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Twitter: come uno straordinario ambiente influenza il lavoro

PC  Quando ho letto nel post sulla Manutenzione di Patrizia dell’importanza di tenere i rapporti con i propri professori mi è venuto spontaneo pensare a Riccardo Bonetti, che subito dopo la sessione di laurea mi ha ringraziato (quasi nessuno lo fa) per come l’avevo seguito e sostenuto durante la discussione e mi ha poi tenuto aggiornata sui suoi progressi, senza mai risultare invadente.

Riccardo Bonetti con Joseph Killian, facility manager di Twitter

Riccardo Bonetti con Joseph Killian, facility manager di Twitter

Da queste conversazioni è emerso che stava partendo per San Francisco per una full immersion di inglese e mi è venuto spontaneo chiedergli di farci da inviato speciale per trampolinodilancio: ho immaginato che l’autore di una brillante tesi sullo story telling avrebbe sicuramente trovato una storia utile e interessante per i suoi coetanei, nostri lettori. Ecco infatti il racconto della sua visita nell’headquarter di Twitter, per scoprire come un ambiente straordinario può influenzare il lavoro dei dipendenti.

Riccardo Bonetti: “Scroccare” un pranzo in uno degli headquarters più belli del mondo è una fortuna che non capita a tutti. Ancora più bello è poterlo fare insieme a persone disponibili ed entusiaste del proprio lavoro. Persone come il mio amico Joseph Killian, facility manager di Twitter, che lo scorso Dicembre mi ha permesso di visitare la nuova sede della web company di San Francisco.

Da Giugno 2012 l’HQ di Twitter si è trasferito in Market Street, nel quartiere del Civic Center. Nonostante ci si trovi a pochi isolati di distanza dai lussuosi palazzi del Financial District, in questa zona della città il tasso di criminalità è piuttosto alto, le vie sono piene di mendicanti e alcolizzati e può facilmente capitare di imbattersi in qualche street gang messicana tutt’altro che socievole. Come mi ha spiegato Joseph il trasferimento della sede in questo quartiere è avvenuto soprattutto per ragioni economiche: la municipalità di San Francisco, infatti, sta concedendo importanti agevolazioni fiscali alle aziende che decidono di trasferirsi in quest’area. Da una parte quindi, l’azienda è riuscita a risparmiare parecchio sulle tasse comunali, dall’altra la città di San Francisco dovrebbe riuscire a riqualificare almeno in parte una zona altrimenti malfamata.

Gli uffici di Twitter occupano i tre piani più alti di un palazzo storico completamente ristrutturato. All’ingresso mi è stato consegnato un badge di riconoscimento con cui poter accedere liberamente a diverse aree della struttura. Mi ha subito colpito il design minimal dell’area reception che divide la zona degli uffici da quella degli spazi comuni. I colori dell’arredamento richiamano quelli dell’interfaccia del sito e il logo del famoso uccellino azzurro è presente un po’ ovunque.

La mensa birdfeeder di Twitter

La mensa @birdfeeder di Twitter

Il piano più alto è interamente occupato dalla mensa “@birdfeeder” che si affaccia su una terrazza panoramica con vista sulla skyline di downtown. L’ambiente è giovane e davvero informale, durante la pausa pranzo un DJ suona musica ambient e la varietà del cibo (gratis) nel menù è vastissima.

Dopo aver mangiato, Joseph e i suoi colleghi mi hanno mostrato altre parti dell’edificio. Oltre a diverse aree meeting e sale conferenze i fortunati “Twitters” possono vantare anche una sala giochi, un’area snack e una grande stanza per fare yoga.
Sulle pareti sono appesi alcuni cartelli che suggeriscono ai dipendenti come comportarsi in caso di incendio: “In case of fire exit before tweeting about it” (geniale).

La sala giochi di Twitter fotografata da Riccardo Bonetti

La sala giochi di Twitter fotografata da Riccardo Bonetti

Prima di ringraziare Joseph per l’ospitalità ne ho approfittato per porgli una domanda inerente alla sua esperienza professionale.
Riccarto Bonetti: In che modo questo straordinario ambiente influenza il lavoro e la produttività dei dipendenti?

