Archivio mensile:febbraio 2015

Cercare lavoro è come un corteggiamento

PC Giovanna Landi, la mia ex studentessa IULM che rimane appassionata di Personal Branding anche dopo averci dedicato la tesi di laurea, ci ha mandato un nuovo articolo che ben volentieri pubblichiamo. “Qualche mese fa ho partecipato al seminario “Effective Presentation” in Bocconi, tenuto da Simone Bandini Buti. Avevo già avuto l’onore di partecipare ad altri suoi seminari sul “Team Building” e sulla “Comunicazione Efficace” e devo ammettere che ogni volta rimango colpita da come riesca a coinvolgere i partecipanti mettendo in pratica il suo motto “imparare divertendosi”. Il seminario si è presto trasformato in una carrellata di consigli e aneddoti riguardo la stesura di cv e lettera di motivazione e sul colloquio, con molte metafore divertenti quanto efficaci sulla ricerca del lavoro come un corteggiamento amoroso. E proprio questa bizzarra analogia mi ha fatto tornare in mente tutte le volte che, studiando Marketing, finivo inevitabilmente per applicare i concetti alla vita amorosa, in modo da fissarli e ricordarli meglio (per esempio, diversificazione del rischio di portafoglio= provarci con tante persone diverse così anche se uno dice di no, rimangono gli altri). Sarà per questo che sono single? Forse sì, ma continuo a trovare queste similitudini tanto insolite quanto estremamente d’impatto.

Cercare lavoro è, per certi versi, esattamente come un corteggiamento: per esempio bisogna dimostrare interesse per la persona che si corteggia. Ci sogneremmo mai di approcciarci in questo modo con una persona che ci piace?

Vorrei uscire con te

No. E allora perché continuiamo a farlo nei confronti di chi valuta e seleziona il nostro profilo professionale?

DOMANDA DA PORCI

O ancora: se vogliamo conquistare l’attenzione di una persona è più efficace farle un complimento rivolto a una sua reale caratteristica, o è meglio un approccio standard come questo?

Hai degli occhi bellissimi

 

Ovviamente è più efficace un approccio personalizzato e allora perché continuiamo a mandare lettere di motivazione come questa?Letteramotivazione

(scusate la qualità delle vignette che ho fatto io con photoshop!)” Giovanna Landi

Penso che i nostri lettori sapranno apprezzare la qualità dei contenuti – senza fermarsi alla forma non perfetta – e la proattività dimostrata, grazie Giovanna! Quando hai un attimo devi raccontare come hai saputo proattivamente corteggiare l’azienda nella quale sei stata presa come stagista.

 

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Un esempio di come non scrivere una lettera d’accompagnamento

PC Le mamme manager che abbiamo ascoltato sono davvero indispensabili per i loro bambini, ancora  molto piccoli, e per questo devono wrapdestreggiarsi tra mille incombenze come una dea Kali. Ma anche quando il figlio diventa grande una mamma oltre che lavoratrice è quasi sempre anche cambusiere, maggiordomo, istitutore. Tra questi compiti, l’ultimo è quello che preferisco perché, avendo smesso di essere utile  nelle materie scientifiche a cavallo tra le elementari e le medie, vengo coinvolta solo in interessanti ripassi di materie umanistiche. In questo contesto ho recentemente riscoperto il valore pedagogico che i filosofi greci attribuiscono all’esempio.

Per chiarire meglio un tema che rimane tra i più visualizzati di questo blog userò quindi una vera lettera che ho recentemente ricevuto in modo da evidenziarne i più palesi errori e sperare che chi ci legge li eviti. Spero che l’autore non sia un nostro lettore (altrimenti mi farei delle domande sull’utilità di questo blog), ma se lo diventasse mi perdonerà se mi permetto di riportare con fedeltà (ma escludendo ovviamente la firma) la sua lettera.

