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Italiani penultimi in Europa nella conoscenza dell’inglese

PC Peggio di noi fanno solo i francesi.EF-EPI_2013Rank_Map_512x384px

Nella classifica che l’EPI (English Proficiency Index) ha realizzato con test effettuati su 750.000 adulti provenienti da 60 Paesi nell’arco di tempo di sei anni (2007-2012) l’Italia si posiziona infatti al 32esimo posto dopo Uruguay, Sri Lanka e Russia, penultima tra gli Stati europei (dopo l’Italia c’è solo la Francia).

L’inglese è sicuramente la lingua del marketing e della comunicazione, e, come ha recentemente sottolineato Beppe Severgnini, non serve sapere l’inglese, bisogna saperlo benissimo. Lo hanno sottolineato praticamente tutti i manager che abbiamo intervistato.

Peccato che la scuola italiana ignori in grande misura (per quella che è la mia personale esperienza con mio figlio) questa esigenza, che è comunque strettamente legata  alla crescita economica del paese.
L’indagine completa è disponibile a questo link http://www.englishtown.it/blog/le-prime-60-nazioni-nella-graduatoria-basata-sullindice-di-conoscenza-della-lingua-inglese-di-ef.

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Come usare trovare lavoro grazie al web e in particolare a Twitter

PC Domani 22 ottobre farà tappa all’Università IULM il Monster University Tour, un ciclo di incontri rivolti agli studenti degli atenei italiani per imparare a sfruttare al meglio le possibilità offerte dalla Rete nella ricerca di un’occupazione. L’appuntamento, organizzato dal sito specializzato negli annunci di lavoro e promosso dall’Ufficio Stage & Placement, è aperto a studenti, laureandi e laureati di tutte le Facoltà.

Twitter bio di Hillary Clinton

Twitter bio di Hillary Clinton

Gli esperti di Monster perleranno della ricerca di lavoro su Internet e dell’utilizzo dei siti di recruiting,  ma anche dalla valorizzazione del proprio profilo sui social network e del miglioramento della propria reputazione online.

A questo proposito il Corriere della Sera di sabato ha sottolineato che quasi nessuno sa scrivere correttamente la propria biografia su Twitter, uno dei social network che cominciano (anche da noi) ad essere usati per la ricerca del personale. Il profilo è ovviamente il primo strumento per dire agli altri (e in particolare a chi ci potrebbe selezionare per un colloquio) quello che vogliamo sappiano di noi. Il Corriere stila un vero e proprio decalogo con le indicazioni per rendere i 160 caratteri consentiti davvero efficaci. Ecco le più interessanti per chi cerca di trovare lavoro o di migliorare la propria posizione nel mondo della comunicazione o del marketing:

  • individuare il pubblico: un must comunque e sempre nella comunicazione
  • no inglese a tutti i costi. Scrivere una biografia in inglese, se non lo si usa per twittare, è “puro (e del tutto inutile) snobismo”. Ho controllato: la mia è in inglese, ho sbagliato tutto? dovrò scrivere un tweet in inglese ogni tanto per darmi un tono?
  • evitare le provocazioni, tipo “seguitemi solo se ci riuscite” o “riservato ai più intelligenti”
  • aggiungete guy o girl (ma non si doveva evitare l’inglese?) alla propria qualifica professionale, per risultare meno pomposi. Da evitare però sopra i 50 anni (ho qualche mese di tempo per descrivermi come communication girl…)
  • stilate una serie di parole e aggettivi che vi contradistinguono e abbinateli in modo creativo, consiglio tratto da un divertente articolo sul New York Times, nel quale vengono elencate le twitter bio più di successo, tra cui l’ormai celebre biografia di Hillary Clinton, che con grande autoironia si è definita, tra l’altro, come hair icon, “icona della messa in piega”.

Infine un consiglio del Corriere che non condivido. Il decalogo invita infatti a inserire il link al proprio sito aziendale (se si lavora) o a quello dell’università (se si studia ancora). Personalmente trovo più utile inserire quello al proprio profilo Linkedin o al proprio blog. Infatti se si cerca di cambiare lavoro è possibile che l’azienda dove si è impiegati non esprima esattamente le proprie ambizioni e possibilità.

Per iscriversi all’incontro, in programma dalle 9.30 alle ore 13 nell’Aula 143 (IULM 1, quarto piano), è sufficiente inviare una mail a selezione.stage@iulm.it con nome, cognome e corso di laurea e specificando nell’oggetto “Monster University Tour 2013”.

Trovate il divertente articolo di Marta Serafini apparso sul Corriere della Sera anche sul blog la 27°ora, ma non purtroppo il decalogo.

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Quando dei giovani per lavorare si fanno aiutare da de vecchi

PC Per entrare nel mondo del lavoro serve esperienza pregressa: i due ragazzi di cui vi parlo oggi hanno deciso di crearsela da soli costruendo attorno a Felice De Vecchi –  un patriota milanese dell’800 – e a un suo manoscritto che racconta di un viaggio in oriente, una mostra, una campagna sui social e un sito web, che possano accreditare le loro capacità con un esempio concreto.