Joseph Killian: Credo che i nostri risultati professionali dipendano molto dall’ambiente in cui lavoriamo, da come esso ci condiziona e dallo stato mentale che ne deriva. Noi del Facility Management facciamo il possibile per creare un ambiente di lavoro che favorisca la collaborazione tra i team, e che allo stesso tempo aiuti e ispiri positivamente ogni dipendente. Questo è il motivo per cui diamo spesso ai dipendenti la possibilità di alzarsi dalle proprie scrivanie e prendersi una pausa per distrarsi, rilassarsi o bersi un drink tra colleghi. Personalmente credo che tutti dovrebbero fare qualcosa per sfruttare al meglio lo spazio in cui lavorano rendendolo più piacevole. E non è necessario avere dei videogames o una sala yoga per creare l’ambiente ideale.
Ripensando alle parole di Joseph e alla mia visita al Twitter HQ mi permetto di condividere con voi alcune considerazioni personali. In Italia mettere in campo la propria creatività e le proprie idee (e venderle) sembra oggi una sfida sempre più difficile. I motivi sono certamente imputabili alla situazione economica che stiamo vivendo, ma quante aziende del nostro paese offrono a giovani professionisti la possibilità di esprimersi e di coltivare il proprio talento in un ambiente così giovane e stimolante? Mi torna alla memoria uno dei suggerimenti di Richard Branson, fondatore di Virgin, sintetizzati da Paola in un post di qualche mese fa: “Se riuscite a divertirvi sul lavoro, se l’atmosfera è positiva, ci sono molte più probabilità che il vostro business abbia successo“. Credo che la fortuna di Twitter ne sia la riprova, e il consiglio di Sir Richard, in un’altra ottica, risulta prezioso non soltanto per chi, come me, si sta “lanciando” nel mondo del lavoro, ma anche per coloro che in cambio del nostro tempo e delle nostre idee, saranno disposti ad offrirci l’ambiente lavorativo ideale.”

Ringrazio Riccardo per questo interessante contributo. La mia esperienza mi suggerisce che la fortuna di cui parla all’inizio va sempre aiutata con proattività e spirito d’iniziativa, due qualità che a lui certo non mancano e che spero lo aiutino presto a trovare una strada nel mondo della comunicazione (magari in un ambiente stimolante come quello che ha descritto).

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La manutenzione: dai muscoli, passando per gli affetti, finendo nelle relazioni professionali

PB  Da qualche tempo in ufficio, abbiamo deciso che a pranzo si va in trattoria (il bar ci ha stufato) e soprattutto che ci si va a piedi. 20 minuti per andare. 20 minuti per tornare.

Esigenza partita dal desiderio di sgranchirsi le articolazioni stanche di troppa scrivania e di rientrare nella taglia di campionario dopo le intemperanze natalizie.

Gli effetti collaterali sono stati un approfondimento delle relazioni (40 minuti a piedi tutti i giorni ti fanno scoprire che la fidanzata dello stilista si occupa di food design, che la responsabile della comunicazione fa nordic walking, che il direttore amministrativo ha il sogno segreto di aprire un vivaio).

Così, tra ginnastica e conversazione, abbiamo fatto alcune riflessioni sul concetto di manutenzione.

Manutenzione degli oggetti (come lavare a mano il proprio pullover preferito o riparare in garage una Ducati Scrambler) o degli affetti (come avvisare se si arriva tardi, chiedere scusa se serve, fare una telefonata o un sorriso al di là dal superminimo a chi si ama).

Il principio è lo stesso per le proprie relazioni e le proprie competenze professionali

La manutenzione delle relazioni professionali

Non perdiamo di vista i professori che abbiamo stimato o i professionisti che ci hanno aiutato: teniamoli informati dei nostri progressi, teniamoci informati delle loro pubblicazioni e della loro carriera (per me il prof Bosisio dell’università, la Colavito di Manager Italia).