Due parole sul contesto: la lettera arriva via mail in accompagnamento al curriculum al mio indirizzo mail di Media Arts, la società leader nei concorsi ludico-didattici nelle scuole con la quale collaboro. Eccola:

Gentilissimi,

inoltro il mio cv per evntuale collaborazione.

Da quattro anni lavoro presso un’agenzia di comunicazion e pr occupandomi di attività quali: creazione mailing list, contatti con i giornalisti  eblogger, re-call e follow-up, organzzazione eventi (press day, press tours, ecc), stesura comunicati stampa, coordinamento social media, coordinamento product placement, ecc.

Nel caso il mio profilo potesse interessare sarei lieto di presentare personalmente la mia candidatura.

Ringraziando per l’attenzione invio cordiali saluti.

Ecco le varie motivazioni per cui non ho mai chiamato e incontrato personalmente questo candidato:

Gentilissimi

  • dal momento in cui la lettera è indirizzata a me, sarebbe stato decisamente meglio aprire con Gentile dottoressa Chiesa, più immediato e diretto

inoltro il mio cv per evntuale collaborazione.

  • Scrivere in modo conciso non vuol dire adottare uno stile telegrafico.
  • Gli errori di typing sono imperdonabili, ancora di più in una lettera che è evidentemente standardizzata.
  • Manca totalmente un’apertura sul motivo per cui il candidato è interessato alla nostra società. Dal sito è immediatamente comprensibile il tipo di servizio che offriamo, sarebbe stato opportuno dar prova di conoscere e manifestare interesse per le attività svolte. Ricordatevi che la prima frase (ne abbiamo parlato in un altro post) va dedicata all’azienda alla quale scrivete e personalizzata di conseguenza.

Da quattro anni lavoro presso un’agenzia di comunicazion e pr

  • sorge il dubbio che la tastiera del pc abbia il tasto della “e” difettoso

occupandomi di attività quali:

  • meglio evitare i gerundi che rendono meno incisiva la frase, che prende un ritmo più assertivo se scrivete dove mi occupo, e mi occupo, eccetera

creazione mailing list, contatti con i giornalisti  eblogger

  • se non si tratta di un acronimo che non conosco penso manchi uno spazio tra la “e” e la parola “blogger”

re-call e follow-up, organzzazione eventi (press day, press tours, ecc), stesura comunicati stampa, coordinamento social media, coordinamento product placement, ecc.

  • La tastiera ha problemi anche con la “i” e chi ha scritto non ha riletto neppure una volta. Essendo una persona che si occupa di contatto con i giornalisti e stesura comunicati stampa, e non di uno scienziato poco avvezzo alla scrittura, questa sciatteria diventa piuttosto inquietante

Nel caso il mio profilo potesse interessare sarei lieto di presentare personalmente la mia candidatura.

  • Non è emerso nessun elemento dalla mail che possa incuriosire, colpire, attrarre. Immaginatevi un prodotto che si presenti con la stessa verve: lo comprereste?

Apro il cv allegato solo perché sto scrivendo questo post e scopro che il candidato ha frequentato lo Iulm: con una breve scorsa al mio profilo Linkedin avrebbe scoperto che ci insegno e avrebbe potuto farne menzione, accendendo per lo meno la mia curiosità. Vedo anche che ha un interessante percorso di studi e di stage, e che è bilingue. Insomma un “prodotto” sorprendentemente interessante presentato nel peggiore dei modi.

Questa mail è un esempio del fatto che l’abito fa il monaco: la lettera d’accompagnamento è un involucro che permette al vostro cv di arrivare nelle mani di chi vi deve giudicare:  può essere uno stupendo incarto piegato con cura giapponese o un foglio di carta da regalo evidentemente riciclato. A voi la scelta.

