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Buoni propositi

PB

Buoni propositi
  • Salire a piedi. Sempre.
  • Cucinare cibi nuovi, più gustosi, meno carne.
  • Pilates almeno due volte alla settimana. E sabato piscina, ora che ha riaperto.
  • Leggere il Vecchio Testamento. E Proust. E i libri consigliati dai figli delle amiche.
  • Leggere in lingua originale (non il Vecchio Testamento)

Si torna dalle vacanze pieni di buoni propositi. Io ne potrei riempire due pagine (alcuni riguardano Sarajevo, altri Diocleziano, passando dal non essere pigra, fare lo spid, andare a Teatro, imparare a farmi la piega). Dicono sui Magazine che al 15 settembre li avremo già tutti dimenticati, i buoni propositi dell’estate.

Ma uno riguarda il lavoro. Di questo si parla in questo blog, vero? E voglio vedere se resiste all’autunno.

Cavoli settembre è proprio il nostro capodanno, come a scuola.

Io ho deciso di approfondire, buttarmi a pesce, diventare pure brava se possibile, in quello che fino ad ora ho evitato come il morbillo.

Ho passato gli ultimi 15 mesi a dribblare quello che non mi piaceva. Come quando non si studia matematica perché la prof è una carogna e non spiega bene e ti mette in difficoltà su tutto.

Ogni scusa buona per bigiare, glissare, passare inosservata, per sopravvivere fino al suono della campanella.

Un sacco di energie a evitare il peggio, a sfuggire il pericolo vettori, l’angoscia dei prodotti notevoli, la trappola delle equazioni di secondo grado.

Avessi messo le stesse energie a fare matematica anziché a cercare di evitarla, oggi sarei Archimede anziché il mago Silvan.

Ognuno di noi ha la sua matematica al lavoro.

Io quest’anno mi ci butto in questa acqua tempestosa. Ci dedicherò più energia, più studio, più tempo. Quando avrò voglia di scappare, cercherò la prima linea. Che per i timidi non è cosa semplice.

Ma se la preparazione è la metà del successo, metterò il lato secchione dove ho poco talento. Per poi magari scoprire che la matematica non è così male. Ha funzionato con lo sci (peso a valle per non cadere, quando l’istinto ti faceva aggrappare a monte). Ha funzionato con i contratti di licenza (l’ Avvocato Sartori sa di che parlo: alla fine era quasi divertente negoziare con lei al fianco con fantasiosissimi e levantini licenziatari). Al liceo dal terzo anno ha funzionato con la matematica, perché non dovrebbe andare bene anche al lavoro questa volta?

Noiosi contratti commerciali, microscopiche condizioni generali di vendita, infinite conferme d’ordine, agognate lettere di credito, severi pagamenti anticipati, gesuitiche certificazioni doganali: à nous deux maintenant! (beh si, Balzac è sempre meglio della matematica…)

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Ronald e le maestre del Connecticut

PB   In questo periodo in cui si parla molto di lavoro (della sua ricerca, della sua mancanza, della sua retribuzione, della sua dignità) un paio di casi – tra loro davvero disgiunti – mi hanno colpito.

Il primo è quello di Ronald, oscuro autista dello scuola bus di Abbiategrasso. Ronald recupera mio nipotino Francesco (anni sette) tutte le mattine e lo riporta a casa tutti i pomeriggi, da quando aveva tre anni: prima all’asilo, poi alle elementari.

In questi  quattro anni ha spesso aspettato mia sorella che correva da lontano sempre all’ultimo minuto, trascinandosi lo scompigliato figliolo come fosse una bandiera;  ha verificato al ritorno che avesse la cartella prima di scendere , che ci fosse qualcuno ad aspettarlo , e che quel qualcuno fosse un viso noto e non un brutto ceffo.

Ha dato il suo cellulare a tutte le mamme ansiotiche del quartiere e ogni mattina si trova al distributore di benzina – molto presto – con gli altri autisti per bere il caffè e fare due chiacchiere.

Ora è stato trasferito ad un altro servizio e già tutti rimpiangono  la sua efficienza, la sua affidabilità, la qualità del suo lavoro.

Il secondo è quello della maestra della scuola del Connecticut, dove qualche giorno fa un folle ha sparato.

