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Il bello delle chiacchiere

PB Chiacchiere (non quelle di Carnevale a minacciare la nostra dieta per tutta la settimana) ma quelle che si fanno attorno a un tavolo.

Sono stata, la settimana scorsa, un paio di giorni a Montecarlo. E ho goduto del piacere della buona conversazione. Non succede spesso e soprattutto non è comune per chi organizza cene di lavoro, riuscire a trasformare un incontro che parte da uno spunto professionale (quante volte ci capitano vernissage, lanci di prodotto, eventi in cui fingiamo di divertirci?) in un incontro davvero piacevole.

Si trattava del “Diner des partenairs” del Monte-Carlo Rolex Master, preparatorio al torneo che si terrà nel Principato di Monaco il prossimo mese di aprile .

I padroni di casa (cioè il direttore del Torneo e i suoi collaboratori) si sono presi cura degli ospiti. Ci conoscevano per nome, ci venivano incontro per salutarci, si preoccupavano di presentarci agli altri invitati. Come appunto, ospiti di una casa, di una famiglia.

Per me, relativamente nuova del mondo del tennis e non bazzicante Montecarlo per usuali diletti (ho piuttosto una storia di vacanze in moto in Sicilia, più che di chemin de fer al Casino del Principato) la gradevole sensazione di avere come anfitrione un padrone di casa e non una agenzia di PR.

La composizione dei tavoli credo sia stata fatta con cura, mescolando uomini e donne, matricole e veterani, Club e Aziende. Con il risultato di avere sorrisi e conversazioni vivaci in ognuno dei tavoli.

Di fronte a me l’incantevole Monsieur Truchi (direttore del Country Club), di fianco a me Monsieur Hoppenot, Vice President dell’ Hotel de Paris.

Con Mr Truchi ci siamo persi negli aneddoti del tennis, di quando ventenne giocava con Sergio Tacchini ad Ascoli Piceno e di quanto trovasse, anche recentemente, amabile Pierrette , la bella tennista diventata poi sua moglie.

Ma poi alla mia sinistra un fiume di parole e bollicine mi ha svelato i segreti delle cave dell’Hotel de Paris: due chilometri di cantine sotterranee piene dei vini più preziosi del pianeta. Bottiglie che non sono neanche nel menù (per evitare che grossolani milionari le bevano senza gustarle) e che costano 10.000 euro l’una.

Le mani tremanti dei giovani sommelier che, novizi primi della classe delle migliori scuole di hotellerie d’Europa, aprono bottiglie preziosissime con il cuore in gola. E che dopo qualche anno maneggiano tesori come se fossero lattine di gazzosa.

Bottiglie speciali che non si aprono e che si custodiscono per le generazioni future, altrimenti destinate a non poterle mai gustare.

Non finivo più di ascoltare e chiedere e sbirciare le foto sul blakberry.

La complicatissima formula per organizzare una cena di lavoro in cui nessuno guardi  l’orologio per scappare non appena le buone maniere lo consentano, è parsa quanto di più semplice e naturale potesse avvenire: grande esempio per chi si occupa di organizzare eventi di lavoro. Pensarli come fossero una cena a casa, in cui si invitano un paio di colleghi simpatici, gli amici del teatro e la ex compagna di scuola.

Certo una vista spettacolare sul mare, una cucina stellata e la brezza della Cote d’Azur aiutano. Ma nulla sono rispetto alle parole (cioè all’ avere qualcosa da raccontare e a raccontarlo bene) e alla passione che quando volano alto fanno sognare anche dalle cantine.

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Benvenuti al sud

PB Lunedì scorso, per lavoro, sono andata in Puglia.File:Cattedrale di Trani.JPG

Per una volta non a vedere negozi e ipotizzare sbocchi di mercato, ma a vedere la produzione, laddove i capi che poi si vedono in scintillanti vetrine , si immaginano come astratti grafismi (disegnati sul cartamodello) , si tagliano ( in materassi di tessuto stesi su un tavolo lunghissimo) , si confezionano.

Poco palcoscenico e molti camici azzurri per chi è addetto alla produzione.