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COME ESSERE MAMME E DONNE MANAGER: TRE TESTIMONIANZE

PC Abbiamo chiesto ad alcune mamme che ricoprono ruoli di responsabilità nell’ambito del marketing e della comunicazione come sono riuscite a conciliare la maternità con la carriera, contattando anche una mamma che lavora all’estero e aspettandoci il racconto idilliaco di asili aziendali, benefit speciali, massima tolleranza. Abbiamo invece, con una certa sorpresa forse dovuta a un’inconscia tendenza a criticare il nostro paese e mitizzare le condizioni negli altri, raccolto delle esperienze molto più positive da parte delle mamme che lavorano in Italia ed entrambe per aziende italiane! Partiamo con questi esempi positivi, che ci rincuorano sulla possibilità di districarsi tra pannolini e marketing plan!

di stasi

Mariavittoria Di Stasi

Mariavittoria Di Stasi, Vogue Brand Director in Luxottica, è una vecchia conoscenza di trampolinodilancio che nei due anni e mezzo trascorsi dall’intervista che le abbiamo fatto è diventata mamma di Eleonora ed è rientrata al lavoro dopo la pausa maternità. Le abbiamo innanzitutto chiesto come si è organizzata.

Mariavittoria Di Stasi: Ho trovato una tata dolcissima e super empatica con la bimba. Le vuole bene come se fosse sua figlia e io mi sento serena sapendola con lei.

Per il primo anno, ho preferito questa soluzione ma con il compimento del secondo anno di vita ci dovremo settare su un nuovo equilibrio (nido+baby sitter) per alimentare la socialità con altri bambini.

In cosa ti ha aiutato l’essere mamma nel lavoro?

A concentrarmi sulle priorità (vere) imparando a dire qualche volta di no per focalizzare tempo e risorse su ciò che è realmente di valore aggiunto.

In cosa ti ha danneggiato l’essere mamma nel lavoro?

Per il momento mi sentirei di dire che non ho avuto particolari problemi. Ho sicuramente meno tempo per fare networking davanti a un caffè con i colleghi ma anche questa dimensione si sta riequilibrando, con un po’ di organizzazione e disciplina.

Quali pensi siano vantaggi e svantaggi per tua figlia?

Il vantaggio è di avere una mamma soddisfatta ed equilibrata, lo svantaggio è di non avermi con sé quanto vorrebbe!

Un quadro incoraggiante, che viene confermato anche da Simona Bianco, Global Innovation Manager in ILLVA Saronno, alla quale chiediamo innanzitutto di raccontarci qualcosa di se stessa.

bianco

Simona Bianco

Simona Bianco: Ho “29+” anni, sono napoletana di origine, milanese di adozione. Mi occupo con entusiasmo di marketing da più di 10 anni (ora che li conto sono tantissimi!!!) e da quattro lo faccio in ILLVA Saronno, azienda produttrice di alcuni tra i Brand di alcolici più famosi al mondo come Disaronno. I viaggi, il mare e la musica sono la mia passione. Sono mamma di Greta, una mia bimba di quasi 9 mesi, simpaticissima e sempre allegra.

Nella tua carriera da marketing manager come hai affrontato la scelta della maternità?

Io ho sempre amato molto il mio lavoro, per questo sono arrivata a diventare mamma a 36 anni. Al di là del sentirmi pronta come donna, ci sono stati diversi motivi per cui ho rimandato la scelta nel tempo. Temevo in un rallentamento della crescita professionale e di una serie di difficoltà organizzative dettate da un lavoro a tempo pieno e i genitori (futuri nonni) lontani. Ma, come mi dico spesso, il segreto per andare avanti è iniziare, e quindi il momento è arrivato. Non sarebbe stato così in un momento professionale di forte ascesa o passaggio ad un’azienda nuova. La maternità richiede dei cambiamenti che pongono te e l’azienda in cui lavori in condizione di adeguarsi. E per questo ci vuole tempo.

In che senso?

Innanzitutto in termini di organizzazione delle persone. Perché per quanto tu possa lasciare i progetti ben avviati e con fasi di validazione chiare, se vai via per almeno 6 mesi è necessario che qualcuno faccia le tue veci. E non è detto che questa persona sia già in azienda oppure, se c’è, magari è ancora junior.

