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Alessandra Selmi ci racconta i dolori di un giovane editor in un divertente libro

 PC Alessandra Selmi, la nostra corrispondente dal fronte editoriale, ha recentemente pubblicato un libro in cui racconta con la consueta verve umoristica la vita di un giovane editor, al quale tutti, ma proprio tutti, prima o poi cercano di far leggere il proprio manoscritto (è noto che gli italiani sono un popolo di scrittori molto più che di lettori).e-cosi-vuoi-lavorare-nelleditoria-206995

Una lettura piacevole e divertente che può anche essere utile a qualche giovane laureato in materie umanistiche (Alessandra si è laureata a pieni voti in Iulm, dove ci siamo conosciute) interessato a capire se la carriera nel mondo editoriale può fare per lui.

Il libro si intitola “E così vuoi lavorare nell’editoria. I dolori di un giovane editor “, Editrice Bibliografica (Milano). Si può acquistare in tutte le librerie e online a €9,90, ed esiste anche l’ebook a €4,99; ha avuto ottime recensioni ed è stato accolto con grande successo al Salone del libro di Torino, dove Alessandra si è trovata a firmare libri con la stessa grazia della Signora in giallo o di Richard Castle (sarà lì che ha deciso che il suo prossimo libro sarà un giallo. Ambientato a Milano, uscirà nel primo trimestre del 2015 per i tipi di Baldini & Castoldi.)

Le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa del libro e soprattutto di darci qualche indicazione utile per i giovani talenti che vogliano provare a imboccare questa professione.

Trampolinodilancio: Di cosa parla il tuo libro?

Alessandra Selmi: “Il libro parla della mia esperienza come editor, da quando, circa sette anni fa, lasciai un lavoro come impiegata per cimentarmi nel giornalismo, fino a oggi. È suddiviso in tre sezioni, che corrispondono grosso modo al ciclo di vita di un libro: da manoscritto in attesa di valutazione alla fase di promozione, passando attraverso le fasi di editing. Ho deciso di dare un taglio ironico e brillante alla narrazione, in parte perché corrisponde alla mia natura, in parte perché penso che il sorriso e l’entusiasmo siano la chiave per rendere migliore ogni professione.”

In cosa consiste il tuo lavoro?

“Mi occupo della selezione dei manoscritti per la pubblicazione. In parole povere, tra tutte le proposte editoriali che giungono in casa editrice, scelgo quelle che saranno pubblicate. Mi occupo poi della revisione dei testi, che può essere più o meno corposa, a seconda dei casi. Scrivo, inoltre, i testi di copertina e affianco gli autori durante tutto l’iter della pubblicazione, oltre a coordinare un piccolo gruppo di correttori di bozze, traduttori e curatori.”

Come si diventa editor?

“Esistono corsi e master per specializzarsi in editoria, ma non sono obbligatori. Io, per esempio, ho cominciato facendo la cosiddetta gavetta come didascalista in una testata di moda. Quel che è certo, comunque, è che per diventare editor bisogna fare esperienza prima come lettori e correttori di bozze: ci vogliono molto tempo, pratica, costanza e umiltà.

Quali sono le maggiori difficoltà del tuo lavoro? E quali le maggiori soddisfazioni?

La cosa più difficile del lavoro di un editor è relazionarsi con gli scrittori. La scrittura è un’attività molto coinvolgente dal punto di vista emotivo. Non è facile rifiutare un manoscritto senza ferire le persone e, durante le fasi di editing, possono crearsi conflitti o attriti se gli autori non accettano o non comprendono le modifiche proposte. Inoltre, stabilire cosa sia degno di pubblicazione e cosa no è una grossa responsabilità: sono molti i casi editoriali rifiutati e poi diventati best seller.

Quando però un testo in cui si è creduto fortemente viene pubblicato e riscuote successo la soddisfazione è grandissima e cancella il ricordo di tutte le difficoltà. È molto emozionante imbattersi in libreria in un libro a cui si è lavorato.

Credo comunque che l’aspetto migliore del mio lavoro sia l’opportunità di conoscere molte persone colte e intelligenti, con la conseguenza di poter crescere intellettualmente.”

Suggerimenti per chi vuole diventare editor?

“Il primo, importantissimo: leggere. Pochi giorni fa sono stata invitata a parlare al master in editoria dell’Università di Verona e, quando ho chiesto ai ragazzi quanti libri leggessero, ho constatato che la media era bassissima (circa uno al mese). Bisogna imparare a leggere molto e molto rapidamente, comprendendo a fondo il testo, perché l’80% del lavoro di un editor consiste nella lettura e i tempi sono spesso molto stretti.

Il secondo: imparare a usare con dimestichezza i programmi di videoscrittura, come Microsoft Word. Non limitarsi a saper digitare un testo, ma conoscere a fondo le varie funzioni del programma.

Il terzo: avere pazienza e umiltà, perché l’iter per diventare editor è lungo e difficile.

Sono tutte cose che si possono imparare prima di iniziare questo lavoro e anche al di fuori della scuola, e che però rivestono grande importanza.”

Alessandra Selmi al Salone di Torino

Alessandra Selmi al Salone di Torino

Alessandra Selmi lavora come libero professionista per diverse case editrici, tra cui Bietti Edizioni, Harlequin Mondadori, Garzanti Libri. Collabora con regolarità con il settimanale Confidenze, per cui scrive racconti e storie vere. E’ laureata in Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo alla IULM di Milano, con una tesi in Psicologia Sociale.

Se avete qualche domanda in più da sottoporre ad Alessandra (ma non un libro sul quale chiederle un parere!) non esitate a farlo attraverso trampolinodilancio.

 

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La ricetta del signor Balocco per i giovani talenti: inglese perfetto e innamorarsi di quello che si studia

PC Alberto Balocco, amministratore delegato dell’azienda fondata dal nonno nel 1927 e imprenditore dell’anno nel settore Food&Beverage, è una di quelle rare persone di successo e potere (gestisce un’azienda da più di 150 milioni di euro che cresce anno su anno) che riesce ad essere così vera, gentile e amichevole che si finisce a parlare di figli e scuola nelle pause prima di una nuova versione di montaggio degli ultimi spot che abbiamo girato.

