PC Ricevo e pubblico come sempre molto volentieri da Giovanna Landi, la studentessa che si è laureata con me brillantemente con una tesi sul personal branding, un post che riprende una lezione del primo anno in Iulm che per lei, e spero anche per i nostri lettori, è stata illuminante. Vi ci ritroverete alcuni nostri cavalli di battaglia: il personal branding, l’inglese, il digitale, l’apertura e la curiosità. E un appello a non intendere l’università solo come un modo di trovare un posto di lavoro ma come un progressivo sviluppo della propria professionalità.
Giovanna Landi: Durante le vacanze estive, ho deciso di dedicare un pomeriggio alla pulizia dei file sparsi nelle varie cartelle presenti sul mio Mac.
Nella cartella “registrazioni IULM”, conservavo ancora le riproduzioni audio di qualche lezione durante la quale il Prof. andava troppo veloce anche per una mano rapida come la mia, e di alcune testimonianze aziendali. D’istinto le ho eliminate visto che mi sono già laureata e che comunque di molte di esse ne conservo le sbobinature. Altrettanto d’istinto, però, il mio sguardo è stato attirato da un file audio da me rinominato “lezione RP su requisiti per lavorare”, lo ascolto e cerco i relativi appunti sul mio vecchio quaderno. Scopro che si tratta di una lezione del mio primo anno di università tenuta dal docente di Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa, il Professor Emanuele Invernizzi. Risale all’1/03/2011, eppure, riascoltandola, mi sembra attuale più che mai e molto utile per chi, come me, vorrebbe intraprendere una carriera nel campo della comunicazione e delle relazioni pubbliche. Proprio per questo, voglio condividerla con i lettori di Trampolinodilancio, soprattutto con chi è all’inizio del proprio percorso, come lo ero io quattro anni fa, ma non ha ancora avuto la fortuna di avere un tale stimolo da parte dei propri docenti. Durante l’incontro, oltre al Professor Invernizzi, sono intervenuti il Dottor Furio Garbagnati, CEO di Weber Shandwick Italia, che rappresenta dunque il mondo delle agenzie e il Dottor Daniele Rosa, direttore comunicazione di Bayer Italia, in rappresentanza del mondo impresa. Ciascuno di loro ha fornito il proprio punto di vista sul tema di questo incontro.
Eccone un estratto:
Professor Emanuele Invernizzi: “L’obiettivo di questo incontro è sostanzialmente quello di cercare di rispondere a una domanda che credo vi dovrebbe stare molto a cuore. Siete al primo anno, d’accordo, però guardate lontano, ed esattamente guardate al momento in cui entrerete nel mercato del lavoro. Allora, la domanda da porsi (e a nostro avviso da porsi subito) è: “Che cosa fare, a partire da subito, per predispormi e arrivare al momento dell’ingresso nel mercato del lavoro, avendo sviluppato al massimo quello che i tecnici di questo argomento chiamano l’impiegabilità?” Il che non vuol dire la percentuale di probabilità di trovare un posto di lavoro. Tasso d’impiegabilità vuol dire la potenzialità che ciascuno ha di svolgere un lavoro con successo, un lavoro professionale. In termini generali, è la probabilità di essere richiesto dal mercato del lavoro. Bisogna quindi chiedersi: “Quando mi presento, ho delle caratteristiche per cui sono attraente? Come posso sviluppare questa capacità di esserlo? Non “Come faccio a trovare un posticino?”. Perché è solo così, è solo se si guarda lontano, se ci si pongono degli obiettivi ambiziosi, che si può ottenere qualcosa. Se si viaggia bassi, non si ottiene niente. Il che non vuol dire ovviamente essere presuntuosi. Il primo giorno che ci siamo incontrati, durante la prima lezione, siete stati tutti da me nominati “professionisti in sviluppo”, ma adesso che avete questa nomina, dovete riempirla di contenuti”.
Dott. Furio Garbagnati: “Faccio questo mestiere da tempo, eppure mi piace sempre e questo è già un buon viatico. È un mestiere che cambia, è un mestiere cui ci si appassiona ma che non ha nulla di routinario, sostanzialmente è qualche cosa che bisogna conquistare e vivere giorno dopo giorno.
