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Tre doti per avere successo nel lavoro

PC In inglese suona meglio, perché l’iniziale è la stessa, ma lo spunto è comunque interessante: GROWTH (capacità di crescere), GRIT (grinta) e GIVING (capacità di dare) sono le tre doti che permettono di fare una carriera di successo. Lo dice Bruce Kasanoff, un esperto della materia, in un articolo su Forbes che sintetizza alcuni studi sulle caratteristiche di chi riesce ad affermarsi nel lavoro (ma non solo).growth-grit-giving

Growth è la capacità di evolversi, caratteristica diventata ancora più indispensabile in un ambiente sempre più liquido. Se pensate che le vostre abilità siano ormai acquisite, difficilmente riuscirete ad ottenere gli stessi risultati di chi pensa che – con un certo sforzo – potrà espandere le proprie capacità. Growth è quella forma mentis che permette a uno stagista di rendersi utile in ambiti diversi dalla sua formazione scolastica, facendosi così notare ed apprezzare. Ma è anche quella forma mentale che grazie alla quale a cinquant’anni imparate a suonare uno strumento, riprendete a nuotare dopo un’operazione alla spalla e diventate esperti in digital engagement, pur non essendo nativi digitali.

Grit è l’attitudine a non arrendersi facilmente, a stabilire obiettivi a lungo termine e impegnarsi per raggiungerli. È quella luce che brilla negli occhi di alcuni studenti che ti fa subito capire che avranno successo. È il motivo per cui nel lavoro paga di più la passione e la determinazione che il quoziente d’intelligenza, come spiegala psicologa Angela Duckworth in un TED talk che vi invito a vedere.

Giving è nell’articolo di Forbes la capacità di fare qualcosa che migliori il mondo. Più prosaicamente penso che sia molto importante per la carriera la capacità di dare agli altri in ambito professionale: condividere contatti e opportunità, dare consigli e cercare di favorire l’incontro tra persone che si stimano sono tutte attività che consolidano la propria rete di rapporti professionali e a lungo termine portano grandi vantaggi. Abbiamo già avuto modo di scriverne: l’esperienza mi dimostra che se fai del bene nel lavoro (ma non solo) questo ti ritorna sempre .

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Lavorare studiando: utile e adesso più facile

PC Il nuovo decreto per il lavoro prevede che i giovani universitari e anche gli iscritti alle scuole tecniche e professionali abbiano la possibilità di passare del tempo in azienda venendo sovvenzionati dallo Stato, se hanno una buona media universitaria e sono al di sotto di una certa soglia di reddito.

How you spend your 20s define your identity-Forbes

How you spend your 20s will define you-Forbes

Questa iniziativa riconosce un valore al fatto di lavorare mentre ancora si studia, valore del quale sono profondamente convinta.

È un tema che ha  recentemente affrontato  Annamaria Testa in un interessante post sul suo blog nuovoeutile.it, ricordando che durante un sondaggio svolto tra gli studenti del suo corso in Iulm era emerso che chi aveva già avuto delle esperienze di lavoro in parallelo allo studio otteneva dei risultati migliori all’università.

Sia Patrizia che io abbiamo lavorato per quasi tutto il periodo universitario, ed entrambe ne abbiamo sicuramente tratto dei vantaggi. Nel mio caso è fin troppo facile dire che mi è stato utile, visto che sono riuscita a entrare a 23 anni in Young & Rubicam, grazie a una borsa di studio che l’Assocom di allora metteva a disposizione dei giovani.

Il fatto stesso di dedicarmi in parallelo alle due attività permetteva di vedere in modo diverso sia le materie che studiavo in università, che i compiti che dovevo svolgere in agenzia, non tanto per le singole nozioni, quanto per l’acquisizione di un approccio mentale più ampio ed elastico.

Ma mi sono state altrettanto utili alcune esperienze totalmente diverse, anche saltuarie, come la vendita di libri durante la fiera campionaria (parenti e amici costretti ad acquistare a prezzi esorbitanti titoli che non avrebbero mai comprato in condizioni normali, pur di garantirmi la soglia minima sotto la quale non sarei stata pagata)e le lezioni di pianoforte a bambini svogliati e senza orecchio musicale. Con la prima ho dimostrato a me stessa che la timidezza poteva essere vinta grazie alla determinazione, con la seconda ho imparato la dote della pazienza (non tanto nel sopportare i bambini poco dotati, quanto nel gestire le aspirazioni delle mamme frustrate).