Alberto Balocco, A.d della Balocco

Alberto Balocco, A.d della Balocco

Scopro così che Alberto condivide con trampolinodilancio la certezza che solo un ottimo livello di inglese possa permettere ai giovani di competere nel nuovo scenario internazionale. Una convinzione che ha potuto verificare di persona dato che ha fortemente sviluppato l’espansione sui mercati esteri da quando ha cominciato a guidare, insieme alla sorella Alessandra, l’azienda che il padre aveva industrializzato nel dopo guerra. Scelta che ha contribuito al grande sviluppo negli ultimi dieci anni: un milione di euro al mese per più di 100 mesi.

Mi racconta infatti che è stato recentemente invitato a parlare agli studenti in un liceo e lì, anche a rischio di risultare impopolare e suscitando la difesa di casta di qualche docente, ha detto chiaramente che alle superiori va bene studiare tutte le materie previste (ma forse anche un po’ meno latino…), ma la priorità deve essere sapere alla perfezione l’inglese (per inciso il fatto che abbia trovato il tempo di andare a parlare in un liceo ha confermando il mio sospetto che abbia la dote dell’ubiquità, maturato vedendolo in meno di un mese apparire nel paesino sperduto dove giravamo gli spot, partecipare in Irlanda alla partenza del Giro d’Italia, di cui Balocco è main sponsor, verificare montaggio ed edit di ogni film a Milano, mentre continua a condurre l’azienda).

Contando sulla sua disponibilità e capacità di agire su più fronti,  ho quindi approfittato per porgli le nostre consuete domande:

Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare in Balocco?

Alberto Balocco: Deve mettere il lavoro ad un livello di priorità molto alta e dev’essere pronto a vivere lo spirito di squadra che da noi si respira un po’ ovunque.

C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Alberto Balocco: Sicuro, è una ragazza. Ha la capacità di macinare tanti progetti, ha il sorriso anche nei momenti più complicati,  non si arrende mai.

Un consiglio su come affrontare un colloquio di lavoro?

Alberto Balocco: Essere sé stessi, senza bleffare.

In quale settore del marketing ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Alberto Balocco: Direi in quello operativo, nelle aziende del largo consumo.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione?

Alberto Balocco: Suggerirei di scegliere una buona università e di innamorarsi della materia

(Sono perfettamente d’accordo su quest’ultimo punto: se non si è innamorati del marketing e della comunicazione già all’università difficilmente si potrà mettere entusiasmo e passione in quello che si farà in seguito).

Per chi fosse curioso di come Alberto Balocco si sia costruito le competenze per guidare l’azienda, contraddicendo il pronostico che vuole che la terza generazione sia quella che sperpera il patrimonio familiare, questo è il suo percorso di studi: si è laureato a pieni voti in Economia e Commercio all’Università degli Studi di Torino e ha conseguito il Master in Organizzazione Aziendale e il Master in Controllo di Gestione presso la S.D.A. Bocconi di Milano. Il tutto bruciando le tappe per affiancare appena possibile il padre in azienda: per esempio facendo il militare mentre frequentava l’università (racconta che arrivare in divisa agli esami produceva comunque un effetto positivo… sarà stata la pistola d’ordinanza?).

 

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INTERVISTA A ENRICO BALDAZZI MARKETING MANAGER EMMI HOLDING ITALIA

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Inaugurazione della Toasteria

PC Ci sono marchi storici ai quali siamo affezionati di pancia, Tigre per me è uno di questi. Il rischio è però che questa grande vicinanza alla marca si trasformi in eccessiva consuetudine.

Mentre partecipavo all’inaugurazione della Toasteria, il temporary bar aperto da Tigre alle Colonne di San Lorenzo, pensavo che sicuramente con questa ed altre iniziative per  i 90 anni del marchio questo rischio è stato evitato: il risultato è quello di far vedere la marca con occhi nuovi, ribadendone nello stesso tempo i valori. Un obiettivo ambizioso raggiunto anche grazie all’entusiasmo contagioso che esprime per questo brand il suo Marketing Manager Enrico Baldazzi. Approfitto per fargli alcune domande che, visto che è giovanissimo, cercano di capire sia come lui valuta le qualità di un possibile collaboratore in Emmi (il più grande gruppo lattiero caseario svizzero), sia come lui stesso è riuscito a fare così velocemente una brillante carriera.

Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare nel reparto marketing di Emmi?

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Enrico Baldazzi Marketing Manager Emmi

Enrico Baldazzi: E’ sicuramente necessario un buon mix tra attitudini professionali e caratteristiche personali. Doti di sintesi e concretezza mixate ad empatia e capacità di mettersi sempre in gioco sono elementi che valutiamo tra i più importanti. Fondamentale è essere open minded, la curiosità di imparare e la necessità di lavorare su fronti diversi, sono per noi determinanti per valutare un talento come futuribile.

Nel nostro gruppo un profilo giovane ha subito responsabilità ed autonomia, costanza e tenacia e obiettivi chiari aiutano ad entrare subito in sintonia con il team e a diventare subito efficienti.

La cultura aziendale fa parte, assieme all’organizzazione e alla strategia, degli aspetti più importanti di un’attività duratura. Alla base troviamo i cinque valori aziendali sviluppati nel 2010 con i dirigenti Emmi:

  • Noi siamo Emmi!
  • Un lavoro orientato al mercato!
  • Sappiamo come fare!
  • Riflessione e determinazione!
  • In continuo sviluppo!

I collaboratori di Emmi coltivano un sano spirito di squadra. La responsabilità individuale e l’entusiasmo caratterizzano l’attività lavorativa quotidiana in azienda.

Consiglio di visitare il nostro sito corporate per capire al meglio cosa significa entrare in un gruppo come il nostro.

Utilizzi i social media per controllare il profilo dei candidati? Quali in particolare e cosa verifichi?

Assolutamente…sì. Due su tutti, linkedin all’interno del quale se un giovane candidato ha già un profilo verifico che tipo di propensione al business ha e ovviamente facebook.

Profili chiusi o non troppo “esibizionismo” mi comunicano affidabilità. Ogni media ha un utilizzo sociale e comunica importanti informazioni sulle persone. Attenzione quindi a come si usano e cosa si comunica, soprattutto in fase di job searching…I social sono un’arma a doppio taglio, potenti ma a volte pericolosi, soprattutto sul privato.toasteria due

Perché pensi di essere stato scelto al tuo primo colloquio, cosa ha fatto la differenza?