Io adoro il dietro le quinte. Mi piace vedere il disegno che esce dal CAD. Per la prima volta ho visto come si tagliano i tessuti tubolari (quelli senza cuciture) e ho capito perché è necessario per questi capi che la produzione sia numericamente importante: qui le fustelle sono sculture in metallo, che cambiano per ogni modello e ogni taglia!

Ho trovato una azienda piuttosto orgogliosa della propria qualità, con molte persone giovani al lavoro. La scelta infatti dell’imprenditore, non essendoci grandi aziende simili nella zona a cui “rubare competenze”, è di scegliere collaboratori giovani da formare e poi tenere in azienda

Pranzo a Trani (cittadina bellissima che non avevo mai visitato). Al tavolo di fianco al nostro sedeva un viso noto: un mio ex stagista in Dolce&Gabbana , evidentemente soddisfatto manager dell’Agroalimentare (ricordate il post di Paola sulle prospettive nell’agroalimentare? Rileggetevi il post del 22 novembre sui giovani poco choosy e molto interessati all’agricoltura)

Riporto dal mio lunedì pugliese (oltre a una certa dose di stanchezza derivata dal decollare da Malpensa alle 7,25 del mattino e riatterrarvi la sera stessa alle 22,40) le seguenti considerazioni:

–          se riuscite a scegliere andate a lavorare in una azienda che abbia voglia, energia per formarvi.

–          puntate su quello che è maggiormente valido in Italia e non trascurate il settore agroalimentare: l’eccellenza italiana è nella moda, nel design, nella cultura, nel turismo e, appunto, nell’agroalimentare

–          Il lavoro consente di vedere , fare cose che altrimenti non si farebbero. E non si tratta solo di disponibilità economica: chi penserebbe mai di fare una vacanza nella sala taglio di una azienda di underwear?  Eppure a me è piaciuta più degli ipogei di Canosa di Puglia!

–          Il lavoro, anche se faticoso, offre spesso, oltre che un salutare salario, la possibilità di vedere il nostro paese con occhi diversi e di scoprire realtà operose e bellissime tra gli ulivi e il mare.

Io ho poi scoperto che se un mio stagista è già un affermato manager devo immediatamente acquistare una buona crema antirughe. Ma questo per il momento non è un vostro problema.

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Twitter: come uno straordinario ambiente influenza il lavoro

PC  Quando ho letto nel post sulla Manutenzione di Patrizia dell’importanza di tenere i rapporti con i propri professori mi è venuto spontaneo pensare a Riccardo Bonetti, che subito dopo la sessione di laurea mi ha ringraziato (quasi nessuno lo fa) per come l’avevo seguito e sostenuto durante la discussione e mi ha poi tenuto aggiornata sui suoi progressi, senza mai risultare invadente.

Riccardo Bonetti con Joseph Killian, facility manager di Twitter

Riccardo Bonetti con Joseph Killian, facility manager di Twitter

Da queste conversazioni è emerso che stava partendo per San Francisco per una full immersion di inglese e mi è venuto spontaneo chiedergli di farci da inviato speciale per trampolinodilancio: ho immaginato che l’autore di una brillante tesi sullo story telling avrebbe sicuramente trovato una storia utile e interessante per i suoi coetanei, nostri lettori. Ecco infatti il racconto della sua visita nell’headquarter di Twitter, per scoprire come un ambiente straordinario può influenzare il lavoro dei dipendenti.

Riccardo Bonetti: “Scroccare” un pranzo in uno degli headquarters più belli del mondo è una fortuna che non capita a tutti. Ancora più bello è poterlo fare insieme a persone disponibili ed entusiaste del proprio lavoro. Persone come il mio amico Joseph Killian, facility manager di Twitter, che lo scorso Dicembre mi ha permesso di visitare la nuova sede della web company di San Francisco.