In genere non mi piace dare consigli agli studenti perché penso che ognuno debba fare il proprio percorso, però ci sono alcune cose che ritengo indispensabili e pertanto voglio condividerle con voi. Al di là di quella che è la formazione, e voi tra l’altro avete la fortuna di essere in uno dei pochi centri formativi del nostro settore che io stimo, perché non ho un’altissima opinione delle varie scuole e master di comunicazione; al di là di quella che è la cultura generale di base, che nel nostro mestiere è estremamente importante; al di là anche di alcune technicality che sono quelle che poi si usano nel lavoro quotidiano; vi sono alcuni punti che secondo me sono molto importanti per chi dovrà affrontare il mercato del lavoro nei prossimi anni:
- Cercate di definire e farvi un’idea di che cosa in realtà volete fare. Anche il nostro mondo è diventato sempre più specializzato e specialistico. Noi comunicatori oggi dobbiamo essere in grado di parlare il linguaggio dei nostri stakeholders. Non basta più conoscere quelle che sono le tecniche, che erano alla base quando iniziai questa professione, molti anni fa, ma è necessario conoscere i linguaggi specifici. Questo significa che se dobbiamo assumere qualcuno che si occupi di comunicazione finanziaria, vogliamo che questa persona conosca il linguaggio della finanza. Se dobbiamo assumere un consumer PR, il requisito necessario sarà conoscere il linguaggio del marketing. E così via fino a specializzazioni più sottili, per esempio health, tech, public affairs. L’elemento specializzazione, quindi, diventa sempre più importante. Non possiamo pretendere che chi esce da un percorso formativo abbia già fatto le sue scelte in questo senso, però dovete avere la consapevolezza che sono scelte che vengono richieste;
- Altro elemento basic è la conoscenza dell’inglese. Finché non diventerà il cinese, l’inglese è ancora la lingua dominante. Non si fa questo mestiere se non si conosce l’inglese. Dal punto di vista delle agenzie, ma penso anche da quello delle imprese, questo è un punto di vista insormontabile. Noi non guardiamo un cv se non vi è scritto “inglese fluente”. Questo è un dato di fatto. Quando si dice sapere l’inglese si intende saper lavorare in inglese. Sapete qual è la prova del nove? Fare una telefonata di lavoro con una persona che sta negli USA o in Inghilterra. Siete capaci di farla?
- Il terzo punto riguarda una questione che sta emergendo sempre più in questi ultimi anni, e cioè il fatto che tutti voi dovete essere “digitalizzati”. Forse ultimamente si è abusato di parole come “social media”, “digital”, ve ne avranno parlato fino alla nausea, ma non vi è dubbio che il mondo della comunicazione da questo punto di vista, è molto cambiato. Sono cambiati gli stakeholders, che si sono segmentati in gruppi e community e bisogna essere in grado ancora una volta di parlare il loro stesso linguaggio. Il linguaggio digital è un linguaggio totalmente diverso da quello tradizionale. Oggi, nelle nostre strutture non abbiamo, se non in rari casi, comunicatori digitali. Abbiamo i cosiddetti “smanettatori”, cioè coloro che sanno andare su internet, sanno navigare, ma non conoscono gli strumenti oppure abbiamo comunicatori che non conoscono il linguaggio digitale. Altra cosa che chiediamo quindi a tutti quelli che vengono a lavorare da noi, è che siano in grado di utilizzare il mezzo senza essere per forza esperti, tenendo conto che non è un mezzo fine a se stesso ma è un ambiente di cui bisogna conoscere i paradigmi ed i linguaggi;
- Un altro consiglio più dal punto di vista personale che professionale, è che questo mestiere si fa solo se si ha curiosità verso il mondo. Non è un mestiere che si fa nel chiuso di una stanza. È un mestiere per cui bisogna avere antenne aperte, per cui bisogna muoversi, navigare su internet, aprirsi, andare a teatro, a vedere le mostre d’arte, nei bar, bisogna capire che cosa succede nel mondo e soprattutto avere la volontà di capirlo, perché se non si ha questa volontà, non si può crescere e non si possono interiorizzare i movimenti così veloci e dinamici che il mondo attuale presenta;
- L’ultimo aspetto è una riflessione su quelli che possono essere i modelli di carriera. Essi possono essere molteplici anche in un’agenzia, non solo in azienda:
– Esiste un modello di carriera manageriale che fa riferimento al ruolo di accounting, cioè la capacità di gestire il cliente, di relazionarsi, e di gestire nel tempo un numero sempre maggiore di clienti;
– Il modello professionale puro, che è il modello progettuale. Esistono delle persone che hanno delle attitudini progettuali che vanno coltivate;
– il modello relazionale che fa riferimento soprattutto a chi seguirà gli uffici stampa che, sebbene non più centrali come un tempo, ancora oggi costituiscono il 65-70% dell’attività di un’agenzia”.