Come ti sei organizzata al rientro?

Il primo passo è stato capire quando sarebbe stato il momento giusto per rientrare in ufficio. Io ho deciso di aspettare che Greta fosse completamente svezzata per ricominciare a lavorare. Un marito libero professionista e la tata giusta sono i miei asset vincenti per uscire di casa tranquilla e affrontare il lavoro serenamente. Adesso e per i prossimi 3 mesi, inoltre, posso godere di un orario ridotto (6 ore anziché 8+) che spetta alle mamme fino all’anno di età dei figli. Devo ammettere poi che la mia azienda rispetta molto questo limite di orario anche in piccole attenzioni che non sono affatto scontate.

Ad esempio?

Come ad esempio il fatto di non pianificare riunioni alle 15.30! E questo fa molto la differenza perché al di là dell’obbligo di legge (le due ore di permesso sono una concessione di legge) c’è forte rispetto reciproco, apertura e disponibilità.

In cosa ti ha aiutato l’essere mamma nel lavoro?

Al contrario di quanto si possa pensare – e che spesso si fa fatica a capire – il periodo di maternità non è stato affatto una pausa dal lavoro, ma un training continuo su attività quali priority setting, problem solving, multitasking, sviluppo del pensiero parallelo e people management. Non sono forse queste le soft skills più frequenti che vengono richieste da chi ti assume?

In cosa ti ha svantaggiato l’essere mamma nel lavoro?

Per il momento nessuno svantaggio se non quello di non essere ancora completamente libera di fare lunghe trasferte. Per fortuna, l’azienda ha assecondato questa mia esigenza e, nella revisione dell’organizzazione, mi ha affidato un ruolo che non richiede frequenti spostamenti. Diversamente rispetto a prima, utilizzo di più gli strumenti di video call e sono totalmente indipendente nella gestione delle visite ai mercati esteri. Sono certa che questa scelta continui ad essere vista dall’azienda come una conferma dell’impegno e del valore che, come prima, hanno caratterizzato il mio approccio al lavoro e che quindi la carriera possa proseguire con slancio.

Quali pensi siano vantaggi e svantaggi per tua figlia?

Essere una manager soddisfatta ed appassionata mi rende felice. È questo il maggior vantaggio per la mia bimba. Quale figlio la sera vorrebbe trovarsi di fronte una mamma arrabbiata o scontenta? Svantaggi per Greta al momento non ne vedo. D’altra parte io stessa sono figlia di due genitori che hanno sempre lavorato a tempo pieno!

E allora come mai tutta questa reticenza a diventare mamme se si è donne in carriera? È solo uno stereotipo?

Forse quel che manca in Italia, e che favorirebbe molto la conciliazione tra questi due mondi, è una cultura più aperta agli orari flessibili, all’home working, alla diversity nel top management, ai servizi a sostegno della famiglia. Un approccio simile migliorerebbe la qualità della vita di noi mamme manager. Un valore che sono certa saremmo in grado di riversare anche sull’attività lavorativa. Ma sono discorsi molto più ampi, legati ad una cultura italiana ancora troppo lontana dagli standard europei, anche se qualcosa sta cambiando.

Cosa?  

Ci sono aziende che già dedicano un’attenzione particolare alle donne che rientrano dalla maternità, offrendo la possibilità di usufruire di orari flessibili, bonus mirati all’acquisto di servizi per la famiglia (ad esempio estensioni dell’assicurazione sanitaria ai figli) oppure prospettando percorsi di carriera chiari, adeguamenti di stipendio. Insomma, investono sulla base di quanto la persona ha sino ad allora dimostrato di valere e, ovviamente, sul suo potenziale di crescita. D’altronde migliori sono le prospettive al rientro dalla maternità maggiori sono le probabilità che le mamme rientrino prima, felici e motivate. Forse sono ancora pochi casi virtuosi, ma è un buon inizio.

