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Made in Italy e distretti: quando il marketing si scopre un cuore

Naomi Campbell at FashionWeekLive in San Franc...

Naomi Campbell at FashionWeekLive in San Francisco, March 15, 2007. Photo by Jesse Gross. (Photo credit: Wikipedia)

PB  Chi lo dice che per avere successo bisogna essere necessariamente cinici e spregiudicati?

A me piacciono le storie romantiche.

Nei primi anni 2000 in Dolce&Gabbana mi trovai a gestire le calzature del bambino. Avevo sempre fatto tessile e la scarpa è tutt’altra cosa. Era assolutamente necessario trovare un Product Manager molto esperto. E così conobbi Lorenza. Da lei appresi cosa è una suola, una forma, uno stampo. Che i materiali di pelle si misurano al piede e non al metro. Che un interno in maialino non vale come uno di vitello. Che le scatole occupano un sacco di spazio (provate a farvi consegnare in ufficio un campionario!) e che le numerate sono un algoritmo imprescindibile per sopravvivere alla consegna dei clienti.

Con Lorenza ci siamo capite subito. Bisognava fare un prodotto come si deve, glamorous ma funzionale, cool per le mamme ma facile e morbido da calzare per i bimbi.

Non si trattava di un entry price e volevamo che il prodotto non deludesse le aspettative, che si riconoscesse nel valore il suo prezzo.

Ci voleva del Made in Italy. Lorenza prese l’automobile e si mise a cercare nelle Marche (i distretti produttivi in Italia meriterebbero un blog a parte) per cercare un laboratorio che facesse al caso nostro.

Dopo chilometri di colline, si imbatté in Giovanni. Nel suo paesello (dove tutti sapevano fare le scarpe da bambino) ormai l’atmosfera era triste e decadente. Quasi tutte le produzioni spostate in Asia, quasi tutti i consumi dei bimbi concentrati sulle sneakers (per le quali, onestamente, in Asia sono meglio di noi). Che futuro poteva esserci per fini calzolai affacciati sull’Adriatico?

Iniziammo con i primi prototipi, poi con il campionario, poi con la produzione delle prime collezioni. Che piacquero da morire. In sfilata Naomi Campbell uscì con un neonato in braccio. Tutti gli altri modelli la seguivano con un bimbo per mano che calzava le nuove scarpine (il figlio della Simo* uscì a torso nudo perchè non c’è stato verso di infilargli una camicia, ma ai piedi aveva i suoi piccoli anfibi).

Il Giovanni cominciò a richiamare i suoi operai (e a rassegnarsi a essere chiamato con l’articolo da quei pazzi di Milano) , e anche quelli degli altri laboratori del paesello, che si trovarono (nonne, mamme, cugine) a cucire tomaie, legare stringhe, inchiodare tacchi.

Lorenza quando andava nelle Marche era accolta come la statua della Madonna in processione. Con i suoi ordini, il controllo qualità, il suo timing stringente, aveva fatto rinascere il triste paesello che era tornato operoso, orgoglioso, indaffarato.

In pedana, sotto gli scatti dei fotografi, io e Lorenza, stagione dopo stagione immaginavamo brillare, forse ancora più luminosi dei flash, gli occhi del Giovanni e dei suoi artigiani, salvati da un PM curioso e dalla convinzione che si possa fare business mescolando passione e margini, cuore e budget. Magari a essere cinici si guadagnava di più. Ma volete mettere l’umore?

* La Simo è Simona Baroni, nostra amica prima ancora che Group PR and Communication Director di Dolce & Gabbana, una delle nostre prossime interviste (ndr)

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“Dall’idea all’impresa”, l’iniziativa che premia i giovani imprenditori

PC Il Corriere della Sera di ieri racconta un panorama ben noto a chi va in Svizzera passando dalla frontiera del Gaggiolo: al di qua del confine capannoni vuoti con desolati cartelli “Affittasi”, al di là della frontiera – a Stabio – una fila di fabbriche nuovissime o in costruzione, che nascono grazie alla bassa pressione fiscale ma anche all’efficienza dell’apparato burocratico, che permette di aprire una nuova attività in meno di 40 giorni.