Teniamo d’occhio i colleghi o i collaboratori con i quali abbiamo costruito progetti, raggiunto risultati, che ci hanno insegnato un lavoro (per me la Marabini del commerciale di Armani, la Cicero dell’ufficio stile, la Carpaneto che è già comparsa sul Blog, l’infaticabile Simoni, la Robi Milan che mi ha iniziato alle pv…)

Sentiamo i capi che abbiamo stimato, che ci hanno stimato (per me la rossa  Ghisla in Chantelle, l’anglosassone Crespi in Dolce&Gabbana, il mitico Ing. Fantò in Armani)

Teniamo i contatti dei fornitori migliori, delle agenzie più interessanti, della aziende più vivaci con le quali siamo entrati in contatto.

La manutenzione delle competenze

Se abbiamo un talento o la sorte ci porta a dedicarci a un argomento che riteniamo di buon potenziale e che sentiamo nelle nostre corde, non accontentiamoci della sufficienza. Diventare un esperto, un punto di riferimento per un settore specifico, può diventare una carta preziosa da giocare per essere preferiti ad altri candidati nel momento del confronto. Quindi teniamoci aggiornati e allenati, facciamo manutenzione delle nostre competenze (linguistiche, tecniche o relazionali che siano).

Paola, la mia co blogger, sa bene che (per diventare esperti di bambini) si può cominciare come ricercatrice in università (il suo lavoro si trova ne  “Il dolce tuono” di Marco Lombardi), passare per una azienda di giocattoli, continuare facendo un bambino, poi la rappresentante di classe del bambino medesimo ed infine essere scelti da una agenzia che tra Arte e Comunicazione fa progetti per le scuole.

In ogni modo,  non multa sed multum (non molte cose, ma molto bene): tenete da conto e fate lavoro di manutenzione  solo per  gli argomenti (e le persone) più preziose. Come per gli affetti: la manutenzione non è per tutti quelli che conosciamo ma solo per gli amici del cuore.

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Linkedin: (controverse) istruzioni per l’uso

PB  Caspita, il post di Paola a proposito dell’uso di Linkedin ha creato, intorno al blog, un vero vespaio.

Io e Paola abbiamo passato diverse mezz’ore al telefono, nei nostri viaggi da pendolari con auricolare, o su Skype per scambiarci sensazioni e pareri a proposito dei commenti al post.

Ne abbiamo avuti un paio piuttosto severi, molto critici nei confronti del profilo di Catalina che Trampolino ha giudicato fresco e diretto e che  Matteo e Fabio (due contatti di Paola che lavorano nel Marketing) hanno trovato poco professionale e poco orientato al business.

La critica a mio parere non è del tutto fuori luogo: il profilo di Linkedin è un curriculum vitae, non il palcoscenico per un provino.

Ma è pur vero che per valutare un candidato non tutti i mezzi sono uguali: per uno stilista io guardo il book dei disegni, per una modella il composit, per un Marketing Manager le aziende dove si è formato e i prodotti di cui si è occupato.

Per chi ha un curriculum molto snello alle spalle, cioè per i ragazzi che iniziano a lavorare, è difficile descrivere una carriera (a parte quella scolastica) che sostanzialmente non esiste. Molto meglio allora, tentare di trasmettere in modo efficace la propria personalità.

Il profilo di Catalina, che ama i gatti con il naso rosa, non avrà più senso tra cinque anni, quando potrà mettere nel suo profilo il suo curriculum professionale. La sua creatività e la sua unicità non saranno più solo intuibili dal suo stile, ma dai progetti di comunicazione ai quali avrà lavorato.

Per essere più chiari: è irrilevante che le piaccia il calcio (se avesse amato il tennis non sarebbe stato molto diverso) o i gatti. Si capisce qualche cosa di lei da come lo ha scritto.

Ha parlato direttamente a chi leggeva di lei ( If you are here, that means you want to know about me…so let me sum it up”), creando immediatamente una relazione senza intermediari. E’ stata elegante e musicale nella scelta degli argomenti. Ha trasmesso la sua internazionalità (“I was born in Colombia and lived in Bogotá, Miami, New Jersey, Milan and now Lisbon. I’m 24 years old”) , è stata seduttiva.

Insomma, una buona comunicatrice, non una buona cuoca (nonostante dica di amare il cibo speziato): per una che vuole lavorare nella comunicazione non mi pare male.