La passione e l’entusiasmo. L’approccio positivo e la convinzione di poter portare un contributo importante. Questo sicuramente è stato l’elemento che ha fatto la differenza.

Nel mio percorso in Emmi invece è stato quello di mettermi subito alla prova con un progetto lavorativo concreto, in una fase da account esterno.

La capacità di capire subito “il brief” (o le necessità dell’azienda al tempo) e di creare in poco tempo un progetto valido. In “sintesi” un mix tra analisi e sintesi.

Cosa ti è servito di più nel primo anno di lavoro?

La tenacia e l’umiltà di imparare da ogni esperienza, o da ogni progetto.

Prendere il mio bagaglio di cultura accademico e molte delle mie convinzioni e metterle in stand by.

Nel nostro lavoro le idee sono il motore che sta alla base di tutto. Ma le idee devono essere concretizzate in uno scenario competitivo, in una cultura aziendale, in un progetto che ha una mission.

Volontà di imparare, al primo posto.

Cosa ti ha insegnato il capo che consideri tuo mentore?

Il time to market associato al metodo.

Il trittico, analisi, obiettivi, strategia. Personalmente ne ho fatto un asset strategico del mio modus operandi.

Di fatto fissa un agenda nel lavoro, anche in momenti di stress o dove i timing sono corti.

Cosa vorresti aver studiato in più o di più nel tuo percorso scolastico?

Tutto il tema di budgeting e di pianificazione legati alle marginalità. I budget in comunicazione arrivano da un conto economico di un prodotto o di un servizio. Qual è l’obiettivo di una campagna e il suo roi? Spesso si studiano grandi case history o progetti vincenti tralasciando gli economics. I numeri, purtroppo non mentono, i messaggi delle campagne sono sempre soggettivi, nella parte di fruizione del pubblico…

Bisognerebbe analizzare anche il perché alcuni progetti falliscono, per insegnare ai ragazzi dove mettere dei red allarm su dove sono stati fatti errori. I fallimenti a volte insegnano più dei successi. Aiutano il pensiero critico.

Un consiglio su come affrontare un colloquio di lavoro?

Due parole

Preparazione (su chi sì è e dove si vuole andare) e sincerità.

In quale settore del marketing e della comunicazione ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Di pancia direi il digital, ma allo stesso tempo è quello dove in tanti stanno tentando.
Se dovessi invece dare un’indicazione più strategica per quanto riguarda i FMCG, nel trade marketing (o lo shopper marketing) dove l’applicazione delle strategie di marketing al cliente B2B in questo caso, spostano davvero gli equilibri in termini di fatturato e di fidelizzazione.

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“Nutriti di curiosità, alleva il tuo talento e aggiorna la tecnica”. Intervista a Alessandro Modestino Fondatore e CEO Meloria Comunicazione.

PC  “Durante la lunghissima battaglia, i genovesi muniti di armature più ridotte e leggere ne furono chiaramente avvantaggiati…” con questa frase si riassume il perché di un nome,

Alessandro Modestino Fondatore di Meloria Comunicazione

Alessandro Modestino Fondatore di Meloria Comunicazione

Meloria, che potrebbe risultare criptico per chi non è nato a Genova . Un nome che esprime invece molto bene la filosofia di un’agenzia che fa della sua agilità e flessibilità un punto di forza rispetto a realtà più strutturate (anche se conoscendo i tagli di personale che tutte le grandi agenzie stanno realizzando mi chiedo se ha ancora senso questa contrapposizione).

Quello che più convince del suo fondatore, Alessandro Modestino, è l’enorme passione che riversa nel lavoro. Non è difficile comprendere come questa passione avesse bisogno di trovare uno sbocco imprenditoriale, dopo la necessaria esperienza in un’agenzia storica, come Leo Burnett.

Dopo due ore passate con Alessandro mi rendo conto che per la prima volta, da molti mesi, ho incontrato un professionista del settore che non si lamenta e non parla di crisi: che ventata d’aria fresca! Con l’augurio che il periodo d’oro che vive l’agenzia continui a lungo (il sovraffollamento delle due sedi di Genova e Milano è una conseguenza sicuramente accettabile!) e ci sia spazio per l’inserimento di nuovi talenti,  abbiamo quindi chiesto ad Alessandro di dirci quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare in Meloria.

Alessandro Modestino: Dev’essere creativo e curioso. Il nostro settore corre veloce e chi non è curioso resta indietro. Il lavoro si può imparare ma l’attitudine spesso è innata. Per come abbiamo concepito l’agenzia, una giovane famiglia dove esprimere il proprio talento, saper lavorare in gruppo è fondamentale: ogni cliente può catalizzare cinque o sei risorse diverse ma il risultato finale deve essere omogeneo e definito. Per fare questo ci vuole molto coordinamento e grande apertura mentale.

C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Due anni fa è entrato in Meloria un ragazzo che veniva da tutt’altra esperienza. Ma aveva un’incredibile passione per questo lavoro. Non era più giovanissimo ma decisi di dargli fiducia su un progetto abbastanza semplice in termini di brief. Non mi convinse. Quando condivisi con il resto del team la decisione di non confermarlo ricevetti una skype call con tutti i suoi colleghi schierati che mi chiedevano di dargli un’altra opportunità. Oggi è una colonna portante della nostra agenzia. Non ha mai smesso di crescere ed è stato il primo “man of the year” Meloria.

Un consiglio su come affrontare un colloquio di lavoro?

Essere se stessi perché il colloquio di lavoro non è solo un’occasione per il candidato per farsi conoscere ma anche per scegliere l’azienda e il clima che fa per lui e dove poter esprimersi al meglio. In questo senso essere proattivi, studiare l’azienda e dare il proprio punto di vista sui lavori fatti… andate a fare il colloquio per fare il colloquio all’azienda.

In quale settore del marketing ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Sarebbe banale dire tutto ciò che è social e digital. Ma quello che conta e che davvero sta cambiando è l’atteggiamento “digital”: trasversalità, multicanalità, la capacità di mettersi in discussione e cambiare per comprendere al meglio il target. Ascoltare.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione?