Dottor Daniele Rosa: “Credo che Furio abbia tracciato un quadro assolutamente esaustivo di quella che è la professione, io, invece, vorrei fare delle riflessioni un po’ più di pancia. Nel nostro paese c’è il 30% di disoccupazione tra i giovani (nel frattempo purtroppo il dato si è avvicinato al 40% ndr), però voi siete in un settore che è molto ricercato dalla società, perché essa ha sempre più bisogno di gente che crei immagine per qualcosa. Se faccio un passo indietro nella storia, si nota chiaramente che nel dopoguerra, c’era necessità di tutto, di fare qualunque cosa, per esempio trovare le macchine per fare le scarpe. Adesso l’imprenditore non ha più questa preoccupazione, il suo problema, ora, è riuscire a vendere le scarpe che produce. Per questo motivo, egli deve riuscire ad accendere la luce sul proprio prodotto che è solo uno fra i tanti altri che ci sono sul mercato. E chi gli fa fare questo salto di qualità? Sicuramente il comunicatore, che gli permette di creare una strategia per fare pubblicità e comunicazione. La nostra è una società dell’immagine. Se io vi chiedessi qual è l’azienda alimentare di tortellini che conoscete maggiormente, rispondereste tutti Rana. Probabilmente i suoi tortellini sono davvero i più buoni, ma non è questo, il punto è che ha fatto un’operazione di comunicazione fortissima che le ha permesso di avere visibilità. Allora, sempre più abbiamo bisogno di persone che sappiano dirigere l’orchestra della comunicazione e dell’immagine e ne abbiamo bisogno nelle agenzie ma anche nelle aziende. Però, vi è anche un però. La gente che esce dall’università, esce preparata, ma bisognerebbe fare un salto di qualità perché questo non è un lavoro che necessita solo di technicality, “tu sai bene l’inglese”, “tu hai un bel sorriso”, e finisce lì. C’è bisogno di qualcosa di più, ci vuole un sacro fuoco dentro. Bisogna in qualche modo correre dietro al lavoro, anzi, andare avanti e oltre al lavoro, perché questo non è un lavoro in cui entrate nell’azienda, vi mettete dietro la scrivania, vi danno la vostra targhetta e poi vi arriva il lavoro. La nostra professione non si pacchettizza, è una professione tailor-made, ognuno di noi a qualsiasi livello gerarchico, è sempre in prima linea. Quando si deve costruire qualcosa, è sempre qualcosa di specifico, che raramente, se non nelle pure technicality, trova riscontro in qualche cosa che è stato fatto prima. Questa ansia positiva imprenditoriale è senza dubbio qualcosa di molto importante perché quello che si fa è il proprio prodotto che è diverso da quello del proprio vicino e può essere più o meno adatto a quello del cliente. Questo è un lavoro che in qualche modo dovete prendere, inventarvi, a qualsiasi livello. E qui vi devo dire che, vedendo spesso molti giovani che arrivano da noi a fare gli stagisti, ho costatato che, pur essendo preparati, sono timidi quando si tratta di rubare il lavoro a qualcuno, hanno veramente paura, e questo è un grosso limite. C’è anche un altro limite che però probabilmente è un po’ più legato al nostro essere italiani e quindi al nostro essere molto legati ai nostri confini. Questo mi è capitato diverse volte. Avevo delle stagiste e alla fine del periodo di stage mi hanno chiesto se fosse possibile poter rimanere visto che si erano appassionate a questo lavoro. Io risposi: “Qui non riusciamo a tenervi, ma posso parlare con qualche mio collega all’estero”. Allora faccio un giro di telefonate e dico a una di loro: “Senti, avrei due belle occasioni: dovresti andare un anno a Singapore e poi un anno in Argentina”. Mi guarda e dice: “Ci devo un attimo pensare”. Torna il giorno dopo, io me l’aspettavo già con la valigia in mano pronta per partire, invece mi dice: “No perché ho questo fidanzato che mi ha detto che non posso”. Adesso l’ho buttata un po’ sul ridere ma è la verità. Quello che è importante in questo lavoro, è che va bene, voi siete nel posto giusto, le technicality ve le danno, è il momento storico utile per chi fa immagine, però è anche vero che questo è un lavoro che ha il grande vantaggio di essere creativo, e che nessuno ti ruberà mai perché puoi portare veramente innovazione, puoi fare comunicazione innovativa stravolgendo le regole. Questa cosa è bellissima però bisogna veramente rimboccarsi le maniche e mordere tutto quello che c’è, avere voglia di fare e voglia di correre dietro a questo lavoro.