Da Giugno 2012 l’HQ di Twitter si è trasferito in Market Street, nel quartiere del Civic Center. Nonostante ci si trovi a pochi isolati di distanza dai lussuosi palazzi del Financial District, in questa zona della città il tasso di criminalità è piuttosto alto, le vie sono piene di mendicanti e alcolizzati e può facilmente capitare di imbattersi in qualche street gang messicana tutt’altro che socievole. Come mi ha spiegato Joseph il trasferimento della sede in questo quartiere è avvenuto soprattutto per ragioni economiche: la municipalità di San Francisco, infatti, sta concedendo importanti agevolazioni fiscali alle aziende che decidono di trasferirsi in quest’area. Da una parte quindi, l’azienda è riuscita a risparmiare parecchio sulle tasse comunali, dall’altra la città di San Francisco dovrebbe riuscire a riqualificare almeno in parte una zona altrimenti malfamata.

Gli uffici di Twitter occupano i tre piani più alti di un palazzo storico completamente ristrutturato. All’ingresso mi è stato consegnato un badge di riconoscimento con cui poter accedere liberamente a diverse aree della struttura. Mi ha subito colpito il design minimal dell’area reception che divide la zona degli uffici da quella degli spazi comuni. I colori dell’arredamento richiamano quelli dell’interfaccia del sito e il logo del famoso uccellino azzurro è presente un po’ ovunque.

La mensa birdfeeder di Twitter

La mensa @birdfeeder di Twitter

Il piano più alto è interamente occupato dalla mensa “@birdfeeder” che si affaccia su una terrazza panoramica con vista sulla skyline di downtown. L’ambiente è giovane e davvero informale, durante la pausa pranzo un DJ suona musica ambient e la varietà del cibo (gratis) nel menù è vastissima.

Dopo aver mangiato, Joseph e i suoi colleghi mi hanno mostrato altre parti dell’edificio. Oltre a diverse aree meeting e sale conferenze i fortunati “Twitters” possono vantare anche una sala giochi, un’area snack e una grande stanza per fare yoga.
Sulle pareti sono appesi alcuni cartelli che suggeriscono ai dipendenti come comportarsi in caso di incendio: “In case of fire exit before tweeting about it” (geniale).

La sala giochi di Twitter fotografata da Riccardo Bonetti

La sala giochi di Twitter fotografata da Riccardo Bonetti

Prima di ringraziare Joseph per l’ospitalità ne ho approfittato per porgli una domanda inerente alla sua esperienza professionale.
Riccarto Bonetti: In che modo questo straordinario ambiente influenza il lavoro e la produttività dei dipendenti?

Joseph Killian: Credo che i nostri risultati professionali dipendano molto dall’ambiente in cui lavoriamo, da come esso ci condiziona e dallo stato mentale che ne deriva. Noi del Facility Management facciamo il possibile per creare un ambiente di lavoro che favorisca la collaborazione tra i team, e che allo stesso tempo aiuti e ispiri positivamente ogni dipendente. Questo è il motivo per cui diamo spesso ai dipendenti la possibilità di alzarsi dalle proprie scrivanie e prendersi una pausa per distrarsi, rilassarsi o bersi un drink tra colleghi. Personalmente credo che tutti dovrebbero fare qualcosa per sfruttare al meglio lo spazio in cui lavorano rendendolo più piacevole. E non è necessario avere dei videogames o una sala yoga per creare l’ambiente ideale.
Ripensando alle parole di Joseph e alla mia visita al Twitter HQ mi permetto di condividere con voi alcune considerazioni personali. In Italia mettere in campo la propria creatività e le proprie idee (e venderle) sembra oggi una sfida sempre più difficile. I motivi sono certamente imputabili alla situazione economica che stiamo vivendo, ma quante aziende del nostro paese offrono a giovani professionisti la possibilità di esprimersi e di coltivare il proprio talento in un ambiente così giovane e stimolante? Mi torna alla memoria uno dei suggerimenti di Richard Branson, fondatore di Virgin, sintetizzati da Paola in un post di qualche mese fa: “Se riuscite a divertirvi sul lavoro, se l’atmosfera è positiva, ci sono molte più probabilità che il vostro business abbia successo“. Credo che la fortuna di Twitter ne sia la riprova, e il consiglio di Sir Richard, in un’altra ottica, risulta prezioso non soltanto per chi, come me, si sta “lanciando” nel mondo del lavoro, ma anche per coloro che in cambio del nostro tempo e delle nostre idee, saranno disposti ad offrirci l’ambiente lavorativo ideale.”