Credo che il vero vantaggio risieda nell’acquisire una certa dimestichezza a confrontarsi con altre persone dal punto di vista professionale: gli psicologi dell’analisi transazionale  direbbero che si impara a relazionarsi con i propri colleghi e superiori pariteticamente da adulti, non come bambini che temono il giudizio del genitore.

 

In più, come sottolinea un libro appena uscito – The Defining Decade di Meg Jay-  che consiglio ai più giovani (per gli altri il rischio è solo di avere dei rimpianti!) i vent’anni sono l’età in cui si crea il proprio capitale di identità (in questo articolo di Forbes una sintesi).

Quindi il mio consiglio è di approfittare delle nuove opportunità messe a disposizione della legge (speriamo presto) e in generale di cominciare lavorare appena possibile, un appello che rivolgo non solo ai giovani lettori ma anche ai loro genitori, che a volte inspiegabilmente considerano degradanti o dispersivi alcuni “lavoretti” che i ragazzi fanno durante gli anni dell’università. Siete dello stesso parere?

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I 15 modi per avere successo, senza usare il Fattore S

PC Il settimanale Sette di questa settimana commenta in copertina il preoccupante aumento di chi usa il Fattore S per avere successo, dove S sta per l’iniziale dell’epiteto che ben descrive chi ottiene dei risultati ignorando le esigenze altrui. In sintesi uno “S” – sostiene Aaron James nel suo trattato Stronzi, edito da Rizzoli – è qualcuno che come riassume D’Orrico: ” 1) si arroga sistematicamente privilegi che non gli competono; 2) agisce sulla base di un radicato senso di superiorità; 3) tale senso di superiorità lo rende del tutto immune alle lamentele.”stronzi

Per quanto io desideri il successo con la mia nuova vita professionale, questa strada per l’affermazione personale è troppo lontana dai miei principi e dalla mia indole. Ma avendo comunque deciso di impegnarmi a raggiungerlo ho cercato una guida alternativa. Ho trovato utile quest’articolo di Ilya Pozin, editorialista per Linkedin e Forbes, apparso in questi giorni su Linkedin Today e che vi sintetizzo.

Interessante (e consolante) il punto di vista di Pozin, che ritiene che il successo non possa che nascere dall’avere superato degli ostacoli e dall’essere quindi avezzi all’insuccesso. Infatti al primo posto tra i quindici comportamenti tipici di chi ha successo il primo è proprio:

1. Fallire. Può succedere, l’importante è non ignorare il fallimento, ma imparare dagli errori in modo da non compierli la volta successiva (sembra una banalità ma se ripenso ai principali errori della mia vita mi rendo conto che sono seriali, e voi?)

2. Stabilire degli obiettivi. Piccoli obiettivi tangibili che si possano raggiungere ogni giorno. Ad esempio riallacciare i rapporti con persone che potrebbero aiutarvi a trovare un lavoro, migliorare la conoscenza di una lingua che potrebbe esservi utile, …

3. Non affidarsi alla fortuna. Certo a volte succede di essere al posto giusto nel momento giusto, ma sono più le volte che dovete con tenacia, fatica e impegno guadagnarvi quello che meritate.

4. Controllare i vostri progressi. Monitorate l’efficacia dei comportamenti, strategie e tattiche, e poi decidete se c’è qualcosa che dovete modificare.

5. Agire.  Non restate mai in posizione di stallo, le persone di successo non restano ferme dopo un insuccesso, ma sono già impegnate a raggiungere un nuovo obiettivo.

6. Guardare al disegno nel suo insieme. E’ tipico di chi ha successo avere una visione ampia e saper inserire anche i piccoli dettagli in un insieme più ampio.

7. Mostrare un realistico ottimismo. Chi ha successo è il primo a credere nelle proprie abilità. Fate una lista delle vostre capacità, cercate se possibile di migliorarle, e cercate di capire quali risultati potete ottenere grazie alle vostre qualità.

8. Migliorarsi continuamente. Imparate dagli insuccessi, imparate a conoscere le vostre debolezze e cercate dei modi per fare meglio la volta successiva: in particolare migliorate la vostra capacità di fare rete.