Il confronto con l’Italia è davvero impietoso, per questo segnalo con piacere l’iniziativa di Assolombarda, che per il secondo anno  sostiene la nascita di cinque start -up innovative guidate da giovani.

“Dall’Idea all’Impresa – spiega Alvise Biffi, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori Assolombarda – vuole dare ottimismo e motivazione agli aspiranti imprenditori attraverso un aiuto concreto e fattivo, capace di abbattere la barriera normativo burocratica e far divampare la scintilla imprenditoriale”.

 L’iniziativa è rivolta a persone fisiche che abbiano un’età compresa tra i 18 e i 40 anni e che si impegnino a costituire una società a responsabilità limitata o una società per azioni a forte contenuto innovativo, con sede legale e/o operativa in provincia di Milano. Possono presentare domanda candidati singoli, o riuniti in gruppo, che dovranno detenere da soli o congiuntamente almeno la maggioranza del capitale della società che andranno a costituire.

I vincitori non ricevono un semplice finanziamento, ma agevolazioni sia economiche che tecnologiche che, nel primo anno di attività,  li aiutino nella costituzione dell’impresa e nello sviluppo delle capacità manageriali.

L’anno scorso hanno vinto: Zest (realizzazione e commercializzazione del sistema freeairbaby che pulisce l’aria che i bimbi respirano all’interno dei passeggini), Kook Sharing (un ristorante in condivisione, senza cuochi, aperto 24 ore su 24), Vis Virdis (produzione e vendita di energia rinnovabile) e Sorridere Insieme (servizio di consegna a domicilio di beni alimentari e di largo consumo in promozione).

La modulistica e le modalità di partecipazione sono scaricabili dai siti Internet dei promotori dell’iniziativa, che sono il Gruppo Giovani Imprenditori di Assolombarda, il Consiglio Notarile di Milano, l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano, Milano Metropoli Agenzia di Sviluppo e BIC La Fucina che supporteranno gratuitamente per un anno con i propri spazi d’incubazione d’impresa, servizi e competenze professionali cinque progetti imprenditoriali selezionati.

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INTERVISTA A EMANUELE BIANCHI DENIM BRAND MANAGER IN DIESEL

emanuele bianchiPB Qualche anno fa in Dolce&Gabbana cercavamo uno stagista da inserire nella struttura di Marketing della neonata Divisione Accessori. Si sarebbe occupato di quei piccoli gingilli (intimo, costumi, foulards, cappelli, guanti, etc) meno prestigiosi degli abiti da sfilata, ma più costosi dei pomodori pelati.
Tra i candidati (il nome mi era stato passato da Paola, coautrice di questo blog e mio pusher di talenti da sempre) Emanuele (dotato ai tempi di una chioma piuttosto impegnativa e refrattaria all’uso del balsamo) mi colpì perché , alla domanda “che cosa ti piace?”, rispose “ la semiotica e la chitarra”.
Fu la semiotica? Fu la chitarra? Furono i capelli? A me piacque subito e anche in seguito (benché non abbia mai fatto un concerto in ufficio) per il suo approccio non convenzionale e intelligente.
Divenne Product Manager in DG e poi passò in Diesel, dove ora è DENIM BRAND MANAGER sul core business dell’azienda.

E tu come hai vissuto i primi passi nel mondo del lavoro, dato che eravamo allo stesso colloquio ma alle opposte parti del tavolo? Perché pensi di essere stato scelto al tuo primo colloquio, cosa ha fatto la differenza?
Emanuele Bianchi: Perché alla persona che era stata scelta come prima opzione hanno ritirato la patente. A volte anche una sana dose di fortuna fa la differenza.
L’importante è esserci quando la sorte si presenta, e insistere nel creare occasioni

Trampolinodilancio: Cosa ti è servito di più nel primo anno di lavoro?
Emanuele Bianchi: La curiosità e la voglia di combinare qualcosa di buono. Che si trattasse di spostare scatoloni, o mettere insieme una serie infinita di dati, mi ricordo che affrontavo ogni piccola o grande task come una vera e propria missione. Le aziende sono fatte di persone, spesso bellissime, e considerando che le mie competenze tecniche durante il primo anno di lavoro erano tra lo scarso e il nullo, l’unica cosa a cui potevo aspirare era semplificare la vita  e il lavoro di un componente del team. In questa attività potevo fare la differenza, e le ricompense erano sorrisi, incoraggiamenti e la costruzione di un rapporto di stima e fiducia con persone che erano in azienda da più tempo di me.