Ringrazio Riccardo per questo interessante contributo. La mia esperienza mi suggerisce che la fortuna di cui parla all’inizio va sempre aiutata con proattività e spirito d’iniziativa, due qualità che a lui certo non mancano e che spero lo aiutino presto a trovare una strada nel mondo della comunicazione (magari in un ambiente stimolante come quello che ha descritto).

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IED E OGILVY & MATHER CERCANO NUOVI TALENTI BRAVI A RACCONTARE STORIE

PC Forse hai un talento e non lo sai…”. Esordiscono così i video virali pensati e realizzati da Ogilvy & Mather Advertising per reclutare studenti per il  corso di copywriting di Ied. Caricati su Youtube e subito condivisi da molti utenti, i tre video virali spiegano in modo divertente e coinvolgente che raccontare storie potrebbe diventare un lavoro.

Video virali per il corso Ied di copywriting

Video virali per il corso Ied di copywriting

Un progetto così innovativo ci ha incuriosito e abbiamo quindi chiesto a Ogilvy & Mather Advertising, dove hanno lavorato sul progetto i direttori creativi esecutivi Giuseppe Mastromatteo e Alessandro Sabini, con il contributo del copy Maurizio Rosazza Prin, e a Ied di raccontarci di più. Ci hanno risposto Alessandro Sabini per Ogilvy & Mather e Matteo Battiston, direttore Ied Comunicazione.

Com’è nata l’idea di presentare un nuovo corso attraverso uno strumento innovativo nell’ambito della formazione: la diffusione di video virali?

Alessandro Sabini: la scelta dei virali nasce per tanti buoni motivi: il primo, sicuramente di natura economica. Una scuola come IED, seppur una delle realtà più importanti a livello internazionale nella formazione di talenti creativi, non può certo permettersi una pianificazione televisiva per promuovere un solo corso. Ma soprattutto, per via del fatto che il target da raggiungere vive in rete: è lì che recupera tutti i contenuti e le informazioni più importanti per la propria vita. Dalla musica agli amici fino ad arrivare a tutto ciò che riguarda scuola, formazione e futuro.

In più, abbiamo usato un format che potesse valere sia come video virale, ma anche (e soprattutto) come activation sfruttando le reazioni vere, di ragazzi veri fermati per strada e messi nelle condizioni di dover fare appello alle proprie capacità creative e di storytelling. Proprio per dimostrare che la creatività è già dentro di noi. Basta saperla sfruttare.

Matteo Battiston: Trasformare la fine di una giornata nell’inizio di una nuova avventura. 

Questo è il concetto base da cui siamo partiti assieme ad Alessandro Sabini, Direttore Creativo di Ogilvy & Mather e coordinatore del corso. Molti ragazzi, magari già avviati alle loro professioni, nutrono passioni e curiosità o nascondono un talento che attende la giusta opportunità per essere messo in gioco. Dall’altro lato le agenzie di comunicazione – piccole, indipendenti, digitali oppure affermate e internazionali come quella diretta da Alessandro – sono alla continua ricerca di profili in grado di concepire e sviluppare messaggi e narrazioni adeguate a una frammentazione di pubblici e mezzi di comunicazione sempre più complessa.

In questo punto di incontro vive l’opportunità che vogliamo dare ai partecipanti del Boot Camp, un vero e proprio “campo di addestramento” dove teoria e pratica si accompagnano sempre. Un camp creativo che affronta tutti i temi e tutte le figure che ruotano attorno al mestiere di scrivere e pensare: advertising, web writing e concept thinking. Durante il Copywriting Boot camp si acquisiranno e si affileranno tutte le armi che servono al creativo: dalla comunicazione classica – tv, stampa, affissione e radio – alle nuove forme di comunicazione: web engaging, live activation, consumer experience.

I video virali che abbiamo sviluppato e si sono diffusi in rete sono un esempio di tutto questo, un vero teaser dei risultati che si potranno ottenere. 

L’idea è semplice: esiste un talento comunicativo che spesso teniamo nascosto o non sappiamo di avere, e quel talento ha un valore enorme. Cercavamo storie di tutti i giorni, dove ognuno di noi, in qualche modo si riconosce e immedesima. 