Se sei preparato al peggio non è poi un lavoro così brutto. Scherzi a parte ci vuole più preparazione di quello che sembra. Nutriti di curiosità, alleva il tuo talento e aggiorna la tecnica.

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INTERVISTA A MICHELANGELO TAGLIAFERRI, SOCIOLOGO E FONDATORE DI ACCADEMIA DELLA COMUNICAZIONE

PC “C’è una persona a un certo punto.

C’è sempre una persona che a un certo punto, magari senza volerlo, dirige la vostra vita, le fa prendere una piega piuttosto che l’altra. Soprattutto quando siamo giovani. Può essere qualcuno di molto vicino, o anche un estraneo. Qualcuno che ci vive sempre accanto o che vediamo una volta sola ma in un modo così intenso che ci lascia il segno. Non si può dire. In ogni caso è una persona che noi chiameremo maestro, anche se di fatto non ci avrà insegnato niente.”  (Paola Mastrocola, Non so niente di te, Einaudi).tagliaferri-300x130

Le parole, lette ieri sera, della mia omonima, insegnante e scrittrice, spiegano molto meglio di quanto io saprei fare il mio debito di riconoscenza con Michelangelo Tagliaferri, che avendomi come alunna all’Istituto Europeo di Design, vista la mia passione per la materia che insegnava – sociologia- mi disse: “tu non puoi non fare l’università.” Gli diedi retta, mi iscrissi in parallelo al corso in Ied anche all’università e mi innamorai della sociologia. La mia passione per lo studio di questa materia mi è stata molto utile per approcciare l’analisi dei target, delle marche e della comunicazione, che sono anche ora il cuore del mio lavoro, e l’approccio universitario mi ha aperto la mente.

Lo incontro dopo quasi trent’anni, con una certa soggezione, a un convegno sull’EXPO2015 (di cui è consulente), dove tiene con nonchalance un intervento metà in francese (il convegno è organizzato dal Consolato Svizzero) e metà in inglese. Ovviamente non si ricorda di me, mentre io lo trovo identico a trent’anni fa. Mi spiega che il trucco è farsi crescere da giovani una folta barba e poi tenerla uguale negli anni. La gente si focalizza su quella e ti trova sempre identico (e anche questo è personal branding!). Gli chiedo di rilasciarmi un’intervista per trampolinodilancio, con pronta gentilezza accetta e mi riceve dopo qualche giorno nella sede di Fondazione Accademia, la fondazione responsabile di quella che prima era Accademia di Comunicazione, una delle più esclusive scuole di comunicazione e marketing d’Italia, da lui fondata l’anno dopo che io finii lo Ied.

Partecipa all’intervista anche un affettuoso cagnone, che avuto la sua dose di coccole gli si accuccia ai piedi.

Gli chiedo innanzitutto di raccontarmi qualcosa di Fondazione Accademia.

Michelangelo Tagliaferri: Chi viene in Fondazione Accademia impara un mestiere, proprio come quando si va in una bottega a vedere come facevano le scarpe una volta.

Io credo che i fondamentali della comunicazione rimangono fondamentali della comunicazione, anche se lavori in rete e usi i supporti digitali. Se vuoi trasgredire devi prima partire dalla conoscenza delle tue capacità vere e imparare le regole.

Fondazione Accademia è a numero chiuso, molto selettiva, offre sia corsi post diploma che master ed è posizionata bene a livello internazionale. Quest’anno nell’annuale e prestigioso concorso internazionale dell’ADeD inglese ben quattro gruppi hanno vinto il primo premio in Advertising e grafica, mentre l’anno scorso siamo stati insigniti dall’Art Director Club di New York del premio internazionale come la migliore scuola italiana di Pubblicità.

Ho intervistato qualche mese fa un vostro studente, Giuseppe Mastromatteo,  che sicuramente ricorderà come vostro brillante studente (e che io ricordo come brillante stagista in Young & Rubicam!)

Giuseppe è un “meraviglioso bandito” che ho molto amato…ma le cucciolate hanno dato molti altri talenti da Caparezza a Menda  o  Volpe o Massimo De Vitiis dei Neri per Caso…

Ai giovani che vogliono lavorare nel marketing o nella comunicazione che consigli possiamo dare?

Sostanzialmente due o tre cose fondamentali. La prima cosa è verificare veramente la loro attitudine. E le competenze per questa attitudine. A costo di martirizzarsi, di lavorare gratis, di stare in giro per il mondo, ma devono capire se la loro attitudine è veramente quella . E in che cosa consiste. Misurarsi nei limiti del possibile con vicende le più variegate, perché il marketing più essere anche “metto un banchetto in strada che nessuno ha mai venduto”. Ma devo sentirla questa cosa.

Quindi per capire qual è la loro attitudine devono sperimentare?

Ma certo. I giovani devono riflettere su di sé, non sui modelli di sé che gli vengono dati. Chiedersi ” cosa sento?  Mi piacerebbe o non mi piacerebbe?”. Io mi sono laureato in Diritto sono stato il primo a Milano a prendere la Laurea in Diritto delle comunità europee perché volevo lavorare in Europa, ma dovevo prima passare dal vaglio del praticantato di legge. Entravo al Tribunale di Milano ogni mattina alle 9 e, mi perdoni il termine, mi veniva da vomitare, e dopo tre mesi ho capito che non era la mia strada.

La mia prima vocazione era fare il sociologo e sono tornato a fare quello. Ho preso la seconda laurea in sociologia, e la mia vita è diventata la sociologia.

Innanzitutto scoprire la propria attitudine, e poi?

Data l’attitudine bisogna capire che cosa serve perché io possa avere le competenze per governare questa attitudine, guardando criticamente le competenze che mi vengono trasferite. Poggiare la propria formazione su scambi di competenze. Voglio che il mio docente mi dica che esperienze ha fatto, e mi deve proprio spiegare non tanto le case history, ma come questa parte teorica che mi sta spiegando l’ha applicata nella pratica della sua vita, cosa ci ha fatto o non ha fatto. Una teoria della prassi. Non fidarsi di nulla che non sia anche nella prassi.

Contemporaneamente però lo studente deve anche possedere una forte capacità di riflessione sulla teoria, quindi studiare. Non devono studiare quelli che scrivono cose che hanno già scritto altri, ma andare alla ricerca di scritti che sono in rete, che non ha mai letto nessuno. La rete è bellissima in questo, è fantastica.