9. Impegnarsi. Il successo arriva solo come risultato di impegno e duro lavoro.

10. Essere attenti. Se non siete aperti a cogliere anche i segnali deboli che vengono dall’ambiente difficilmente potrete cogliere le migliori opportunità: siate sempre al corrente di quanto si dice all’interno dell’azienda dove siete, tenete conto dei feedback dei clienti, tenetevi aggiornati sulle evoluzioni del settore nel quale volete inserirvi. Quanti giovani che vogliono lavorare nell’ambito della comunicazione o del marketing si abbonano alle newsletter gratuite che riassumono cosa succede nel mercato?

11. Perseverare. Le persone di successo non mollano mai

12. Comunicare con fiducia. Chi ha successo ha facilità nel convincere gli altri. Illuminante a riguardo il film sul Giovane Hitler che ho appena visto: ovviamente Hitler è anche un rappresentante della categoria “S”, della quale detiene sicuramente il primato, ma è spaventoso vedere cosa si può ottenere con una buona capacità oratoria. Ovviamente se non volete rientrare nella categoria “S” userete la comunicazione per convincere, e non per manipolare.

13. Mostrare umiltà. Le persone di successo riconoscono le loro responsabilità quando commettono un errore.

14. Essere flessibili. I piani possono cambiare, le persone di successo invece che essere frustrate dal cambiamento sanno assecondarlo.

15. Creare una rete. Chi ha successo riconosce che  i propri risultati derivano anche dall’aiuto degli altri. Non potete ottenere il successo da soli. Investite nella creazione di una rete di connessioni lavorative che vi saranno sicuramente utili.

Se con tutte queste indicazioni riusciamo a ottenere quello che desideriamo senza per questo calpestare gli altri penso che avremo già ottenuto un grande successo.

 

 

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Le domande da non fare mai in un primo colloquio

PC  Ci sono domande che risultano talmente fuori luogo da connotare subito negativamente il nostro interlocutore. L’altra sera Patrizia mi raccontava sconcertata che l’amichetto di otto anni che suo figlio aveva invitato a pranzo le ha chiesto se le posate erano d’argento e quanto guadagnava al mese. Patrizia gli ha domandato a sua volta se da piccolo fosse caduto in un registratore di cassa. 

Possiamo facilmente immaginarci, tra una quindicina di anni, lo stesso ragazzo compiere uno degli errori più comuni: chiedere al primo colloquio dettagli sul salario e sui benefit. Queste domande – spiega un interessante inchiesta realizzata da Forbes presso i responsabili delle risorse umane  – vanno sempre evitate perché implicano che siete già sicuri di ottenere il posto, così come le domande sulle ferie e i giorni di malattia. Lo stesso per quanto riguarda la possibilità di avere un orario flessibile.

Un altro tipo di domande che, se poste male, potrebbero mettervi in cattiva luce sono quelle che mirano a capire meglio il mercato e la concorrenza: chiedere ad esempio “chi sono i vostri concorrenti?” darà l’impressione che non vi siete preparati al colloquio, inutile fare una domanda alla quale Google avrebbe potuto rispondere altrettanto bene.

“Posso lavorare da casa?” è un’altra domanda che gli esperti sconsigliano di porre, anche nell’era di skype e di internet veloce. Sebbene sia infatti possibile che, una volta verificata la vostra produttività, l’azienda accetti di farvi lavorare in parte da casa, non è mai il caso di chiederlo in un primo colloquio, dove la vostra priorità dev’essere vendervi e risultare disponibili.

Meglio anche non chiedere dettagli sulle modalità di promozione, un approccio che può risultare arrogante, e tanto meno se si avrà un ufficio tutto per sé. In generale trovo molto giusto il suggerimento di chiedervi sempre, prima di porre una domanda: se la risposta fosse no, non accetterei il lavoro?

Infine è sbagliato chiedere se chi vi intervista vi monitorerà sui social network, perché può dare l’impressione che abbiate qualcosa da nascondere. Meglio non correre rischi e non postare niente che possa danneggiarvi nel periodo della selezione (e in generale meglio non farlo mai!), in particolare commenti sulla vostra attuale azienda.

Rimane il fatto che spesso i colloqui finiscono con la temuta richiesta da parte dell’intervistore: “ha qualche domanda?”. Nel caso questo elenco di errori da evitare vi avesse terrorizzato al punto da decidere di rispondere che non avete niente da chiedere, sappiate che questo costituisce in assoluto il più grande sbaglio che potete fare, perchè sembrerà che non vi interessi l’azienda o il tipo di lavoro per il quale venite selezionati. Nel post di venerdì alcuni utili suggerimenti, quindi, sulle domande da porre a un primo colloquio.