Trampolinodilancio: Cosa ti ha insegnato il tuo primo capo?
Emanuele Bianchi: Che la qualità più importante di un manager è ascoltare, prima di tutto ascoltare, la seconda è di immaginare soluzioni, e la terza è diventare un punto di riferimento per il maggior numero possibile di persone.
 
Trampolinodilancio: Cosa ti ha insegnato il capo che consideri tuo mentore?
Emanuele Bianchi: Che nulla è impossibile. Se la nostra condotta professionale è ispirata da una visione forte, chiara e condivisa, non c’è ostacolo che non si possa superare.
E quando le cose si fanno veramente dure, basta un po’ di immaginazione. basta provare a pensare a come le cose potrebbero essere, per rilassare anche gli ostacoli più difficili, e convincere anche i personaggi più difficili

Trampolinodilancio: Cosa vorresti aver studiato in più o di più nel tuo percorso scolastico?
Emanuele Bianchi: In tempi in cui la maggior parte delle comunicazioni passa attraverso l’immagine, mi sarebbe piaciuto completare la mia istruzione con  elementi di design industriale e grafica.
Nel mio lavoro mi ritrovo quotidianamente a lavorare con designer e professionisti con cui la comunicazione visiva è molto più efficace.

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Creative Happening alla Iulm dedicato alla satira

Creative Happening 2012Il Creative Happening è un appuntamento annuale che Iulm dedica ad argomenti legati alla creatività. Quest’anno – dal 2 al 4 maggio – si parlerà di comicità e satira, insieme a personaggi conosciuti come Luca e Paolo, Geppi Cucciari e i Soliti idioti.

Particolarmente interessante per chi si affaccia al mondo del marketing e della comunicazione, dove il digitale ha un ruolo sempre più centrale, sarà capire cos’è divertente per la generazioni native digitali e che influenza hanno i social network sulle forme di creazione, elaborazione e consumo sociale del comico.

Il programma completo degli incontri e dei workshop ai quali si può partecipare sono al link:

http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/news-e-eventi/iulm-creative-happening

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Parlano le imprese: ecco cosa manca ai neolaureati italiani

PC Conoscenza dell’inglese, capacità di lavorare in gruppo e attitudine a risolvere i problemi rispettando i tempi  sono le principali carenze dei neolaureati italiani, secondo l’indagine (Osservatorio sulle Professioni) svolta su 125 grandi aziende da Iulm con la collaborazione di Centromarca e Fondazione Crui.

“Il nostro obiettivo è garantire ai ragazzi che in qualche modo l’isola università e l’isola impresa dialoghino a monte e non solo a valle” così ha riassunto ieri, nel convegno dedicato alla presentazione dei risultati, il rettore Giovanni Puglisi. In un momento in cui la disoccupazione giovanile ha raggiunto i massimi storici (32% rispetto al 22% di media europea) l’università italiana deve capire che per le imprese è importante non solo il “sapere” ma anche il “saper fare”: si tratta delle cosiddette soft skill, tra le quali il lavoro in gruppo, la comunicazione e la negoziazione, il problem solving e la gestione del tempo.

Sono invece allineate alle esigenze delle aziende le competenze informatiche di base e la conoscenza dei nuovi media, anche se nel successivo dibattito tra i responsabili delle risorse umane presenti al convegno (Barilla, Coca Cola, Rai e L’Oreal) molti hanno evidenziato che essere utenti del digitale non implica il fatto di essere competenti e saperlo utilizzare per lavorare. Emblematico l’esempio del bellissimo sito per il recruitment L’Oreal realizzato in UK  da giovani nativi digitali, che risulta difficilmente rintracciabile con i motori di ricerca perché la ricerca si basa sulle parole chiave, mentre il sito è principalmente ricco di immagini.

La ricerca ha anche individuato il profilo ideale di laurea che un neolaureato deve possedere per arrivare a un contratto (che purtroppo solo nel 17% dei casi sarà a tempo indeterminato): innanzitutto laurea quinquennale (83%) e non triennale, e preferibilmente in Economia (91%), Ingegneria (70%) e Scienze della Comunicazione (26%).