Appendono un gancio in parete e salgono, qualche volta si perdono, a volte no, ma vanno a cercare linee più autentiche di studio. Devono continuare a studiare.

Lo sforzo più grande è identificare il falso dal vero, se loro dovessero commerciare oro o lavorare oro è la prima cosa che gli insegnano. Loro devono riuscire da soli.

In più fare bottega il più possibile, e andare in giro molto, anche a fare il pizzaiolo, non è importante.

La lingua inglese è una lingua franca, che si mettano in testa di imparare l’inglese. E non aver paura di affrontare l’avventura di tre quattro, cinque lingue.

Non aver paura della tecnologia, ma non diventando programmatori. Piegando il più possibile la tecnologia al loro disegno di progetto. Poi si chiamano dei programmatori e se non ci sono i soldi si va in rete, in open,  e sicuramente si trova qualcuno che partecipa al progetto. I giovani devono cavalcare questa cosa: la rete come ausilio dal punto di vista della connessione delle intelligenze, del trovare le risorse.

Infine un po’ di scaltrezza ci vuole, bisogna essere furbi. Ma non prendere le scorciatoie, e non confondere i fini con i mezzi, se devo raggiungere un fine il mezzo dev’essere coerente. Se voglio fare una cosa buona ho bisogno di coerenza ,anche nei mezzi che otterrò per realizzarla.

E poi non aver paura del lavoro, soprattutto se si lavora nel mondo della innovazione e della creatività. Ma in realtà in ogni lavoro c’è un elemento che è tuo; questo elemento che è tuo lo devi veramente amare, se lo ami veramente sei il più bravo a fare quella cosa. Altrimenti ognuno è fungibile,chiunque può prendere il posto di un altro. Invece no, devo fare in modo che il mio valore sia tale che prima di sostituirmi ci devono pensare due volte. Devo essere sempre in grado di dimostrare che sono il migliore della mia categoria, anche degli imbecilli. Ma il migliore della mia categoria! Mi scusi il paradosso.

C’è sicuramente una cosa in cui ciascuno di loro può eccellere.

È nelle lettere di San Paolo, un uomo di marketing eccezionale, quando dice che ogni uomo è diverso ed elenca: uno che è capace di curare, uno è capace di scrivere, uno è capace di parlare, perché ciascuno ha questa sua vocazione e questa attitudine e si deve mettere in ascolto

Se invece ti fai fuorviare dal rumore, non vai lontano. Non si può suonare ad orecchio,  a meno di essere veramente un talento come Pavarotti che cantava senza saper leggere la musica.

Oltre alla Fondazione, dove so che ormai  è coinvolto solo in minima parte, quali sono i progetti più recenti ai quali sta lavorando?

Coordino un apparato di ricerche che si occupa del rapporto tra enti pubblici e il cittadino, piccola cosa ma molto significativa.

Ho fondato insieme ad altri amici un’associazione che si chiama Il comunicatore italiano, associazione che lavora sulla web reputation ed è nata per nascere il sindacato degli specialisti in web. Vediamo troppo spesso che la gente sul web si inventa le notizie, per creare il ricatto. Non sono un bacchettone, ma non puoi dipendere da notizie senza fonti, dati a supporto. Riguarda la politica, ma anche il sistema delle aziende che spesso sono avvilite per un niente.

Una sorta di certificazione?

Sì una certificazione della qualità dei giornalisti e delle fonti: il dato dev’essere inoppugnabile, verificabile poi può essere commentato come si vuole, ma il dato dev’essere il dato.

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“I VALORI DELLO SPORT AIUTANO ANCHE NEL LAVORO.” INTERVISTA A PIETRO ALLIEVI, BUSINESS DEVELOPMENT IN ADIDAS

PC Una chiacchierata con Pietro Allievi è un rifornimento di energia che ricarica per tutto il giorno. Mi faccio raccontare tutte le esperienze che ha fatto prima di entrare nel team

Pietro Allievi Business Development in Adidas

Pietro Allievi Business Development in Adidas

Business Development South Europe in Adidas e faccio fatica a prendere nota: durante i tre anni della laurea di primo livello in Iulm fa uno stage come strategic planner in Young & Rubicam, uno stage in Unicredit,  lavora come assistente al corso IT dello Iulm stesso e fonda la squadra di golf universitaria. Poi decide di non fare il biennio di specializzazione, e per un paio di anni si occupa di marketing e vendite presso un tour operator. Lì capisce che gli manca una formazione più allargata e si iscrive al Master  in “Imprenditorialità e Strategia” della Sda Bocconi, alla fine del quale non è sicuramente difficile ottenere dei colloqui, duranti i quali è però fondamentale dimostrare al meglio le proprie doti.

Trampolinodilancio: Cosa pensi sia stato più utile durante il colloquio che ti ha portato in Adidas?

Pietro Allievi: In quel colloquio, come in quelli che ho fatto parallelamente in L’Oréal e Unilever, davano per scontate – venendo da un Master ritenuto solido – le competenze tecniche. Hanno invece valutato le competenze attitudinali. Sono alla ricerca di una “materia grezza” da poter far crescere in base alle esigenze dell’azienda. Quello che interessa infatti è la forma mentis, soprattutto quando si è alle prime esperienze lavorative, e non serve fingersi diversi da come si è. Tra l’altro se si è se stessi si è a proprio agio durante tutto il colloquio. Capiscono subito se stai recitando una parte. Nel mio caso penso sia stata apprezzata la curiosità e la proattività che ho dimostrato facendo molte domande sull’azienda e sul settore di riferimento. Un’altra cosa che penso sia fondamentale è raccogliere molte informazioni su fatturato, trend, mercato prima del colloquio. Arrivare preparati è anche importante per capire meglio cosa ti dicono e capire com’è realmente l’ambiente. Ricordiamoci che le aziende ci scelgono, ma anche noi dobbiamo avere la consapevolezza se quell’azienda/posizione è quella dove possiamo esprimerci al meglio. Il colloquio è un buon momento per trovare risposta alle proprie domande.