Felice De Vecchi

Felice De Vecchi

 

Alice Bitto segue l’evento culturale occupandosi di investimenti, location, reperti, interventi e ovviamente di tutta la trascrizione, studio e ricostruzione del manoscritto ottocentesco, mentre Andrea Fontana, che conosco perché ci dà un aiuto in Iulm, si occupa di tutto quanto è digital.

L’idea davvero originale è quella, nella fase di lancio della mostra, di fingere che Felice De Vecchi avesse a disposizione Facebook e Google + come diario di viaggio, ripercorrendo in chiave moderna le tappe della sua avventura in una forma di story telling sociale.

Trovate il racconto del viaggio di Felice De Vecchi su www.facebook.com/felicedevecchi, oppure su  https://plus.google.com/101900631945839493561/posts

Durante l’avvio della mostra gli sforzi verranno invece concentrati su twitter: verrà attivato un live tweet dove gli utenti dentro e fuori la mostra avranno modo di chiedere informazioni sull’esposizione tweettando nell’hashtag  #giornaledicarovana.

A volte la crisi, come già visto nel post precedente, costringe a individuare delle soluzioni originali per farsi notare, questa mi sembra unisca cultura e innovazione in modo inedito.

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Fare uno stage aiuta a trovare un lavoro: ecco come un’intraprendente americana si è procurata lo stage dei suoi sogni.

Durante l’ultimo convegno Ambrosetti, il ministro dell’Istruzione Carrozza ha definito “intollerabile” che in Italia un giovane arrivi a 25 anni senza aver avuto esperienze di lavoro:  in Italia, infatti,  gli studenti che studiano in parallelo a un lavoro sono solo il 3,7%, il dato più basso in Europa.

Vignetta di Arnald

Vignetta di Arnald

Anche gli studenti (il 96% dei 2.200 ragazzi intervistati via web da Skuola.net)  riterrebbero utile svolgere uno stage in azienda durante il percorso scolastico. Ma il dato più interessante è che dove il binomio studio e lavoro funziona, e lo stagista non si trova semplicemente a fare fotocopie o caffè, la probabilità di trovare un’occupazione aumenta considerevolmente: secondo una ricerca di Almalaurea, almeno del 12%.

Come procurarsi quindi uno stage qualitativo? Puntando sul proprio personal branding e sfruttando tutte le possibilità offerte dall’era digitale. Ce lo dimostra un’industriosa ragazza texana che non ha esitato a creare un blog dedicato al giornale dove desiderava lavorare, riassumendo i motivi in una spiritosa infografica, per poi twittare all’azienda stessa: “The magazine you edit inspired this: Infographic: Future Intern Maps Brand Inspired Pitch http://dearfastcompany.wordpress.com.” La ciliegina sulla torta era una foto photoshoppata che la ritraeva mentre lavorava già nella redazione.

Dopo due ore e mezza è stata contattata, dopo una settimana ha fatto il primo colloquio, e ora, dopo uno stage, è stata assunta.

Grazie a Stefano Del Frate per l’utile e divertente segnalazione che trovate per esteso a

http://www.fastcompany.com/3016968/how-one-industrious-undergrad-tweeted-photoshopped-and-hustled-her-way-into-her-dream-intern

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Dalla moto all’ufficio: due consigli per inserirsi in un nuovo ambiente lavorativo

PC In questi giorni andando in moto sulle Alpi francesi ho fatto due sonori starnuti ed entrambe le volte ho portato la mano davanti al casco, compiendo un gesto inutile, ma per me  talmente automatico da farlo anche quando indosso un casco integrale.sorriso

La cosa mi ha divertito, ma mi ha anche fatto riflettere:  la moto è infatti per me una sorta di yoga durante il quale la mente vaga liberamente, complice il fatto che – essendo un semplice passeggero dietro a mio marito che guida – l’unico impegno che mi viene richiesto è quello di assecondare le curve ed evitare di dare testate al suo casco, quando il cambio di marcia è più strappato del consueto.

Ho quindi riflettuto che ci sono dei gesti che ci vengono talmente inculcati quando siamo piccoli che poi diventano per noi totalmente automatici, e che vorrei che sorridere a chi ci sta parlando, o anche semplicemente a chi incrociamo in corridoio, diventi uno di questi gesti automatici per tutti quelli che iniziano a lavorare.

Un sorriso è infatti un modo di dimostrare disponibilità verso gli altri, che in un giovane si traduce con apertura a imparare, rispetto per le altre persone, socievolezza: in poche parole un bel sorriso vi presenterà come una persona con la quale è piacevole lavorare.