Inoltre è interessante il dato relativo ai bacini d’ingresso in azienda, dove emerge la netta prevalenza del settore marketing /comunicazione (74%) seguito dal commerciale/vendite (65%).

Come abbiamo anticipato in molte delle interviste di Trampolinodilancio, il dibattito ha poi confermato che le esigenze delle imprese sono principalmente due: trovare candidati che siano disponibili a  passare alcuni mesi nelle vendite (con trasferimenti nel territorio) e che si occupino di trade marketing più che di marketing strategico. Mentre in azienda si parla ormai di strategia commerciale e non di strategia di marketing,  i nuovi candidati continuano a dichiarare nei colloqui che sperano di occuparsi di marketing strategico e comunicazione.  Questa è una delle indicazioni più interessanti, nate a margine della ricerca, sullo scollamento tra aspettative dei candidati e reali esigenze delle imprese.

Riassumeremo questa e le tante altre evidenze emerse nel dibattito in un piccolo decalogo. Trovate intanto una sintesi della ricerca al link http://www.iulm.it/wps/wcm/connect/iulmit/iulm-it/Risorse-e-servizi/Placement/Osservatorio+sulle+professioni

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INTERVISTA AD ADRIAN GRAF, DIRETTORE MARKETING DI MONTBLANC ITALIA

Adrian Graf Direttore Marketing Montblanc ItaliaPC Il contributo che porta Adrian Graf al prestigioso mondo del lusso è rinfrescante  come le acque minerali delle quali si è occupato per anni in Nestlé. Conoscendolo si apprezza la sua capacità davvero unica di abbinare la conoscenza dei principi di marketing del largo consumo con il massimo rispetto dei valori di una marca icona di stile e tradizione come Montblanc.

Ritroviamo la stessa freschezza nelle risposte che ha dato alle nostre consuete domande.

Trampolinodilancio: Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare in Montblanc?

Adrian Graf: Avere tanta voglia di fare e di dimostrare nonché un’estrema flessibilità e apertura mentale. E’ il modo migliore e più rapido per apprendere in modo efficace e crescere professionalmente.

Trampolinodilancio: C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Adrian Graf: Sì, devo dire che tutte le persone che ho assunto sono passate da un periodo di prova (o di stage) che presso Montblanc Italia non è una formalità e tutte quelle entrate a far parte del team di marketing hanno le caratteristiche sopra descritte.

Trampolinodilancio: In quale settore del marketing ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Adrian Graf: Il marketing in sè non è al momento il comparto che in Italia offre le migliori prospettive, purtroppo. D’altra parte è tipico delle situazioni in cui l’orientamento è al breve, anzi, brevissimo, termine – come quello attuale in Italia – che siano più le Vendite o la Finanza i comparti che hanno maggiore visibilità e sviluppo. Ne consegue che la parte del Marketing più prossima alle Vendite, ovvero il Trade Marketing sia in questi ultimi anni il trampolino di lancio per una crescita, sia interna che esterna.

Trampolinodilancio: Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione?

Adrian Graf: Di farlo con la giusta apertura mentale avendo la voglia e la disponibilità sia a fare esperienze di vendita che ad andare a maturare una significativa esperienza all’estero, soprattutto se si trova in un contesto multinazionale. Avrà così modo di andare in un qualche paese che sia più “centrale/strategico” rispetto all’Italia e tornare poi qui da noi quando le prospettive saranno un po’ migliorate.

I due ultimi consigli di Adrian Graf sono totalmente in linea con quanto detto ieri alla presentazione della 1° indagine sulle professioni in Iulm, dove è emerso che due delle aree nelle quali i giovani devono migliorare sono proprio la disponibilità a confrontarsi con un’esperienza nelle vendite e la disponibilità a trasferirsi, entrambe spesso carenti.

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“WPP si apre” nelle parole di chi l’ha organizzato

Marco LombardiPC  Come anticipato abbiamo chiesto a Marco Lombardi, presidente Young & Rubicam e docente Iulm, di spiegarci gli obiettivi che si prefiggeva WPP si apre e quali consigli può aggiungere, a consuntivo dell’iniziativa, per il giovani talenti interessati al mondo della comunicazione.