Ho ancora tre considerazioni da fare. Innanzitutto la prima cosa che dovete chiedervi se volete fare comunicazione e cambiare l’immagine di un’azienda o di un cliente, è se siete capaci voi di creare una vostra immagine. Quindi curate fortemente il vostro approccio nei confronti degli altri e quando entrate in un nuovo gruppo di amici, cominciate a chiedervi che tipo di immagine proponete agli altri. Questa è già una bella cartina di tornasole. La seconda considerazione riguarda le competenze tecniche di base acquisite all’università, perché bisogna comunque vedere come vi approcciate ad essa. Tutti voi fate due corsi di RP, ma come li fate? All’esame si può prendere 18 o 30, si possono frequentare le lezioni oppure no, fare o meno uno stage. L’ultimo aspetto riguarda il rapporto con l’azienda. Una volta era di tipo fiduciario, io entro e tu mi garantisci per la vita lo stipendio e non ti chiedo altro. Adesso non è più così, il rapporto non è più fiduciario e l’azienda molto facilmente cambia, si muove, è una società “liquida” e quindi il posto di lavoro non è per l’eternità. Quindi quello che dovete chiedere a un’azienda, non è tanto la sicurezza del posto di lavoro ma quanto questa azienda vi farà crescere, perché più vi farà crescere e più sarete vendibili all’esterno e diventerete molto più ricchi a prescindere dallo stipendio vero e proprio”.
Professor Emanuele Invernizzi: “Come abbiamo visto, vi sono delle caratteristiche che bisogna avere per essere presi in considerazione, senza le quali si è fuori, non si ha speranza, a meno che non sia vostro zio a darvi un lavoro. La “condicio sine qua non”, per dirlo in latino. Per il resto, l’avete studiato in organizzazione del lavoro che non esiste la “one best way”. Ciascuno può avere un suo percorso che ha una logica, un senso, ed è attraente in se stesso, quindi non ci sono caratteristiche che definiscono un percorso ideale. Come mi dicono spesso i selezionatori del personale, quando valutano un Cv oltre a vedere i diplomi, i master, guardano in parallelo anche la vita dell’individuo. Se nel tuo Cv hai scritto che hai girato un po’ il mondo, anche a fare il trapper, dai l’impressione che hai un qualcosa in più di una persona che parla tante lingue ma è stato sempre nei confini di casa sua.
La chiave del successo è essere imprenditori di se stessi, non considerarsi dipendenti ma imprenditori. Il che significa che se uno è imprenditore, non gli capiterà mai di fare l’errore tragico che lo “sega” al colloquio di chiedere “Quante ferie ho?” ma imparerà a pensare a cosa potrà ottenere facendo quel lavoro, cosa riuscirà a imparare e a dare.
Dovete essere attivi e proattivi, sennò succede che quelli come voi non trovano lavoro ma quelli come noi non trovano persone giuste da assumere. Per me inviare il cv è come buttarlo nel cestino. Ho esagerato ma è per dire che non basta. Bisogna invece cercare di costruirsi delle occasioni e cercarle in giro, perché ci sono. Partecipare a eventi in cui ci si può relazionare con qualche professionista, e le fonti online al riguardo sono tante.
Dimenticatevi che il vostro obiettivo da qui a tre anni sia quello di prendervi il pezzo di carta e poi mandare il cv, perché questa è solo una dimensione. A questa ne dovete aggiungere molte altre, sennò il valore è zero. Il corso di laurea è uno strumento di base al quale bisogna aggiungere tutte le cose che abbiamo detto. Allora sì che lo si valorizza. Certo, nelle relazioni pubbliche l’aspetto relazionale e imprenditoriale è molto più apprezzato perché se dovete occuparvi di relazioni pubbliche e poi non lo sapete fare per voi stessi, non andrete lontano, ma è un discorso che vale per qualsiasi facoltà”.
Spero che riportando le parole dei relatori, sia riuscita a farvi partecipare anche se solo virtualmente, a uno degli incontri che mi hanno segnata maggiormente durante il mio percorso universitario. Dico questo perché quando si è al primo anno, di solito ci si sente un po’ smarriti, non si hanno le idee molto chiare, qualcuno inizia ad avere dubbi sulla scelta fatta e qualcun altro come me invece inizia a credere in quello che studia. E dico questo perché avere qualcuno come il Professor Invernizzi, che già dalla prima lezione, quasi come un papà severo, mette in chiaro che se siamo seduti lì non è perché vogliamo un 18 all’esame e un pezzo di carta alla fine dei tre anni, ma perché crediamo in quello che facciamo, sia lo stimolo migliore per iniziare a farsi strada partendo con il piede giusto. Siamo “Professionisti in sviluppo, non cercatori di posto”, questa è la prima cosa che ho imparato dal mio docente di Relazioni Pubbliche, il primo giorno di lezione, e questo è il mood giusto per affrontare il percorso universitario e formativo e la ricerca del lavoro.
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