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Se volete cambiare carriera evitate questi 5 errori

PC Ci sono volte che leggendo un articolo ti senti chiamata in causa. È quanto mi è successo leggendo su Forbes il racconto di Kathy Caprino sugli errori che spesso si compiono quando si vuole cambiare carriera. Spero arrivi in tempo in modo che chi di voi si trova in questa situazione ne eviti qualcuno (io da parte mia ne ho già accumulati più di uno).

 1) L’effetto Pendolo: scappare dalla vostra attuale carriera perché non ne potete più

Se sei rimasta troppo tempo bloccato in un lavoro che non ti piace più fare è probabile che tu sia arrivato a odiare il lavoro stesso o i colleghi, e pronto a cadere nell’effetto pendolo. È esattamente quello che mi è successo nell’ultimo anno di Young & Rubicam. Ricordo come una delle sere più tristi della mia vita quella passata in una camera del Four Season di Chicago così grande da avere cinque telefoni (ero lì per seguire uno shooting Barilla in cui si vedevano vongole che applaudivano e spaghetti che cadevano nell’acqua bollente, ma sembrava che solo il regista di Chicago avrebbe potuto girarli così bene). Ero talmente nauseata dal tipo di lavoro e dal contesto che cenai da sola in camera. Per l’effetto pendolo ho deciso di fare un figlio, trasferirmi a vivere in un paesino di 900 anime e dedicarmi esclusivamente all’insegnamento. Ci sono voluti tre anni prima che il pendolo mi riportasse a desiderare un po’ di sana adrenalina, e altri anni ancora per approdare alla scelta imprenditoriale che mi permette di conciliare tempi di vita  umani con il lavoro nella comunicazione che amo. Ma la mia scelta troppo “di pancia” aveva fatto sì che  abbandonassi quasi tutti i contatti – convinta che non sarei più rientrata in quel settore – e ricostruirli è stato lento e faticoso (per fortuna grazie a Linkedin non impossibile).

La morale che trae Kathy è la seguente: non aspettate di essere disperatamente infelici nella vostra situazione per cambiare lavoro: cercate prima di migliorarla riaggiustando relazioni incrinate, pretendendo più rispetto, facendo sentire la vostra voce e crescere le vostre abilità e diventando più competenti. A quel punto, quando vorrete cambiare, sarete in grado di raggiungere un livello maggiore di successo.

2) Non sviluppare un solido piano finanziario che sostenga la vostra transizione

Non potete illudervi di cambiare carriera e guadagnare subito quanto prendevate nel posto precedente. Per questo è opportuno capire, anche con l’aiuto di consulenti esterni, quali siano le risorse necessarie per finanziare il cambiamento.

Se non avete i fondi necessari è meglio aspettare di avere accesso a fondi supplementari (sfruttare eventuali bonus, cercare di guadagnare di più nella carriera attuale, trovare un prestito, ecc.) o diminuire le spese in modo da accantonare quello di cui avrete bisogno.

3) Innamorarsi della forma sbagliata di lavoro

Prima di cambiare carriera devi identificare l’essenza di quello che vuoi fare.

Kathy invita a rispondere ad alcune domande per scoprirla:

  • quali abilità e talenti vuoi usare nella nuova carriera
  • con quali persone ti trovi meglio?
  • quali valori, standard di integrità e bisogni devono essere garantiti nel lavoro?
  • quali tipi di sfide vuoi affrontare nel nuovo lavoro?

Solo avendo contestualizzato l’essenza di quello che vuoi, potrai trovare la forma di lavoro che ti si adatta maggiormente. A me ci sono voluti parecchi anni di tentativi, se avessi capito prima davvero le mie esigenze, mi sarei probabilmente risparmiata dei lunghi periodi di insoddisfazione.

4) Non scavare abbastanza a fondo

Kathy dice che se per 10 anni hai lavorato nella produzione televisiva e vuoi dedicarti all’insegnamento, dovresti esplorare tutte le ragioni dietro a questa volontà di insegnare. Vuoi migliorare le tue abilità linguistiche, aiutare i giovani adulti ad avere più successo, allontanarti da un ambiente troppo politicizzato?