Alla fine, quello che salverei della vicenda per rendere più efficace il vostro profilo Linkedin è:

–          siate  sinceri (se in realtà Catalina avesse paura di viaggiare e fosse una introversa che si è fatta scrivere il profilo da un copy, sarebbe un guaio)

–          siate  originali, ma non fate “gli originali” (nessuno ha voglia di stravaganza gratuita, né della stonata sensazione che il vostro stile non sia farina del vostro sacco)

–          ponete l’accento sulla vostra personalità solo fino a che non potrete ancora porre l’accento sui vostri trascorsi professionali: questo profilo sarebbe inadeguato  per un professionista di 35 anni

–          pensate sempre empaticamente a chi volete sedurre professionalmente: uno spiccato senso della comunicazione piacerà a un Direttore Creativo più che a un Primario di Chirurgia: se volete fare la ferrista in sala operatoria puntate su sangue freddo e manualità dato che l’oggetto del vostro lavoro nella maggior parte dei casi starà dormendo e non sarà interessato alla vostra conversazione.

Grazie a Matteo e Fabio per i loro commenti, severi e costruttivi. Approfondiremo l’argomento e verificheremo le nostre opinioni con un paio di addetti ai lavori a cui abbiamo chiesto un parere. Ma voi che ne pensate?

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Le domande da non fare mai in un primo colloquio

PC  Ci sono domande che risultano talmente fuori luogo da connotare subito negativamente il nostro interlocutore. L’altra sera Patrizia mi raccontava sconcertata che l’amichetto di otto anni che suo figlio aveva invitato a pranzo le ha chiesto se le posate erano d’argento e quanto guadagnava al mese. Patrizia gli ha domandato a sua volta se da piccolo fosse caduto in un registratore di cassa. 

Possiamo facilmente immaginarci, tra una quindicina di anni, lo stesso ragazzo compiere uno degli errori più comuni: chiedere al primo colloquio dettagli sul salario e sui benefit. Queste domande – spiega un interessante inchiesta realizzata da Forbes presso i responsabili delle risorse umane  – vanno sempre evitate perché implicano che siete già sicuri di ottenere il posto, così come le domande sulle ferie e i giorni di malattia. Lo stesso per quanto riguarda la possibilità di avere un orario flessibile.

Un altro tipo di domande che, se poste male, potrebbero mettervi in cattiva luce sono quelle che mirano a capire meglio il mercato e la concorrenza: chiedere ad esempio “chi sono i vostri concorrenti?” darà l’impressione che non vi siete preparati al colloquio, inutile fare una domanda alla quale Google avrebbe potuto rispondere altrettanto bene.

“Posso lavorare da casa?” è un’altra domanda che gli esperti sconsigliano di porre, anche nell’era di skype e di internet veloce. Sebbene sia infatti possibile che, una volta verificata la vostra produttività, l’azienda accetti di farvi lavorare in parte da casa, non è mai il caso di chiederlo in un primo colloquio, dove la vostra priorità dev’essere vendervi e risultare disponibili.

Meglio anche non chiedere dettagli sulle modalità di promozione, un approccio che può risultare arrogante, e tanto meno se si avrà un ufficio tutto per sé. In generale trovo molto giusto il suggerimento di chiedervi sempre, prima di porre una domanda: se la risposta fosse no, non accetterei il lavoro?

Infine è sbagliato chiedere se chi vi intervista vi monitorerà sui social network, perché può dare l’impressione che abbiate qualcosa da nascondere. Meglio non correre rischi e non postare niente che possa danneggiarvi nel periodo della selezione (e in generale meglio non farlo mai!), in particolare commenti sulla vostra attuale azienda.

Rimane il fatto che spesso i colloqui finiscono con la temuta richiesta da parte dell’intervistore: “ha qualche domanda?”. Nel caso questo elenco di errori da evitare vi avesse terrorizzato al punto da decidere di rispondere che non avete niente da chiedere, sappiate che questo costituisce in assoluto il più grande sbaglio che potete fare, perchè sembrerà che non vi interessi l’azienda o il tipo di lavoro per il quale venite selezionati. Nel post di venerdì alcuni utili suggerimenti, quindi, sulle domande da porre a un primo colloquio.

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The Vortex cerca giovani collaboratori

Image representing LinkedIn as depicted in Cru...