Raccontaci meglio in cosa consiste il tuo lavoro attuale in Adidas

Il team in cui lavoro riporta direttamente all’Amministratore Delegato, siamo come dei consulenti interni su vari aspetti: dalle vendite, al marketing, dallo sviluppo di piani globali a livello locale alla gestione di processi chiave aziendali, primo tra tutti quello del “Go To Market”. Un’opportunità magnifica per imparare a leggere i dati di tutta l’azienda e sapere come interpretare le diverse situazioni, un bagaglio che mi porterò dietro, davvero utile anche in futuro.

Interessante anche il fatto che lavoriamo in ottica di lungo periodo: infatti il progetto principale di cui sono responsabile è il processo di formazione e di implementazione del piano strategico a cinque anni per tutti i 12 mercati che fanno parte dell’area South Europe.

Cosa ti ha insegnato il tuo primo capo?

Il mio primo capo è l’attuale brand manager di Adidas, Alessio Crivelli con il quale ho condiviso fisicamente la scrivania per alcuni mesi e che mi ha insegnato ad approcciare il lavoro come lo sport. Alessio è infatti uno sportivo, ex campione di pallanuoto, che mi ha trasmesso l’onestà, la precisione, la puntualità e la capacità di affrontare con serenità quello che avviene sul lavoro, tutte caratteristiche che uno sportivo deve possedere.

In più ho sempre apprezzato in lui la capacità di premiare chi porta nuove idee (a prescindere se percorribili o meno) e chi ci mette del proprio. Come nella pallanuoto non bisogna stare in disparte, bisogna avere il coraggio di prendere la palla e poi giocare per la squadra, che è un altro insegnamento fondamentale che mi ha trasferito.

Cosa ti ha insegnato il capo che consideri tuo mentore?

Ci sono molte persone che mi hanno fatto crescere e dalle quali ho imparato cose diverse, ma tutte molto utili: da Massimo Carnelli la tranquillità di ragionamento e la capacità di approfondire; da Simone Santini (mio attuale responsabile) la proattività che ti porta a “fare le cose” e non a lasciare le idee su una bella presentazione.

Da Jean Michel Granier, amministratore Delegato di Adidas South Europe e mio mentore durante il training programme quando sono entrato in Adidas, come avere una visione a 360° di tutta l’azienda e anche dei mondi che si collegano all’azienda, senza perdere però l’attenzione al dettaglio. È come quando in una partita di biliardo devi sempre avere in mente il colpo successivo. Quindi devi fare il colpo e farlo bene, con efficacia e precisione, ma senza perdere d’occhio l’intera partita.

In più mi ha insegnato il valore dell’umiltà, che è fondamentale per muoversi all’interno di un’organizzazione.

C’è infine qualcosa che vorresti aver studiato in più o di più nel tuo percorso scolastico?

Soprattutto nella laurea triennale mancano dei corsi sulle soft skill, che spieghino quali sono gli atteggiamenti più corretti nelle diverse situazioni, a partire dalle cose più semplici. Ci sono ragazzi che non sanno come rivolgersi alle persone, che hanno paura di esporsi.

In più ai giovanissimi consiglio di cercare di restare in contatto con le persone che ti possono insegnare qualcosa, come ho fatto a partire da Marco Lombardi, mio professore in Iulm e capo in Young & Rubicam. Un consiglio o un confronto con persone di cui si ha stima, come ho di Marco, ti apre la mente e risulta sempre utile tanto nella vita quanto nelle decisioni importanti che bisogna prendere. Capire e farsi aiutare dall’esperienza delle altre persone da un valore aggiunto impagabile.

Contatto LinkedIn: it.linkedin.com/in/pietroallievi

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Dalla filosofia alle pr, passando per Città del Capo. Intervista ad Alice Corinaldi, Account MSL Italia (Publicis Groupe)

PC I genitori di ragazzi un po’ più grandi del mio mi chiedono spesso se sia necessario un percorso scolastico molto mirato per poter poi lavorare nella comunicazione. La risposta è che non credo sia indispensabile, a patto che si sia poi abbastanza umili e ricettivi da imparare presto il lavoro che ci si ritrova a svolgere.

Alice Corinaldi Msl Group

Alice Corinaldi Account Msl Group

Io stessa sono stata in parte condizionata dai miei a non fare lettere all’università, mentre Patrizia è la dimostrazione che era possibile, anche frequentando questa facoltà, approdare con successo al marketing. Alice Corinaldi, che oggi intervistiamo, conferma lo stesso principio. Dopo una laurea con lode in Filosofia, la troviamo oggi infatti in un’agenzia di pr, la MSL del gruppo Publicis. Nel mezzo ci sono però molte esperienze, tra cui  alcune particolarmente formative all’estero durante gli studi, indirizzate già al mondo della comunicazione.

Perché pensi di essere stata scelta al tuo primo colloquio, cosa ha fatto la differenza?

La prima esperienza lavorativa l’ho fatta durante l’università, in Sud Africa: stage in comunicazione e advocacy. Credo che la cosa che abbia fatto la differenza sia stato il modo in cui mi sono proposta: letteralmente presentandomi alla persona con cui volevo lavorare con un curriculum in mano! E poi sicuramente la voglia di fare e la flessibilità.

Cosa ti è servito di più nel primo anno di lavoro?

Sicuramente flessibilità, entusiasmo, umiltà e un pochino di coraggio sono doti fondamentali per iniziare – anche perché ti permettono di imparare molto e velocemente.  Essendo io laureata in Filosofia e non in una laurea specializzata in comunicazione, all’inizio non avevo competenze specifiche. La mia voglia di fare, di mettermi in gioco e di apprendere, insieme ad un forte senso di responsabilità, mi hanno aiutato a iniziare a lavorare da subito su progetti interessanti e stimolanti.

Cosa ti ha insegnato di più il tuo primo capo?

Tantissime cose, ma prima di tutto a non tirarmi indietro, dandomi molta fiducia.

Cosa ti ha insegnato il capo che consideri il tuo mentore?

Credo non ce ne sia uno in particolare, ma diversi, anzi diverse. Le persone da cui ho imparato di più sono state soprattutto donne. Donne che sono riuscite a trovare un equilibrio tra la loro carriera e la famiglia. Che mi hanno insegnato che con passione, costanza e curiosità si possono raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi; e che la precisione, organizzazione ed ironia sono doti fondamentali.