Poi, con Alessandro Sabini, il resto è venuto da sé: con guide così, le avventure sono più facili da intraprendere con coraggio. E anche più belle!

Quali prospettive si aprono per i giovani che seguiranno questo corso di copy writing, con una particolare enfasi sullo storytelling? 

Alessandro Sabini: Il corpo docenti è formato da una schiera di giovani docenti/professionisti. Alcuni tra i migliori nomi provenienti dall’advertising, il digital, il planning e anche clienti di brand internazionali. I temi trattati sono i più attuali e i profili che cercheremo di formare sono quelli che in futuro avranno più possibilità di entrare in questo difficile mercato del lavoro, quello della comunicazione. Ecco perché in classe non si parla di pubblicità, ma di storytelling, di creazione di contenuti, di integrazione e di futuro del digital. Poi, ovviamente, le prospettive di ciascuno studente dipenderà dalle capacità di ognuno di loro di sfruttare al meglio gli strumenti messi a disposizione. 

A questi link i video virali: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=b3ZBW8fHEZw

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QUANDO UN ART DIRECTOR SI SCOPRE SCRITTORE: INTERVISTA A LUCA MASIA

PC Parlando del protagonista del suo nuovo romanzo, Il sarto di Picasso, Luca Masia dice: “È vero, la vita è strana: ci induce a seguire dei percorsi che passo dopo passo sembrano strade obbligate, quasi imposte dal destino. Ma poi ci si ferma a prendere fiato, ci si volta e si riguarda con gli occhi dell’esperienza la strada che si è percorsa. E ciò che vediamo è spesso la strada che avremmo voluto percorrere. Lo comprendiamo solo dopo, ma è così: il destino scrive per noi le storie che noi vogliamo scrivere. In realtà siamo noi che le dettiamo, magari inconsapevolmente; il destino le scrive soltanto.” (La bella intervista completa su booksblog)

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Luca Masia, autore de Il sarto di Picasso

Avendolo conosciuto e stimato come art director in Young & Rubicam, ritrovarmi tra le mani il suo, bellissimo, libro mi emoziona, ma mi incuriosisce anche: siamo abituati a pensare che la creatività, almeno in ambito lavorativo, abbia una sua strada segnata, mentre la storia di Luca ci dimostra che ognuno di noi contiene delle piccole matriosche pronte a rivelarsi agli altri, per magari scoprire che la più piccola e nascosta è proprio la più preziosa.

A questo proposito Luca dice che il protagonista del libro, Michele Sapone, il sarto di Picasso, gli ha insegnato molto: innanzitutto a guardare in profondità dentro se stessi, scoprire il proprio talento e dedicarsi con fiducia alle proprie passioni. Il successo verrà dopo, ma se anche non dovesse venire, il fatto stesso di vivere con intensità, collezionando gli attimi della propria esistenza, sarebbe comunque un successo.

Gli abbiamo chiesto quindi qualche suggerimento per quei nostri lettori che, a qualsiasi età, stanno ancora cercando di capire qual è il loro talento e come trasformare una passione in un lavoro.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che vuole entrare nel mondo della comunicazione ma non sa ancora esattamente che strada prendere?

Intanto ti ringrazio per queste domande che mi permettono di ragionare sulle cose che faccio e che ho fatto per condividere con altri – soprattutto giovani – il senso di un percorso.

Una delle cose che ho imparato e di cui sono maggiormente convinto è che abbiamo tutti dei talenti nascosti e che dobbiamo imparare a riconoscerli. Heinrich Böll suggeriva di diventare “collezionisti di attimi”; ecco, capire cosa siamo realmente bravi a fare è un modo assai efficace per diventare collezionare di attimi.

A un giovane che desideri entrare nel mondo della comunicazione direi di leggere molto, studiare molto, ragionare molto su se stesso e confrontarsi molto con gli altri, ricercando le proprie particolari inclinazioni. E poi di buttarsi nel mondo, senza averne troppo timore: rispetto sì, ma non timore.

Se in cucina disponi degli ingredienti giusti per fare un buon piatto, anche se non hai la ricetta troverai il modo di combinarli bene.