Image via CrunchBase

PC The Vortex è una società di formazione al digitale, che nasce per colmare i gap di conoscenza dei media digitali quali strumenti di marketing, comunicazione e business. Per la sua sede di Milano, The Vortex cerca nuovi collaboratori: dei giovani professionisti del marketing e della comunicazione digitale che abbiano voglia di intraprendere una dinamica esperienza lavorativa.I candidati devono avere buona padronanza della lingua inglese ed una grande dimestichezza con i nuovi media, i social network e i dispositivi mobile e verranno inseriti nella struttura attraverso uno stage.

A conferma dell’importanza del fare personal branding attraverso gli strumenti digitali, e in primis Linkedin, per poter accedere alla selezione è necessario inviare il link del proprio profilo LinkedIn a info@thevortex.it: un profilo aggiornato è il minimo che ci si aspetta da un giovane che vuole lavorare nel 2012 nell’ambito digitale!

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Le selezioni di X Factor e l’elevator pitch

PC Gli anglosassoni chiamano elevator pitch la capacità di dare una buona impressione e porre le basi per l’acquisizione di un nuovo cliente con pochissime frasi: in sostanza come fare new business nel tempo di un viaggio in ascensore (che sebbene sui grattacieli americani sia più lungo che da noi, rimane  comunque un percorso breve che obbliga ad essere molto efficaci).

Ieri sera su Sky Uno le selezioni di X Factor mi hanno ricordato che sono molte le occasioni nelle quali un breve scambio di parole è sufficiente perché l’interlocutore si faccia un’idea e si crei un giudizio su chi gli sta davanti e decida se vuole approfondire la conoscenza . Per questo ho pensato di riportarvi alcune buone regole che si usano per ottimizzare l’elevator pitch, ma possono esservi utili in molte occasioni (per X Factor 2012 ormai è tardi, ma sicuramente lo ripetono il prossimo anno).

La premessa è che l’elevator pitch nasce come risposta a una domanda che vi pone una persona appena incontrata (ma che intuite potrebbe esservi utile diventando un vostro nuovo cliente o facilitatore nel trovare un nuovo  lavoro). La domanda è: “che cosa fai?” .

Ieri gli occhi dei quattro giudici di X Factor si sono  illuminati davanti a un giovane di 20 anni che ha risposto: “riparo le caldaie, se la gente ha l’acqua fredda mi chiama e io risolvo il problema.” Alla stessa domanda due ragazze hanno risposto: “Le mantenute”, spiegando che non trovando lavoro erano mantenute dai genitori. Le ragazze erano stonate e fuori tempo (mentre il riparatore di caldaie era un usignolo) ma l’impressione è che ancora prima di cantare le due si fossero giocate qualsiasi chanche.

Preparatevi quindi la risposta a “che cosa fai”, tenendo presente alcune regole indicate da Tony Scelzo per l’elevator pitch.

Tenete a mente il vostro scopo

Il vostro scopo è quello di creare curiosità nell’interlocutore, in modo che ci sia l’occasione per un successivo incontro nel quale avrete modo di presentare meglio voi stessi e i servizi che offrite.

Siate concisi e efficaci

Spiegate con poche e semplici parole l’utilità dei vostri servizi o la passione che mettete nel fare il vostro lavoro. Quelli che a X Factor riescono a fare capire con una frase che il canto e la musica sono per loro come l’aria che respirano partono già con l’attenzione piena dei giudici (poi ci sono le eccezioni: una giovane economista ha intrattenuto ieri sera con racconti buffi che nulla c’entravano con il canto per poi rivelarsi la voce più originale e emozionante della puntata.)

Parlate con passione

Non dimenticate l’importanza della comunicazione non verbale e cercate di trasferire passione e convinzione attraverso il tono e la cadenza che usate. Spesso la persona che avete davanti non capirà al primo incontro esattamente cosa fate o cosa potete fare per lei, ma resterà colpita dall’entusiasmo che mettete in quanto dite.

In fondo l’obiettivo dell’elevator pitch è ottenere la possibilità di “cantare” per il vostro possibile cliente o datore di lavoro: se avrete o meno successo dipenderà poi ovviamente dalle vostre capacità.