Cosa vorresti aver studiato in più o di più nel tuo percorso scolastico?

Mi piacerebbe molto sapere il francese e aver fatto un master, ma non è mai troppo tardi, no?!

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IL LAVORO E’ COME UNA DISCESA IN KAYAK, intervista a Roberto Corbellini Associate Marketing Manager alle sede di Billund della LEGO

roberto

Roberto Corbellini Associate Marketing Manager in LEGO

PC Uno dei modi più belli per arricchire la carriera di esperienze è passare un periodo all’estero, dove ci si potrà confrontare con mentalità e modi di lavorare diversi, anche all’interno della stessa multinazionale. Negli ultimi mesi per molti questa opportunità nasce più come un’imposizione, dovuta al fatto che le sedi italiane di alcune multinazionale (è il caso di Lever) stanno chiudendo per ottenere i benefici che derivano dalla centralizzazione dello sviluppo strategico in pochi headquarter.

Non è il caso di Roberto Corbellini, con il quale ho avuto il piacere di lavorare quando ha iniziato giovanissimo in LEGO, dopo uno stage in Nestlè. La richiesta di fare un’esperienza all’estero, infatti, è nata da una sua proposta, all’interno del progetto di crescita interna che LEGO predispone, come ci spiega lui stesso:

“Ogni anno ogni dipendente LEGO deve preparare, insieme al diretto superiore, un piano di sviluppo personale sulla base del quale verrà poi valutato. Nell’ambito di questo processo vengono definite delle concrete opportunità di crescita e nel 2012 io vedevo 3 possibili sviluppi della mia carriera: esperienza di sviluppo prodotto, esperienza all’estero e gestione di un team di persone.

Nella tarda primavera dello scorso anno questo processo di crescita subì una brusca accelerata, infatti mi venne offerta la possibilità di intraprendere una di quelle 3 strade al di fuori di LEGO: l’offerta era molto interessante e lusinghiera, ma pensare di distaccarsi da LEGO si rivelò altrettanto difficile. Grazie alla volontà di reciproca di far sì che potessi realizzare i miei sogni professionali in LEGO e al rapporto di fiducia e trasparenza che si era instaurato, nel giro di poche settimane si è concretizzata l’opportunità di spostarsi laddove i mattoncini prendono forma, dapprima come idee su carta fino a diventare le scatole che si trovano nei negozi.”

Era l’opportunità che stavi aspettando!

“Infatti! È cosi che dal novembre scorso mi trovo a Billund (sede della LEGO ndr) a lavorare nel team di sviluppo prodotto dei giochi di società LEGO: un’avventura stimolante nell’ambito del progetto a me più caro da quando lavoro per LEGO. Chiaramente non posso scendere nei dettagli del mio lavoro, ma mi sto ora occupando della pianificazione strategica e dello sviluppo degli asset di marketing a livello globale per la linea di giochi di società LEGO, ovvero definire ciò che fino a pochi mesi prima ricevevo come “dato di fatto” dall’alto. Sto vivendo una grande esperienza in un ambiente internazionale e interculturale ed estremamente egalitario nel dare a tutti la possibilità di fare la differenza.“

Perché pensi di essere stato scelto al tuo primo colloquio, cosa ha fatto la differenza?

“Senza dubbio la motivazione personale. Non ero neppure ancora laureato quando ho affrontato il primo colloquio di lavoro, stavo infatti cercando lo stage richiesto dal piano di studi. Ricordo nitidamente di essere stato fermo e deciso come poche volte prima, immaginate un quasi laureato con una voglia matta di chiudere un capitolo della sua vita per aprire finalmente quello nuovo della vita “adulta”: non mi importava che la posizione offerta non fosse “così nobile o potenzialmente gratificante”, vedevo in quell’opportunità una tappa obbligata per avanzare nel mio percorso di vita. Chiusa quella parentesi, “mi sono permesso” di dar fiato e spazio alla mia ambizione e desiderio di trovare la giusta e meritata ricompensa dopo anni di studio. E, guardando alla mia condizione attuale, anche queste doti hanno fatto la differenza e mi hanno portato a conseguire i miei obiettivi.”

Cosa ti è servito di più nel primo anno di lavoro?

“Considerando LEGO, l’azienda alla quale sono approdato stabilmente dopo l’università, credo che le spinte più importanti siano arrivate dalla mia motivazione, dalla pragmaticità e dall’approccio metodologico acquisito negli anni. Per quanto si possa aver studiato, sono convinto che le vere competenze si consolidano solo lavorando, all’università si studiano i libri e magari si sperimenta anche qualche frammento di realtà, ma ci si trova pur sempre in un ambiente protetto dove si applica la teoria in casi da laboratorio (verosimili ma senza le complicazioni della vita reale). Nella vita lavorativa, specie all’inizio, si deve sudare per imparare, non scoraggiarsi quando le cose non vanno come previsto e perseverare nel cercare la via giusta ma senza impazzire. È importante sapersi districare tra imprevisti, razionalizzare e decidere in tempi rapidi, non si potranno mai conoscere le risposte a tutte le domande, l’importante è sapere come affrontarle e come cercare una risposta.”

Cosa ti ha insegnato il tuo primo capo?

“Alcune delle cose più importanti che mi sono portato dietro dal primo capo sono la capacità di essere sempre pronto (che non significa necessariamente avere sempre la risposta pronta, ma saper cosa fare) e la diplomazia (a volte è meglio non essere “trasparenti” e mandare giù bocconi amari, ma con arguzia, astuzia e nel limite imposto dalla propria personalità e orgoglio).”

Cosa ti ha insegnato il capo che consideri tuo mentore?

“Moltissime cose! Il capo che considero il mio mentore, non è solo stato il mio superiore ma una persona capace di accogliermi e supportarmi ogni volta che ne avessi bisogno in un modo che solitamente si trova in un padre. È difficile scegliere da dove iniziare, proprio come gli allenatori che hanno a disposizione tutta la rosa e non sanno chi mettere in campo! Scherzi a parte, l’insegnamento più importante è l’aspetto umano della vita lavorativa: fiducia, umiltà, apertura e duro lavoro sono parole chiave in tal senso e vengono prima di qualsiasi strategia o piano marketing. Sul piano più strettamente professionale, porterò sempre con me un’immagine che descrive il comportamento ideale sul lavoro: il lavoro è come una discesa di kayak in un corso d’acqua pieno di rapide e insidie, per essere i più veloci non serve cercare la traiettoria perfetta, ma saper anticipare quello che ci aspetta e andare nella direzione giusta.”