Guardando indietro rifaresti tutto?

Assolutamente sì, anche domani. Ma non ditelo al mio capo!!!

Simona auspica l’aumento in Italia di formule più flessibili  e di una serie di servizi a sostegno della famiglia, ma da quanto ci racconta Elisa Pugliese neppure in Germania, una delle nazioni europee con il maggior tasso di occupazione, la situazione è così rosea come pensavamo, e come probabilmente lei stessa si aspettava, visto che  nell’ultima intervista ci era apparsa convinta di aver fatto la scelta giusta scommettendo su una crescita professionale oltreconfine (vive e lavora a Dusserdorf). La ritroviamo molto più critica sul trattamento che una madre ottiene sul lavoro in Germania.

Elisa Pugliese

Elisa Pugliese

Qual è la tua situazione attuale: cosa fai e quanti anni ha tua figlia?

Elisa Pugliese: Mia figlia ha 31 mesi. Io sono una mamma-single, come il 20% delle famiglie tedesche (1,6 milioni di cui il 96% mamme single e il 4% padri single), e non ricevo gli alimenti dal padre di mia figlia nonostante mi spetterebbero per legge fino al 36° mese di mia figlia. Il tribunale minorile da Aprile 2013 non ha ancora elaborato la nostra pratica – questa è una parentesi sull’efficienza delle istituzioni tedesche.

Fino a fine marzo 2015 lavorerò per una società di analisi di dati seguendo clienti del settore cosmetica e profumeria in Germania.

In realtà io sono un´esperta di market intelligence/market research e brand building internazionale, ma dopo la nascita di mia figlia ho provato a cercare un lavoro più sedentario con meno viaggi di lavoro.

Mi era stato prospettato un part time di 32 ore, e per 32 ore vengo anche pagata, mentre in realtà molte settimane chiudo con 45-55 ore, senza avere gli straordinari pagati bensì molti costi di babysitter! E viaggio più del previsto, dovendo partire alle 6 del mattino e tornando alle 9 di sera, senza che ovviamente ci siano asili disponibili a fare questi orari.

Il prezzo umano lo lascio commentare al lettore…

Come ti sei organizzata?

Ho iniziato a lavorare nel Novembre 2012 che mia figlia aveva 4 mesi con la speranza di reintegrarmi al più presto nel mondo del lavoro. Il posto all´asilo pubblico (costo 350 Euro al mese per 40 ore) però lo abbiamo avuto a Agosto 2014.

Tra Novembre 2012 e Agosto 2013 ho supplito con una Tagesmutter (baby sitter al proprio domicilio) e baby sitter private. Poi da agosto 2013 a Agosto 2014 con un asilo privato che mi costava circa 1300-1600 Euro al mese per 40 ore e quando viaggiavo per lavoro integravo con la baby sitter privata. Spendevo più di quello che guadagnavo ma l´ho fatto sperando ne valesse la pena per avere poi un posto fisso e una posizione sicura.

Quali sono le differenze nel lavorare in Germania per una mamma? Le mamme lavoratrici sono più garantite?

Il mito del Welfare tedesco vale solo per chi ha situazioni standardizzate, ossia “lavoratore statale con famiglia tradizionale”. Il che non corrisponde alla realtà per molti.

Secondo la legge le donne hanno diritto a 12 mesi di maternità pagati al 70% dello stipendio netto medio degli ultimi due anni precedenti la maternità e gli uomini a due mesi di paternità alle medesime condizioni economiche.

Le donne possono prolungare la maternità fino a tre anni mantenendo la garanzia del posto di lavoro, ma senza retribuzione.

