PC Ho recentemente fatto lezione a un bellissimo Master che lo Iulm organizza in ottica Expo dedicato al Food & Wine. Mi è venuto spontaneo, visto il contesto, dire “scrivi come mangi!” a una brillante studentessa che in un’esercitazione definiva la promessa di un nuovo brodo di altissima qualità e gusto usando la parole “si può fruire”. Sono i sintomi di quello che Beppe Severgnini su Sette di questa settimana chiama l’”importanzite”, il volersi sentire più colto, moderno e originale usando parole che sembrano più ricercate: metodo diventa metodologia, tipo: tipologia, potenziale: potenzialità. È una sindrome che comprensibilmente si manifesta nei giovani che usano un linguaggio meno colloquiale del solito in contesti professionali, con l’obiettivo di apparire esperti e competenti. Abbiamo già avuto modo di commentare che i veri comunicatori riescono ad essere convincenti e persuasivi con un linguaggio comune (vedi il Buonasera con il quale Papa Francesco si è presentato ai fedeli). Questo è particolarmente vero nel caso delle copy strategy.
La copy strategy, o strategia di comunicazione, deve infatti indicare al creativo che dovrà sviluppare la campagna di comunicazione, o definire il packaging, o trovare il nome del prodotto, gli elementi chiave che vanno comunicati al consumatore, quelli per cui il target dovrà scegliere questa marca e non un’altra. È quindi fondamentale che il creativo capisca immediatamente, leggendo quanto l’account o lo strategic planner hanno formulato, qual è il beneficio reale che il consumatore può avere nel consumare il prodotto, quali sono le caratteristiche del prodotto che permettono di sostenere quella promessa e qual è la personalità della marca (il suo modo specifico di comunicare).
I tre elementi chiave della copy strategy sono infatti:
Promessa (o beneficio): quello che il prodotto fa per il target scelto, il vantaggio per il consumatore
Reason why (o argomentazione di prova): le caratteristiche, le argomentazione razionali, che consentono di credere a quella promessa, quindi che cos’è il prodotto
Brand character: la personalità della marca (alcuni preferiscono parlare di tone & manner o tone of voice), il suo modo specifico di entrare in relazione con il target e di comunicare
Tornando al modo in cui scrivere una copy strategy e rifacendoci al libro La strategia in pubblicità di Marco Lombardi, definiamo quindi alcune regole fondamentali da rispettare quando si scrive una strategia di comunicazione:
- chiarezza: il creativo deve facilmente capire il motivo per cui il consumatore dovrà preferire questa marca
- semplicità: meglio un’unica idea ma semplice, formulata in modo diretto
- mancanza di indicazioni creative: il come dire è compito della creatività, la strategia di comunicazione deve limitarsi al cosa dire
Se sto passando un brief a un creativo su una nuova barretta di yogurt rivolta ai bambini di 6-10 anni che libera lo yogurt dalla schiavitù del cucchiaino sono poco immediato e diretto se scrivo: “la barretta incentiva e permette la socializzazione e la condivisione del momento della merenda con gli amici e al tempo stesso assicura un adeguato valore nutrizionale” meglio un semplice: “Con XY faccio la merenda che piace alla mamma in massima libertà, insieme ai miei amici”.
Rischiate invece di offendere la suscettibilità del creativo se invadete già il suo territorio con indicazioni creative, come in questa promessa relativa a uno yogurt nel quale il bambino mixa yogurt e frutta agitandolo: “ Una pozione: una manciata di indipendenza, un pizzico di evasione, due cucchiai di creatività, un misurino di gioco, una spolverata di magia: una ricetta di cui il bambino è lo chef”. Personalmente trovo molto intrigante questa formulazione, ma vi sconsiglio vivamente di andare dal direttore creativo di una grande agenzia con un brief di questo tipo (tra l’altro lui prenderà probabilmente almeno 20 volte il vostro stipendio da junior, lasciate che se li guadagni!).
Un’ultima indicazione: malgrado Sochi ci abbia abituato a un “ch” che si pronuncia “c” in questo caso la pronuncia corretta è brand “caracter”, e non “ciaracter”, come molti studenti non frequentanti pronunciano all’esame.
Paola C, ma allora la vena cabarettistica non scorre solo in Paola B !!!
La storia della magica descrizione dello yogurt e del c(h)aracter mi hanno spezzato… ma la vera lezione penso sia che dobbiamo usare meno iperboli, tanto chi ti apprezza lo sa anche se non esageri e chi non ti apprezza non lo farà comunque..
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Come ben sa chi lavora come te in una grande azienda purtroppo l’importanzite non riguarda solo i giovani, ma spesso anche i nostri capi che pensano così di acquisire maggiore credito, mentre, come giustamente dici, l’apprezzamento degli altri non arriva sicuramente grazie all’uso di qualche parola pomposa.
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[…] Per definire il carattere della marca si pensa quindi al brand come a una persona, analizzando il modo caratteristico in cui si comporta e comunica con gli altri (vedi anche Come scrivere una copy strategy). […]
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