Trampolinodilancio: Qual è lo spirito con il quale è nato WPP SI APRE?

Marco Lombardi: Cara Paola, ti ringrazio di voler parlare dell’iniziativa che apre le porte della complessa realtà della comunicazione odierna ben rappresentata da WPP. L’impegno richiesto è tanto, come staff time e organizzazione, in linea con un obiettivo ambizioso: aiutare i giovani studenti più meritevoli. Se ne parla tanto e si fa poco; la corsa affannosa nel grigiore della crisi impedisce visioni con qualche larghezza e profondità. Bene: lo abbiamo fatto e, forse, WPP ha trovato anche qualche talento.
Ma… quanta passività fra i giovani! Quando capiranno che, come pulcini, devono rompere l’uovo ma anche fare “pio!pio!” per trovare nutrimento? Ad esempio: come può un giovane futuro comunicatore non avere un blog? Un proprio portfolio di idee, annunci, pensieri…?.

L’intervento di Lombardi, come sempre pertinente ma anche pungente, ci permette di  ritornare sul tema dell’utilità dei social media come modo di costruire il proprio personal branding e dimostrare le proprie capacità, anche nelle fasi iniziali della carriera (non a caso Marco Lombardi è il curatore dell’edizione italiana di Wikibrands, il libro di Sean Moffitt e Mike Dover che  spiega come trarre il meglio dalle potenzialità dei new media).

Oggi ad esempio ho incontrato un altro partecipante di WPP si apre, che è anche nostro tesista, che mi spiegava che intende aprire un sito con tutti i video delle interviste che farà come supporto della sua tesi di laurea: sono questo tipo di iniziative (innovative, ma non gratuite) che aiutano a emergere dal gruppo e di fare sentire il proprio “pio! pio!”.

Saper progettare un intervento unico e distintivo sui new media è una straordinaria opportunità per dimostrare a chi leggerà il vostro curriculum vitae o vi valuterà in fase di colloquio che la vostra conoscenza del digital non consiste unicamente nel chattare su Facebook, perchè essere nativi digitali non è sufficiente, come è emerso con grande rilevanza al Convegno “‘Osservatorio sulla Professioni” al quale ho partecipato oggi e del quale nei prossimi post vi fornirò un ampio resoconto.

 

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10 step per definire i propri valori nel personal branding

Modello di brand identity

PC Quando dobbiamo creare o potenziare un brand uno degli aspetti che approfondiamo è sicuramente quello valoriale. Nel modello di brand identity che uso abitualmente (una versione semplificata di quello di Kapferer) i valori sono uno dei 4 elementi che identificano una marca, insieme a Personalità, Relazione e Segnali. Gli stessi principi valgono nella creazione del proprio brand personale. Per questo ho trovato molto interessante questo articolo apparso oggi sulla newsletter di www.reachpersonalbranding.com. che vi riporto. L’autrice, Susan Guarnieri, invita infatti a percorrere 10 step per comprendere e definire i propri valori:
1. Your values frame how you perceive yourself and others. They are the standards against which you measure your feelings and behaviors/activities, as well as the behaviors of others.
2. Values are closely tied to your career and life goals. Whether the choice is about a career, leisure activities, or even a spouse, values-based decision-making will more likely lead to a satisfactory outcome.
3. When your values are in conflict with each other, it becomes more difficult to make confident choices. Coping mechanisms, such as procrastination, may arise.
4. Your values are essential for “best-fit career” decision-making. They provide criteria for you to use as benchmarks when evaluating possible career choices.
5. Try to satisfy at least two or three of your most important values when you choose a career or job. However, do not make a career choice only based on values. Other critical components include your motivated skills, interests and passions, personality type, non-negotiable needs, and professional and life goals.
6. Decision-making without consideration of your values is likely to go awry. In fact career dissatisfaction often results from values conflicts in your job function (role) and work environment.
7. When your values are in conflict with your career, work situation, or other people, negative emotions, such as stress, anxiety, frustration, anger, and depression, can abound.
8. Your values tend to remain stable throughout your lifespan. But some values may be more important than others at certain times in your life because of your changing life situations and life roles.
9. There are two kinds of values: intrinsic and extrinsic. Intrinsic values, such as Creativity and Ability Utilization, are inherent in actual activities. Extrinsic values, such as Economic Rewards and Prestige, relate to the outcomes of activities. Most often we possess a mixture of intrinsic and extrinsic values.
10. Top-priority values may be satisfied through one role, such as in your job, or via multiple roles in all aspects of your life. For example, if Economic Rewards, Altruism, and Creativity are your top values, your job may fulfill Economic Rewards, a community service role may satisfy Altruism, and a fiction-writing hobby could provide opportunity for Creativity. Susan Guarneri, Career Assessment Goddess and Reach Master Branding Strategist