In realtà le categorie di lavoro in cui si inserisce la maternità si possono sintetizzare cosi (ciascuna l´ho vissuta nel mio giro di amici o nelle mie esperienze dirette):

  1. Lavoratori statali non licenziabili => hanno maternità regolare, possono rientrare dopo 3 anni con un part-time anche solo di 10 ore e questo gli è dovuto, non sono ricattabili e possono far valere i propri diritti
  2. Lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato => hanno maternità regolare, possono rientrare dopo 3 anni ma sono ricattabili sul part time e vengono discriminati se prendono oltre i 12 mesi di maternità o se gli uomini fanno valere il proprio diritto ai due mesi di paternità. I loro diritti però possono venire difesi legalmente
  3. Lavoratori dipendenti con contratto a tempo determinato => hanno maternità regolare, poi però il loro contratto non viene rinnovato/confermato e restano disoccupati
  4. Lavoratori autonomi => hanno maternità in relazione ai profitti generati nell´anno precedente alla nascita del figlio ma nessuna tutela e cercano di lavorare il prima possibile per non perdere la clientela.

Inoltre legalmente ci sono tre categorie di “famiglie”:

  1. Famiglie tradizionali con figli nati nel matrimonio tra madre e padre
  2. Coppie conviventi con figli nati senza che i genitori fossero sposati
  3. Mamme senza partner

E poi dipende anche una che mamma vuole essere, che autoconsapevolezza e a che modello di madre aspira (anche in questo caso ne conosco molteplici sfaccettature, che semplifico): c´è chi è convito che i bambini abbiano bisogno di figure di riferimento e rituali/abitudini per sviluppare una personalità sana ed emotivamente stabile, e ci sono donne convinte che i bambini in qualche modo si arrangiano/se ne fanno una ragione e che si sentono più appagate a lavorare.

In che cosa ti ha aiutato l´essere mamma nel lavoro?

NULLA. A mio parere avere un figlio è un handicap per il lavoro. Le aziende non hanno considerazione né rispetto né tolleranza per la situazione famigliare dei dipendenti. I dipendenti devono lavorare e produrre, il resto non interessa.

Quali pensi siano vantaggi e svantaggi per tua figlia?

Esiste un detto in Germania “ciascuno ha il proprio pacchetto da portare”. Mia figlia ha il suo e non è poco…  io cerco di farla crescere emotivamente stabile e farle sviluppare una personalità sana. Quando non posso occuparmene personalmente scelgo con cura le persone a cui affidarla e che lei prende come riferimento.

In concreto aver frequentato altri bambini fin dalla tenera età e aver avuto diverse persone di riferimento ed esperienze di gruppo le ha consentito di sviluppare conoscenze e attitudini – nonché il bilinguismo – che io da sola non avrei potuto valorizzare.

Il rovescio della medaglia è che non le ho potuto garantire rituali nella vita quotidiana, ad esempio non dorme ancora da sola perché l´esser strapazzata da un posto all’altro crea disorientamento, ha ancora il pannolino perché non riusciamo a trascorrere 2-3 settimane “normali” di fila per abituarla a stare senza pannolino.

Tre esperienze con diverse sfaccettature. Non ha caso un blog scritto da una mamma lavoratrice (si chiama 50sfumaturedimamma.com) ha raccolto più di cento fenomenologie di mamma (una più divertente dell’altra).

Se credete di avere una ricetta per far lievitare la felicità unendo sapientemente figli e carriera raccontatecela, o scriveteci anche semplicemente qual è la vostra esperienza di mamme lavoratrici.

 

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Carriera e figli? Si sopravvive recitando

PB Pare che la maggior parte dei manager maschi italiani siano stati partoriti da donna. Ci sono solo pochi esempi di partenogenesi o di prodotti sintetici (io ho avuto un capo androide, ma appunto si tratta di eccezione). Nonostante questo fatto piuttosto evidente, la maternità – per fare carriera – rappresenta ancora un ostacolo. Una donna in Italia (magari anche altrove, non so) ha solo due possibilità per non essere considerata una balia: o non fare figli (che noia, sono obiettivamente la cosa più carina che chiunque di noi possa fare) o mentire.