Dedicarsi all’insegnamento dell’inglese ti aiuterà davvero a trovare piena soddisfazione delle tue aspettative? Tutte le altre componenti del lavoro di insegnante ti piaceranno? È importante fare ricerca e approfondire tutti gli aspetti della nuova carriera che si sta intraprendendo.

5) Mollare troppo velocemente

Un ultimo errore è gettare troppo presto la spugna. Cambiare carriera implica fatica, tempo, impegno e spesso anche soldi. Non potete pretendere di vedere i risultati in pochi mesi.

Per cambiare carriera con successo, conclude Kathy, avete bisogno di quattro “C”: chiarezza, coraggio, confidence e competenza. Ne aggiungerei una quinta, il famoso fattore “C” di cui parlava già Stefano Battioni nell’intervista che gli abbiamo fatto.

Trovate l’articolo originale a questo link http://www.forbes.com/sites/kathycaprino/2012/04/14/the-5-biggest-mistakes-career-changers-make/2/

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Prepara le risposte a queste 3 domande e sei pronto per qualsiasi colloquio

Copper Peak Ski Jump, from the bottom of the j...

PC Forbes sostiene che in realtà sono solo tre le domande importanti che chi seleziona un candidato si sta ponendo e alle quali vorrà una risposta:

  1. Sei in grado di fare il lavoro?
  2. Ti piacerà questo lavoro?
  3. Possiamo tollerare di lavorare con te?

La prima domanda è relativa alle competenze tecniche, la seconda alla motivazione, la terza alle  soft skills.

Per quanto riguarda le competenze tecniche Filippo Romanini  (Direttore Barilla LAB for Knowledge Innovation) a un recente convegno Iulm raccontava che quando in Barilla reclutano un candidato si chiedono non solo se sa fare il lavoro per il quale è stato selezionato, ma se saprà arrivare al secondo posto in termini di promozione, quindi non al posto successivo, ma a quello ancora dopo.

È quindi importante far capire durante il colloquio le proprie competenze attuali ma anche le proprie potenzialità.

Le motivazioni sono un altro elemento fondamentale. Una recente ricerca internazionale dal titolo “Engagement Research: cosa fare per permettere alle persone di lavorare al meglio”, condotta dal CeRCA – dell’Università LIUC in partnership con la London Business School ha evidenziato che in Italia gli elementi motivanti sul lavoro sono sicurezza del posto di lavoro, bilanciamento tra vita privata e lavorativa e riconoscimento del proprio contributo. Credo però che i giovani talenti che vogliono cominciare una carriera nel marketing o nella comunicazione diano più rilevanza a quello che è  il terzo elemento  a livello generale. Concordo con Bill Guy – Cornerstone International Group CEO, citato nella ricerca di Forbes – che sottolinea che gli impiegati più giovani non desiderano essere pagati semplicemente perché lavorano sodo, ma lavoreranno sodo perché amano l’ambiente e le sfide associate con il loro lavoro.

Ne deriva che i capi che sanno creare un ambiente stimolante e sfidante sapranno attrarre e tenere gli impiegati migliori, come hanno sostenuto anche Dave e Wendy Ulrich, (professore della Ross Business School dell’Università del Michigan e psicologa, esperta di coaching), durante il convegno “Sense-driven company – Come i leader creano organizzazioni generatrici di senso e successo”, che si è tenuto il 9 maggio scorso a Milano (vedi per maggiori dettagli http://www.corriere.it/economia/trovolavoro/12_maggio_11/consigliere-arte-motivare-dipendenti-crisi_b4a0887c-9b4f-11e1-81bc-34fceaba092f.shtml).

Infine le soft skill sono determinanti per convincere chi seleziona che saprete amalgamarvi perfettamente nell’organizzazione. Forbes lo definisce il “cultural fit” ed è valido sia per i manager, che devono essere in grado di comprendere e interpretare la cultura dell’azienda che sono chiamati a guidare, sia per i giovani, come abbiamo già avuto modo di segnalare: durante il colloquio sarà quindi fondamentale sottolineare quegli elementi della propria personalità e formazione che si ritiene siano più in linea con la società per la quale ci si candida.”Rehearse, rehearse, rehearse”, per tornare a citare gli insegnamenti di Marco Lombardi: la preparazione è fondamentale anche per fare un colloquio.

Per approfondimenti http://www.forbes.com/sites/georgebradt/2011/04/27/top-executive-recruiters-agree-there-are-only-three-key-job-interview-questions

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