Ho visto la foto della maestra che portava fuori, in piena sparatoria, i suoi alunni in fila indiana , con le mani l’uno sulle spalle dell’altro.

L’ordine in mezzo al disordine.

Il rispetto del ruolo, della forma, delle procedure di fronte alla follia.

La responsabilità e il coraggio di fronte alla violenza incontrollata.

Davvero il valore del lavoro è nel modo in cui lo si fa più che nel ruolo stampato sul biglietto da visita.

L’immagine di Ronald che verifica che tutto funzioni sul suo autobus e quella di quelle insegnanti che nell’insensatezza della tragedia trovavano il senso del loro lavoro mi riconcilia con il genere umano.

Forse mi commuovo perché è Natale, ma va la mia ammirazione (come agli orchestrali sul Titanic che hanno suonato fino alla fine) a tutti coloro che il proprio lavoro lo fanno bene, fino in fondo, nonostante tutto. Buon Natale

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Italia – Estero 0 a 3. E poi la rivincita

Driver 76

Driver 76 (Photo credit: Wikipedia)

PB  Avete mai fatto caso al fatto che non vediamo più le cose che ci sono consuete? E che se invece modifichiamo il paesaggio intorno a noi diventiamo osservatori acuti e intelligenti?

La scorsa settimana ho interrotto il ritmo casa-macchina-traffico-parcheggio-ufficio e sono andata a Roma a vedere il tennis.

Nei quattro giorni in cui sono rimasta nella città eterna, mi sono imbattuta in diversi giovani lavoratori, alcuni dei quali mi hanno lasciato il buon umore, altri l’amaro in bocca.

Il driver della navetta che dal parcheggio remoto e low cost di Malpensa mi ha portata al terminal2, a prendere un volo altrettanto low cost, era nero come la notte, parlava correttamente l’italiano, ascoltava il corano alla radio e conosceva a menadito orari e terminal dei voli, smistando noi passeggeri con grande savoir fair. Un signore che andava a Berlino e aveva lasciato il biglietto in valigia, avrebbe forse perso il volo delle 8,50 se il colto conducente non avesse conosciuto il tabellone delle partenze a memoria. Arrivati a destinazione, mi ha dato la valigia e augurato buon viaggio.

Il responsabile di sala dell’Hotel dove alloggiavo era indiano, elegante come un maharaja, conosceva l’italiano, aveva modi squisiti e gentili e preparava il the per la colazione con la grazia che ti saresti aspettato in una colonia britannica.

Il dog sitter a Villa Borghese non so se conoscesse l’italiano, ma sicuramente ci sapeva fare con i cani: ne portava cinque contemporaneamente senza che si azzuffassero tra loro, con l’autorevolezza di un domatore di leoni.

Il ragazzo delle pulizie dell’area ospitalità degli Internazionali BNL d’Italia, parlava un romanesco piuttosto sguaiato, ha scroccato il primo giorno un caffè, il secondo due cappellini, il terzo ha provato con le tshirt, lasciando il suo secchiello per pulire i vetri e la relativa spazzola in mezzo al terrazzo e sprofondando la sottoscritta in un discreto imbarazzo. Dopo le sue pulizie piuttosto sommarie, passavamo a raccattare i mozziconi e le cartacce che aveva tralasciato.

Dunque, se devo sottolineare gli elementi professionali vincenti in cui mi sono imbattuta e che vi prego di tenere a mente mentre iniziate la vostra carriera, direi:

–          la buona conoscenza di almeno una lingua straniera (e quelli in cui mi sono imbattuta non la hanno certo appresa al college)

–          la competenza e la preparazione che non si fermi al minimo sindacale ma che dia un po’ di valore aggiunto (il driver del parcheggio deve saper guidare, ma se conosce anche l’orario dei voli e da dove partono il servizio diventa ottimo)

–          la gentilezza e la grazia per sapersi comportare adeguatamente in ogni situazione (evitando la volgarità del troppo e la freddezza del poco)

Peccato che nei miei quattro giorni romani gli stranieri abbiano battuto gli italiani 3 a 0.

Poi però le ragazze del tennis, domenica, hanno riportato parte dell’onore in patria. Roberta Vinci e Sara Errani hanno vinto il Torneo nel doppio femminile. Sono state belle (più del Maharaja) brave (più del Driver) e piene di grazia (più del dog sitter domatore).

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