Io ho mentito sempre. Con caparbietà e coerenza. Più che mentire ho commesso molti peccati di omissione. Continuamente.

Se ti assenti dal lavoro perché fai la maratona di NY sei figo. Se stai a casa perché operano tuo figlio o perché ha 40 di febbre non sei abbastanza dedita al lavoro. Se esci alle 15 per una partita a squash ti aspettano tutti. Se esci per mettere l’apparecchio al Fede, quando torni hanno dato il progetto a un altro. Se la sera vai a teatro sei colta. Se vai alla festa di Natale (dura uguale ma è professionalmente meno qualificata e necessaria per la tua carriera parallela di mamma) sei una mammoletta.

Ergo: nessuno se non eccezionalmente e per aneddoti divertenti saprà mai che la strana creatura, bassa e piuttosto pasticciona, che gira per casa tua è tuo figlio. Forse è un extraterrestre. Una scultura semovente, un ologramma. In ogni modo non è un essere che richiede la tua attenzione, il tuo affetto, il tuo tempo, la tua mente. Per colleghi e capi tu pensi solo alle collezioni e al budget. Nei momenti di relax tra una riunione l’altra ascolti piena di interesse aneddoti su tabelle di performance, allenamenti, regate e integratori alimentari (la mia generazione ha colleghi – e mariti – che si trasformano in bozzoli fasciati di Lycra prima e dopo l’ufficio, maratoneti, iron-men, ciclisti, fondisti, velisti, golfisti.  Purtroppo gli eroinomani degli anni ‘70 si contano sulle dita di una mano). Hai un figlio certo, di cui non parli quasi mai, che fa tutto da solo.

Naturalmente non ti lamenti mai di lui (altrimenti sei una rompipalle), né dai segno di trascurarlo (il collega/capo maschio ti considererebbe anaffettiva e contro natura dato che è fondamentalmente un mammone): semplicemente per miracolo tu hai prodotto l’unico bambino al mondo che fa il bagno senza lamentarsi, cucina per tutti la sera, finisce i compiti prima che tu torni a casa, non si ammala mai, non ha bisogno di andare in bagno quando ha già su la sciarpa e tu hai un aereo in partenza,  non vuole andare alle feste di compleanno quando la tata non è disponibile, non desidera che tu lo accompagni al pedibus almeno una volta alla settimana, non vorrebbe che tu cucinassi una torta per la festa della scuola, né che confezionassi una Pigotta come le altre mamme.

Io per fare carriera ho fatto fare la Pigotta alla Marisa (mitica e fantastica  modellista in Giorgio Armani: la mia Pigotta era la più bella della scuola), ho ripassato le province del Piemonte mentre i colleghi pensavano che per me il Piemonte fosse solo una meta per lo sci, ho fatto il pedibus solo 3 volte nascondendomi dietro il traffico dei cantieri EXPO, non ho mai fatto una torta (non sarei stata capace neanche da disoccupata) non ho mai avuto una sua foto in ufficio e sono allegramente sopravvissuta amando mio figlio di nascosto dal mio capo. Che aveva sul tavolo le foto dei suoi figli.

L’unico a cui ho mentito / omesso di più che al mio capo è stato mio figlio. Il quale crede che io abbia un lavoro che non mi occupa, né mente, né attenzione, né passione. Il mio lavoro è semplice e si fa tutto da solo. Sto solo un po’ lontano da casa per pensarlo meglio da lontano e gustarmi di più l’abbraccio alla sera.

Così io ho surfato su tutti i pregiudizi , ho avuto il pudore della mia felicità, e ho fatto la mia carriera (non avrei fatto di meglio se non avessi avuto figli, anzi magari sarei stata meno felice, proattiva, ottimista e lungimirante), ma Paola ha sottomano un paio di manager che si stanno districando tra pannolini e Marketing Plan. Sentiremo presto la loro versione dei fatti.

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