Le regole complete  su http://stringcan.com/news-views/bid/223468/4-Things-to-Elevate-Your-Elevator-Pitch

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IED presenta TEDxIED

PC Ied è la prima scuola italiana a ospitare, il 20 settembre a Milano, un incontro TED dedicato al tema della creatività.

TED, acronimo di “Technology Entertainment Design”, è un’organizzazione non-profit che si dedica alle “‘idee che meritano di essere diffuse” (“ideas worth spreading” è il suo claim).

Nella Conferenza annuale di TED (che si svolge in California) le menti più innovative del pianeta sono invitate a raccontare le loro idee in presentazioni di massimo 18 minuti, che vengono poi caricate su ted.com (se non l’avete ancora fatto vale davvero la pena di vederne e ascoltarne qualcuna, alcune hanno anche i sottotitoli in italiano). Hanno fatto una conferenza, tra gli altri, personaggi come  Dave Eggers, Bill Clinton, Al Gore, Bill Gates, Jeff Bezos (fondatore Amazon), Bono Vox, i co-fondatori di Google, Sergey Brin e Larry Page.

Per favorire la diffusione delle idee TED   ha anche lanciato un programma, chiamato TEDx, di eventi locali, che si propongono di riunire persone per condividere un’esperienza simile a quella che si vive con i TED originali.

Il TEDx che si terrà in Ied ha come titolo ‘La creatività è una professione’. In linea con la mission della scuola e con il suo metodo d’insegnamento TEDxIED vuole raccontare come la creatività non solo possa diventare una vera e propria professione, ma quale sia il suo valore strategico per il rilancio dell’economia. Questo ci sembra particolarmente vero in una nazione come l’Italia che ha sempre creato ricchezza attraverso l’eccellenza nella creatività, a partire dalle arti, fino al ruolo che moda e design hanno giocato negli ultimi decenni.

L’evento è aperto al pubblico e a numero chiuso. E’ possibile iscriversi da oggi su http://www.tedxied.com

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Bentornati!

Street Chic

PB  Qualche tempo fa mi diceva Mariella Colavito, severa e generosa funzionaria di Manager Italia, a proposito di lavoro e organizzazione, che le aziende licenziano a luglio e dicembre. Assumono a settembre e gennaio.

Funziona un po’ come il cambio armadi o i buoni propositi dopo le vacanze.

Fine luglio è l’ultima spiaggia per mandare i cappotti in tintoria. Sono lì da marzo, quando avremmo voluto portarli, ma proprio nel momento in cui avevamo deciso, ha fatto così freddo che abbiamo rimandato. Poi ci siamo dimenticati e ora sono lì a ricordarci che se vogliamo affrontare l’autunno come si deve dobbiamo deciderci. Le riviste già ci suggeriscono il nuovo Street Chic, con giacche di lana color cammello da portare su maglie rigate.

A settembre dovremo pur comprare qualcosa che ci faccia sentire nuove, no? Fosse pure solo uno smalto con i colori delle castagne (nei periodi di crisi cala la vendita dell’abbigliamento, aumenta quella dei cosmetici: New look a minimo impatto sul portafoglio).

Le aziende fanno la stessa cosa. Sistemano i loro armadi tra giugno e luglio. A settembre prendono qualche cosa di nuovo.

Bisogna che per quel momento la vostra vetrina sia al massimo dello spolvero. I budget sono limitati, l’acquisto sarà ben calibrato in cerca del miglior prodotto.

Il vostro CV è in ordine? Il vostro profilo su Linkedin? Avete fatto un giro di chiamate ai vostri amici che hanno trovato un impiego interessante per sapere se nelle loro aziende si muove qualcosa che potrebbe fare al caso vostro? Una e mail al vostro prof per chiedergli un consiglio? Spulciato gli sportelli stage per vedere se c’è l’azienda dei vostri sogni che vi sta cercando?

E’ settembre fanciulli! Il vero capodanno (per lo meno in Italia dove agosto è ancora uno spartiacque importante tra il prima e il dopo). Bentornati e buona fortuna! Trampolino cercherà di essere il vostro alleato migliore per fare della vostra, la migliore vetrina.

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