Cosa vorresti aver studiato in più o di più nel tuo percorso scolastico?

“Da sempre mi affascina anche il campo della psicologia, l’interpretazione dei comportamenti umani e le sue cause scatenanti, il dualismo cuore/ragione e la decodifica della gestualità. Sono sempre stato attratto da questi studi, che talvolta hanno il sapore del mistico e del misterioso, ma sono assolutamente attuali e presenti nella vita di tutti giorni, da quando si è innamorati e si cerca di capire se siamo corrisposti a quando si cerca l’approvazione del proprio capo passando per tutte quelle volte in cui si vorrebbe influenzare o capire gli altri. Chissà magari in futuro mi dedicherò anche ad approfondire questa passione che vedrei come un arricchimento sia a livello personale sia professionale.”

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INTERVISTA A STEFANO DEL FRATE, GENERAL MANAGER ASSOCOM

PC Stefano Del Frate è la persona dalla quale, nella grande bottega di Young &Rubicam, ho imparato il mestiere dell’account. Negli anni siamo riusciti, complice anche una forte empatia, a fare una buona manutenzione della nostra amicizia (vedi post di Patrizia) e del nostro rapporto professionale. Dall’ultima volta che l’ho intervistato è cambiato il suo punto d’osservazione sul mondo dei giovani e del lavoro: Stefano è ora infatti direttore generale dell’Assocom, l’associazione che riunisce i principali attori nell’ambito della comunicazione. Inoltre mantiene un costante rapporto con le nuove generazioni, dato che è docente al Politecnico e in Iulm.

Stefano Del Frate, General Manager Assocom

Stefano Del Frate, General Manager Assocom

Gli ho quindi chiesto di dirci, dal suo osservatorio privilegiato, quali sono le prospettive per i giovani nel settore della comunicazione, e se ha senso entrare in un comparto che, com’è stato recentemente affermato, rischia nei prossimi 5 anni di perdere il 30% della propria forza lavoro.

Stefano Del Frate: Quello della comunicazione è, per definizione, un settore giovane. Uno dei problemi che sta creando grossi problemi al comparto è la gestione dei costi fissi. La comunicazione è radicalmente cambiata e stanno cambiando le professionalità che la compongono. Gli strategic planners devono diventare degli intercettatori di punti di contatto con gli individui, on top della loro capacità di generare dei validi brand concepts. Che poi questa figura venga più facilmente dall’ambito creativo o da quello media, è ancora tutto da vedere.

I creativi non spariscono di certo, ma devono significativamente cambiare i loro modelli di sviluppo per riuscire ad allargare il loro campo d’azione ad un settore digitale che viaggia più veloce della nostra capacità di aggiornamento.

Ho voluto fare due esempi per far capire che se le persone che sono attualmente nelle agenzie non si adeguano al cambiamento, sono destinate ad uscire e a trovare grandi difficoltà di ricollocamento.

La popolazione media delle agenzie è invecchiata con il modello condiviso della pubblicità tradizionale. Questo crea per le agenzie un eccesso di costi e una non adeguatezza rispetto alle esigenze dei clienti, che si aspettano consulenza vera dalle agenzie. Questa situazione probabilmente è alla base delle affermazioni catastrofiche di riduzione di impieghi nel settore. Io rimango convinto che il settore è strategicamente sempre più necessario per le aziende e che le persone che escono saranno sostituite da persone nuove, più giovani, più motivate, più preparate sulle nuove tecnologie, a costi inferiori.

Quali caratteristiche deve per forza possedere un giovane per entrare nel mondo della comunicazione?

SDF Dico sempre ai miei studenti che saranno tanto più interessanti per il mondo delle agenzie, quanto più saranno in grado di diventare portatori di innovazione, creatività ed entusiasmo.

Paradossalmente i giovani sono già abbastanza conservatori nelle loro scelte: tutti sono in Facebook. Ma pochissimi sono in Twitter e non sanno neanche cosa siano LinkedIn e Pinterest. Se il futuro ruoterà interno ai social networks e al mobile, chi meglio di loro potrebbe innovare in questo settore?

Se i modelli più avanzati sono all’estero devono andare a trovarseli e studiarli. Se no li dovranno inventare loro.

Quali qualità o competenze danno una marcia in più in un settore così competitivo?

SDF Il digitale, per sua natura, offre la possibilità di misurare le attività con calcoli precisi sui ritorni degli investimenti. Devono quindi smetterla di avere paura della matematica. Se prima si parlava in Power Point, oggi coi clienti si parla in Excel.

Il mercato è ormai globale e se non si padroneggia bene almeno una lingua, preferibilmente l’inglese – almeno fino a quando il cinese non monopolizzerà il commercio internazionale – non si potrà gestire neanche un bar.

Il talento individuale deve essere messo al servizio della squadra. Ci sarà sempre meno spazio per talenti egotici e solitari. Alla fine la gestione delle relazioni e della leadership diventeranno skills sempre più importanti e richiesti.

La curiosità è la porta da cui passa l’innovazione. Sono perplesso quando incontro dei giovani che mi dichiarano la loro passione per la comunicazione e non sanno rispondermi quando gli chiedo che cosa fanno per nutrire questa loro passione.

Cosa fa e farà Assocom per aiutare i giovani talenti?

SDF Assocom, nel bene e nel male, rappresenta tutto il comparto. Cerchiamo quindi di fornire gli strumenti di aggiornamento per impedire l’uscita del 30% che paventavamo prima. Abbiamo quindi iniziato un serio programma di formazione e aggiornamento, che vede nella digitalizzazione del mercato i suoi ambiti più importanti.

I giovani hanno la possibilità di specializzarsi, prima dell’ingresso nel mondo del lavoro, nei nostri master di secondo livello, quello in Brand Communication con il Politecnico di Milano e il primo Master per la Formazione di Digital Specialist, con Alma, dell’Università Cattolica. Questi giovani dovrebbero trovare opportunità di stage e di lavoro presso le nostre agenzie associate.

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