Che cosa ti ha dato la tua esperienza come pubblicitario? Mi dicevi che con Aldo Colonetti pensavi di fare un corso allo Ied “dalla pubblicità al romanzo”, c’è quindi un percorso (virtuoso?) che può portare dalla “réclame” alla letteratura?

Un’altra delle cose che ho imparato è che la specializzazione in quanto tale non esiste; ogni cosa è sempre in collegamento con le altre. C’è molta letteratura nella réclame, così come c’è molta réclame nella letteratura, nel cinema, nella pittura, nella musica. Per réclame intendo quella particolare architettura del pensiero che è alla base della pubblicità, quella dialettica che ha la forza di convincere proponendo argomentazioni credibili e inattese.

Una buona pubblicità è come una finestra spalancata su paesaggi nuovi, così come un buon libro o un quadro. In questo senso il percorso che porta dalla réclame alla letteratura è meno lungo e tortuoso di quanto si possa immaginare.

Come hai capito che albergava dentro l’art director un copy writer, che è poi diventato scrittore?

Fin da ragazzo amavo la lettura e la scrittura. Dopo il liceo ho frequentato la Scuola Politecnica del Design di Nino Di Salvatore che mi ha avvicinato al mondo dell’arte, della grafica e quindi della comunicazione. Quando, poco dopo, ho vinto una borsa di studio dell’Assap e sono entrato in agenzia, per tutti ero un art director, ma io non avevo mai smesso né di leggere né di scrivere.

Ho sempre pensato alla campagna pubblicitaria come a qualcosa di complessivo: un corpo unico di immagine e testo generati da un art e un copy insieme, senza distinzioni. E questo senza citare il contributo essenziale di account, ricercatori e degli stessi clienti.

Poi, sempre in agenzia, ho avuto modo di frequentare alcuni corsi di cinema e di sceneggiatura che mi hanno stimolato a scrivere testi più lunghi e storie più articolate. La sceneggiatura mi è servita molto per avvicinare la dimensione del romanzo, di cui all’inizio avevo un po’ di timore (o forse, troppo rispetto).

Cosa puoi suggerire a dei giovani talenti che cercano faticosamente di entrare nel difficile mondo del lavoro?

Il talento è come il tempo per sant’Agostino: “se mi chiedi cos’è lo so, se mi chiedi di spiegarlo non lo so più”. Il talento non deve necessariamente essere spiegato, ma deve essere lasciato libero di esprimersi. In un colloquio di lavoro, ad esempio, è più efficace sorprendere che cercare di convincere delle proprie qualità.

D’altro canto, occorre mantenere il senso della misura e trasmettere un segnale preciso di quanto si potrà – una volta assunti – essere ben integrati nel team di lavoro rimanendo comunque delle individualità.

Quando mio nonno mi spiegava l’arte del fuoco, mi diceva che dovevo mettere i legni il più vicino possibile in modo che si toccassero il meno possibile.

Il talento è come il fuoco: i ceppi devono essere abbastanza vicini da passarsi la fiamma, ma non troppo da togliersi l’aria…

E a chi a 40 anni non si sente soddisfatto di quanto sta facendo?

Penso che sia la stessa cosa di quando di anni ne avevi venti: da un lato è più difficile perché pensi di aver perso del tempo e soffri l’assillo delle responsabilità, ma dall’altro è più facile perché hai un’esperienza che non avevi da ragazzo. Disponi di molte più informazioni per cercare il tuo talento e lasciarlo libero di esprimersi.

Il cammino è sempre quello: collezionare gli attimi della vita. Si può iniziare anche l’ultimo giorno, sarebbe comunque un bel finale.

E in un romanzo, il finale è importante quanto l’inizio.

Del Sarto di Picasso, SilvanaEditoriale, che ho iniziato solo ieri sera, posso per ora dirvi che ha un inizio magnetico come lo sguardo di Picasso e che la storia di questo artigiano, così abile nel suo  saper fare da mettersi allo stesso piano con il più grande artista del XX secolo, è una bellissima metafora dell’importanza di fare un lavoro che piace e per il quale si è, scusate il gioco di parole di bassa lega, tagliati. Che sono poi gli argomenti che amiamo trattare su questo blog.