Il mio consiglio è di percorrere periodicamente questi step, e ridefinire quali sono i vostri valori e il loro ranking di importanza almeno ogni due o tre anni. In generale trovo che sia normale focalizzarsi sul raggiungimento del successo professionale nei primi anni di carriera e – perchè no? – sul ritorno economico, mentre in una fase più avanzata del percorso professionale potrà essere altrettanto importante un equilibrio tra tempo lavorativo e tempo per sè, oppure la soddisfazione di fare un lavoro che arricchisce intellettualmente, piuttosto che economicamente. E’ inevitabile che uno scollamento tra valori e attività si ripercuota negativamente sul vostro personal branding, che apparirà sfocato e impreciso, e (cosa altrettanto importante) sulla vostra felicità.

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INTERVISTA A MAURIZIO SALA, PARTNER E DIRETTORE CREATIVO DELLA DIGITAL AGENCY BITMAMA

PC  Con l’intervista di oggi torniamo nel mondo della comunicazione e incontriamo una delle persone che per prime ha intuito le potenzialità del digitale in Italia: Maurizio Sala, partner fondatore e direttore creativo di Bitmama, una delle principali digital agency italiane, e membro del consiglio di amministrazione di Armando Testa, la più grande agenzia italiana di pubblicità.

Maurizio, al culmine di una carriera nella pubblicità classica – che l’ha portato alla direzione creativa di Armando Testa e a vincere una serie di premi internazionali tra cui un Leone d’Oro a Cannes e un Clio Award – ha intuito le prospettive del digitale e fondato insieme ad altri professionisti, nei primi anni 2000, Testaweb, agenzia digitale di Armando Testa: un vero e proprio melting pot, dove la sua cultura di comunicazione classica si univa alle competenze digitali degli altri partner coinvolti nell’avventura. Un’unione virtuosa di competenze -che terminata l’esperienza Testaweb- è confluita in Bitmana , la società nata per meglio rispondere alle esigenze di integrazione verticale  che unisce il talento creativo di Armando Testa con l’eccellenza tecnologica del gruppo Reply (una realtà italiana leader in Europa nella  progettazione e nell’implementazione di soluzioni basate sui nuovi canali di comunicazione ed i media digitali). Gli poniamo le solite domande.

Trampolinodilancio:  Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare in Bitmama?

Maurizio Sala: Dipende dal ruolo, ovviamente, perché mentre in un’agenzia di comunicazione classica i ruoli sono sostanzialmente tre (account, copy writer e art director, ai quali a volte si aggiunge lo strategic planner) in un’agenzia digitale i ruoli sono molti di più: c’è il media digitale, l’info designer, l’informatico, la coppia creativa, l’account e il project manager, due competenze simili ma al tempo stesso molto diverse fra loro.

Questo diverso aspetto strutturale del lavoro offre ai giovani molta più scelta professionale: le opportunità di trovare un’occasione sono maggiori di una volta.

Ma sempre per questo posso dire che chi entra in Bitmama oltre a vivere il digitale deve anche possedere forti capacità di lavorare in team.

Le singole competenze invece cambiano secondo il ruolo che il giovane dovrà svolgere.

Da un creativo mi aspetterò un’elevata capacità di racconto, la narrazione è infatti il cuore della comunicazione indipendentemente dal canale: il creativo deve saper coinvolgere il destinatario attraverso un racconto, di qualunque natura esso sia.

A maggior ragione nel digitale, dove il pubblico diventa un complice divertito o addirittura un co-autore del messaggio, al contrario dei modelli classici a cui basta ottenere uno spettatore soddisfatto. Quando aumenta il bisogno di coinvolgimento, cresce la necessità di mettere in campo narrazioni interessanti.

