere cosi’ possibile fermarsi, ragionare, essere lucidi e focalizzati: avere il tempo come alleato. Come? Creiamo dei contenitori in cui mettere il tempo: il tempo dipende cosi’ da questi contenitori; noi non dipendiamo più dal tempo, ma da questi contenitori di tempo. Facciamo in modo che questi contenitori abbiamo la durata ideale per favorire la nostra concentrazione, consentirci di gestire le eventuali interruzioni che sentiamo dentro di noi o che provengono dall’ambiente in cui ci troviamo, e soprattutto farci respirare. Il Pomodoro e’ questo contenitore: 25 minuti senza interruzioni. Per misurare i 25 minuti usiamo un timer di quelli da cucina. Funziona cosi’: decidiamo cosa fare, carichiamo il timer sui 25 minuti e lavoriamo fino al Riiiing del timer, quindi facciamo una pausa di qualche minuto. Possiamo fare di più. Possiamo organizzare questi pomodori in modo sensato. Per esempio, ogni quattro pomodori facciamo una pausa piu lunga; oppure assegniamo le attivita’ piu’ creative ai pomodori di prima mattina; oppure decidiamo che l’ultimo Pomodoro di lavoro della nostra giornata lo dedichiamo a pulire e riorganizzare scrivania, appunti, laptop e penne per il giorno seguente. Attraverso l’osservazione dei nostri Pomodori impariamo a conoscerci e a metterci in relazione con il tempo in modo produttivo. Quando ci sentiamo poco motivati, sappiamo che “il prossimo Pomodoro andrà  meglio”.

COME PUO’ ESSERE UTILE NELLA GESTIONE DEL TEMPO DELLO STUDIO

Ci sono almeno tre benefici che si possono ottenere applicando la Pomodoro Technique allo studio:

Focalizzazione – Certo, riuscire a lavorare venticinque minuti senza interruzioni consente di aumentare la produttività, ma sono le pause al termine di ogni Pomodoro a favorire lucidità e concentrazione.

Organizzazione – Studiare comprende un numero di attività con caratteristiche molto diverse tra loro: cercare, leggere, sintetizzare, ripetere o scrivere. Ognuna di queste attività richiede non solo strumenti diversi, ma anche “il proprio tempo”. Quale Pomodoro della giornata dedicare a una di queste attivita’ e’ il risultato di una scelta consapevole: di una sensibilità sviluppata nei confronti del tempo. Personalmente trovo efficace: cercare, dopo pranzo; leggere e prendere appunti, nel pomeriggio; e ripetere o scrivere, la mattina del giorno dopo… E voi?

Realismo – Non vogliamo svegliarci a due settimane dagli esami e non avere una chiara idea di quanto abbiamo fatto e di quanto manca per passare a pieni voti l’esame. L’applicazione della Pomodoro Technique può aiutarci in due modi. Il processo di auto-osservazione che si rinnova a ogni Pomodoro, porta nel tempo a ridurre gli errori di stima: diciamo che ci metteremo un mese per prepararci e al termine del mese saremo pronti. Se inoltre impariamo ad assegnare a ogni Pomodoro un obiettivo di “valore” e non solo di “sforzo” – “saper rispondere alle domande alla fine del capitolo”, piuttosto che “leggere dieci pagine” – potremo non solo monitorare in modo accurato lo stato del nostro progetto di studio, ma anche motivarci e trovare nuova energia.

CHI SEI TU

Sono un ex studente, un esploratore e un imprenditore di una azienda che si occupa di trovare modi semplici di aumentare la produttività e di far crescere i nostri “prodotti” (idee, software, libri, etc.).

COME TI E’ VENUTA L’IDEA DI SVILUPPARLA

Quando studiavo all’università avevo grossi problemi a concentrarmi. Osservandomi sono arrivato a trovare una soluzione per il mio problema. Poi ho visto altre persone con il mio stesso problema e la tecnica ha funzionato anche per loro.”

 

Per maggiori informazioni potete visitare il sito pomodorotechnique.com e non perdetevi il nuovo libro che Cirillo sta finendo …. Waaaaaah! Decision Making Model (waaaaaah.com). Il tema che affronta è come prendere decisioni efficaci in contesti di incertezza. Direi che dovrebbe esserci utile!

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