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GfK Eurisko descrive i giovani d’oggi: tutt’altro che choosy

PC Molto interessante la sezione dedicata ai giovani nell’ultimo Social Trends, il periodico realizzato dall’istituto di ricerche GfK Eurisko, con lo scopo di migliorare la conoscenza delle trasformazioni della società. Intrigante a partire dal titolo che recita: CHOOSY/AGRICOLTORI. Vi copio un estratto.

“I giovani schizzinosi escono di scena. Dai sondaggi che settimanalmente svolgiamo per il QUOTIDIANO IN CLASSE spiccano ragazzi, dalle classi del liceo in su, ben poco viziati, con i piedi ben piantati per terra. Con un pensiero per niente astratto né utopistico, molto concentrati sul fare e sulla preparazione necessaria per poter trovare il prima possibile il posto di lavoro, che non necessariamente dovrà essere intellettuale. Non è vero che i ragazzi sono carenti di realtà, anzi possiamo dire che ne possiedono addirittura troppa. Anche verso la politica i giovani non si mostrano schizzinosi. Quando avranno l’età, dicono, andranno sicuramente a votare e faranno pesare il loro voto. Non condividono l’antipolitica e rifiutano, ad esempio, l’astensionismo che si è recentemente manifestato in Sicilia. A quale realtà pensano i giovani? Possiamo dire tutta. Dipende dalle offerte. Ma, grattando un po’ nelle loro motivazioni, si colgono interessi inediti in alcuni comparti, ad esempio l’agricoltura, certo non da intendersi come bracciantato muscolare, ma come nuovo impegno postmoderno che richiede attrezzature tecnico- scientifico-culturali. Ebbene sì, intellettuali della terra per coltivare criticamente il territorio, per sviluppare le nuove filiere del cibo e della sostenibilità ambientale e sociale. Il tutto in una prospettiva, questa sì utopica, di un ritorno alla terra “partecipato”, dove non esistano più braccianti sottopagati ma “utili” distribuiti, in una cooptazione alla tedesca.” (Filippo Magri si conferma quindi trend setter!)

Siete d’accordo con questo ritratto? Voi giovani vi ci ritrovate, voi genitori ci riconoscete i vostri figli?

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Oggi a Deejay chiama Italia Severgnini dà otto consigli per un futuro migliore

PC Ci fa piacere segnalare una bella opportunità per sentire Severgnini – di cui abbiamo così spesso parlato nel blog – discutere stamattina del suo ultimo saggio, Gli italiani di domani, con Linus e Nicola Savino nello storico programma in onda tutti i giorni dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12.

Riflettendo su questo incontro mi sono resa conto che la grande passione che con la quale Patrizia e io seguiamo questi tre personaggi è dovuta anche al fatto c’è qualcosa ci accomuna a Beppe, Linus e Nicola: non è solo il fatto di essere più vicini ai 50 anni che ai 40, ma anche la passione per i giovani e il desiderio di condividere con loro quello che abbiamo imparato (dai successi e dagli insuccessi).

Severgnini nel suo ultimo libro dice: “I ragazzi non hanno il diritto il sognare; ne hanno il dovere”. Troppo spesso quelli della nostra generazione si affannano per toglierglielo, spero che gli otto consigli per un futuro migliore di Beppe li aiutino a riprenderselo.

Credere nei giovani, fargli capire che c’è qualcuno che ci tiene, può essere un modo per incoraggiarli a percorrere la loro strada con buon senso ed entusiasmo.

Il programma è visibile, contemporaneamente alla messa in onda, in streaming sul sito. In più lo si può guardare anche sul canale 9 del digitale terrestre e sul canale 145 di Sky. Viene inoltre replicato in versione “serale” dalle 22:30 su Deejay TV.
Questo è il link alla diretta streaming del programma: http://www.facebook.com/l/LAQHchxEnAQG9BLPI24mhyA9VRpU0mn4-quPLaprRY7OWgA/www.deejay.it/dj/tv/deejay_tv

Per concludere, dato che credo che ci siano delle coincidenze che hanno un significato, dedico questo post alla giovane amica che proprio ieri mi raccontava che quando va a trovare in Emilia i genitori parte sempre intorno alle 10.00 per ascoltare Deejay chiama Italia, che le fa compagnia durante il viaggio.