Da un info designer mi aspetterò viceversa capacità analitica e comprensione dei flussi, delle modalità di connessione ed experience da parte dell’utente. Un altro modo di pensare rispetto al creativo, eppure entrambi migliorano il proprio risultato collaborando insieme a un progetto.

Mentre nell’adv infatti a un certo punto si va in outsourcing, affidando la realizzazione a un fotografo o una casa di produzione, in un’agenzia digitale si segue il progetto fino a tutto lo sviluppo tecnologico. Si può dire che l’agenzia digitale assomiglia all’industria di Hollywood, dove per ogni film viene realizzata una società che segue il film dalla nascita fino all’uscita nelle sale.

Trampolinodilancio:  C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Maurizio Sala: Una giovane che lavorava con noi, una nativa digitale con in più un istinto naturale per la narrazione. Molto brava. Ora sta facendo un giro nell’advertising classica, curiosa di provare il magico mondo dove si girano gli spot. Anche questo è comprensibile: il comunicatore digitale è una figura relativamente recente nella nostra società, nulla a che vedere con il “mito” del pubblicitario classico che è ancora ben presente fra i giovani.

Trampolinodilancio:  In quale settore del marketing ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Maurizio Sala: Il digitale ovviamente. Con budget contenuti dà risultati più sicuri e gli investitori se ne stanno accorgendo, da noi come in tutto il mondo. E’ l’unico settore in crescita, attualmente. L’evoluzione da pc a tablet/smartphone sta poi ulteriormente aumentando il bisogno delle marche di rivolgersi ai propri consumatori al di fuori dai canali classici.

Posso dire che in moltissimi casi si è ribaltato il rapporto: il digitale non è più semplicemente il complemento a un investimento in pubblicità, ma molto spesso si sviluppano direttamente progetti digitali con un supporto di comunicazione classica.

Trampolinodilancio:  Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione digital?

Di comprendere che nel digitale devi entrare in relazione con il tuo target su una tematica di suo interesse, e che questa non è necessariamente la marca che devi pubblicizzare. Questo significa che devi saperne moltissimo su di lui, per proporgli qualcosa che lo possa interessare e generare così una sua interazione nei tuoi confronti. Per certi versi il consumatore diventa parte del team.

Gli consiglierei inoltre di capire profondamente tutte le piattaforme digitali, di usare i social network e comprendere le logiche che li caratterizzano, i rituali che generano nelle persone che li frequentano.

Proverei poi a spiegargli un concetto banalissimo: il processo della comunicazione viene sempre agito da macchine. Una volta queste si chiamavano tv e radio, oggi pc, tablet, smartphone. Queste ultime sono macchine molto più complesse delle precedenti, con un’aggravante: le precedenti sono cambiate pochissimo in 50 anni mentre quelle di oggi sono già diverse da quelle dell’altro ieri.

Se crei un processo di comunicazione che per essere fruito passa attraverso delle macchine, devi inevitabilmente conoscerle, sapere come funzionano di base e cosa può farci il pubblico quando le usa. Difficile pensare a uno spot se non conosci la sintassi televisiva.

La complessità di un mestiere è anche conseguenza della complessità delle macchine coinvolte. Lo spot è semplice come è semplice la tv, mentre il digitale è più complesso. È più ricco il panorama, bisogna studiare di più, sapere più cose. Considerare la tecnologia un fattore di empowerment del messaggio e non solo un supporto da lasciare in mano ai tecnici e che ci pensino loro.

Infine gli direi che il digitale si impara anche leggendo, studiando il marketing. Per capire perché 100.000 utenti sono un target molto più fertile di 10 milioni di spettatori, devi conoscere la teoria della coda lunga. Devi sapere che la tipica curva Gaussiana dei mercati di massa si sta appiattendo ogni anno che passa e che le frange, le minoranze diventano significative proprio perché hanno passioni precise –magari strane- ma che sono disposti a spendere per soddisfarle. Altrimenti perché mai un’azienda come M&M avrebbe scelto di “perdere tempo” a fare i cioccolatini personalizzati -uno a uno- col nome della persona a cui li regali?

(ndr: per i più curiosi http://www.mymms.it/personalizzare)

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