Lo faccio perché questa amica ha 26 anni, per amore ha deciso di trasferirsi a vivere su un piccolo lago lombardo, e, pur avendo studiato per 5 anni alle superiori lingue e contabilità, ha trovato solo, in anni di tentativi, un lavoro part time nel reparto gastronomia di un supermercato. Ora si ritrova ad essere assunta a tempo indeterminato (una fortuna rara!) ma a fare un lavoro che non le piace. Forse i consigli di Severgnini l’aiuteranno a buttare il cuore oltre l’ostacolo e trovare una porta che apra nuove opportunità. Perché se i giovani ottengono un futuro migliore, sarà migliore anche per noi.

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Intervista a Elio Fiorucci

PB  Vi ricordate la promessa di intervistare Elio Fiorucci? Ci siamo riuscite!

Mentre leggete, immaginate suoni e atmosfera: lui, carismatico e calmo, parla con un microfono che tiene stretto al petto. Si muove poco e sta seduto (diciamo: il contrario dell’imbonitore televisivo che si agita magnificando pentole e materassi).

Non alza la voce.

I suoi occhi brillano e saltano per tutta la sala, per tutti quelli che stanno lì ad ascoltarlo.

La voce è bassa eppure nessuno perde una parola.

Con noi, per voi giovani talenti, parla di rapporti umani, di fiducia, di molteplicità, di passione, di coraggio, di innovazione, di autenticità. Non conosce tutti i vostri nomi. Ma pare dagli occhi (che ridono? che sanno? ) che queste parole le abbia dette proprio per ognuno. Almeno così è parso a me e Paola che – ça va sans dir – siamo ormai perdutamente innamorate.

Trampolinodilancio: Durante il suo speach da Robilant & Associati ci ha colpito la sua definizione del mercato come “atto d’amore”, inedita definizione per un concetto, quello di mercato, che viene di solito o idolatrato o demonizzato: ci spiega la sua idea di mercato? E dove la vede realizzata?

Elio Fiorucci:  In ogni città esistono i mercati che non hanno mai perso il loro fascino a favore della Grande Distribuzione. Il mercato come dicevo non è solo il luogo delle merci ma è anche il luogo dell’incontro con  chi le merci le produce o le sceglie personalmente, per cui si instaura un rapporto umano che prevede la fiducia e tante altre bellissime sensazioni che si ottengono solo con lo scambio tra gli uomini.

Trampolinodilancio : A un certo punto della sua vita lei ha dovuto cedere il marchio Fiorucci. Che consigli darebbe a chi, sul lavoro, deve misurarsi con realtà dolorose di cambiamento?

Elio Fiorucci: Non avere una sola passione ma capire che esistono tante cose da vedere o da fare che non possono ridursi in una sola esperienza

Trampolinodilancio : A proposito dell’importanza di “andare a bottega”: quali “botteghe“ oggi consiglierebbe a un giovane che vuole iniziare a lavorare? Quali i maestri da seguire? I modelli da cui imparare? Quali luoghi da frequentare?

Elio Fiorucci:  E’ impossibile descrivere questi luoghi, li puoi trovare in una stradina secondaria o addirittura in qualche piccolo paese perchè lì senti che si esprime la personalità. Quelli che scelgono inconsciamente o consciamente di fare solo quello che amano. Ci sono gli appassionati di motociclette e gli appassionati di fiori, se li conosci hanno tutti la stessa attitudine che si chiama passione.

Trampolinodilancio : Tutti riconoscono le sue doti eccezionali di talent scout: Lei come riconosce un talento?

Elio Fiorucci: Per il coraggio di fare una scelta innovativa e questo può avvenire in qualunque categoria di professioni.

Trampolinodilancio : Che consiglio darebbe a un giovane che deve affrontare un colloquio di lavoro?

Elio Fiorucci:  Essere se stesso, non essere timido perchè la timidezza a volte è confusa con la mancanza di capacità.

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