Se state facendo un colloquio di lavoro il sorriso sarà una delle prime cose di voi che il selezionatore noterà: un fatto da non trascurare visto che come Oscar Wilde ha scritto con la solita arguzia“Non c’è mai una seconda occasione per fare una buona impressione la prima volta” (un grazie a Giovanna, la mia tesista che sta lavorando sul tema del Personal Branding, che me lo ha recentemente ricordato).

Nello stesso giro in moto mi è poi successo di salutare con un breve gesto tutti i motociclisti che incrociavamo: un segno di riconoscimento e di appartenenza che solo quando ho iniziato ad andare in moto ho scoperto che praticamente tutti i motociclisti praticano.

All’interno di questa macrocategoria di saluto c’è poi l’abitudine che dalla Francia si è diffusa in tutta Europa di salutare il motociclista che si è appena sorpassato sollevando la gamba destra e allungandola (l’effetto assomiglia parecchio a quella di un cane che fa pipì, tanto che la prima volta che ci è successo, molti anni fa, mio marito e io abbiamo pensato che fosse un gesto di sfregio, come a dire: “Tiè, ti ho sorpassato, lumaca che non sei altro”!).saluto 2

Nel pigro vagare della mia mente, intervallato solo dai frequenti saluti con i motociclisti, ho avuto modo di pensare a quanto sia importante imparare i gesti e i microgesti che aiutano un neoassunto a diventare rapidamente parte del suo nuovo ambiente lavorativo. Ci sarà l’azienda in cui è un rito prendere a una certa ora il caffè, e a quel punto il mio consiglio è di berlo anche se si odia la caffeina o ripiegare sulla bevanda al gusto di latte che qualsiasi macchinetta offre in alternativa. Si scoprirà che nella pausa alla macchinetta del caffè vengono spesso rivelate molte più cose che durante l’intera giornata lavorativa.

Essenziale anche capire a chi si può dare del tu: nelle agenzie di pubblicità in generale si dà del tu subito a tutti, ma in altre realtà è un privilegio che bisogna guadagnarsi. Sarà fondamentale comprendere il più presto possibile come comportarsi per non apparire più a lungo del dovuto dei pesci fuor d’acqua.

In generale, proprio come noi in moto in Francia la prima volta che ci hanno salutati dopo un sorpasso, se siete nuovi in un’azienda osservate cosa fanno gli altri per imparare la cultura di quell’ambiente e cercate di imitarne il comportamento.

E se invece già lavorate, se ne avete voglia, raccontateci quali comportamenti contraddistinguono il vostro ambiente in modo che chi sta entrando ora nel mondo del lavoro possa partire avvantaggiato da qualche consiglio utile.

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INTERVISTA A MICHELANGELO TAGLIAFERRI, SOCIOLOGO E FONDATORE DI ACCADEMIA DELLA COMUNICAZIONE

PC “C’è una persona a un certo punto.

C’è sempre una persona che a un certo punto, magari senza volerlo, dirige la vostra vita, le fa prendere una piega piuttosto che l’altra. Soprattutto quando siamo giovani. Può essere qualcuno di molto vicino, o anche un estraneo. Qualcuno che ci vive sempre accanto o che vediamo una volta sola ma in un modo così intenso che ci lascia il segno. Non si può dire. In ogni caso è una persona che noi chiameremo maestro, anche se di fatto non ci avrà insegnato niente.”  (Paola Mastrocola, Non so niente di te, Einaudi).tagliaferri-300x130

Le parole, lette ieri sera, della mia omonima, insegnante e scrittrice, spiegano molto meglio di quanto io saprei fare il mio debito di riconoscenza con Michelangelo Tagliaferri, che avendomi come alunna all’Istituto Europeo di Design, vista la mia passione per la materia che insegnava – sociologia- mi disse: “tu non puoi non fare l’università.” Gli diedi retta, mi iscrissi in parallelo al corso in Ied anche all’università e mi innamorai della sociologia. La mia passione per lo studio di questa materia mi è stata molto utile per approcciare l’analisi dei target, delle marche e della comunicazione, che sono anche ora il cuore del mio lavoro, e l’approccio universitario mi ha aperto la mente.

Lo incontro dopo quasi trent’anni, con una certa soggezione, a un convegno sull’EXPO2015 (di cui è consulente), dove tiene con nonchalance un intervento metà in francese (il convegno è organizzato dal Consolato Svizzero) e metà in inglese. Ovviamente non si ricorda di me, mentre io lo trovo identico a trent’anni fa. Mi spiega che il trucco è farsi crescere da giovani una folta barba e poi tenerla uguale negli anni. La gente si focalizza su quella e ti trova sempre identico (e anche questo è personal branding!). Gli chiedo di rilasciarmi un’intervista per trampolinodilancio, con pronta gentilezza accetta e mi riceve dopo qualche giorno nella sede di Fondazione Accademia, la fondazione responsabile di quella che prima era Accademia di Comunicazione, una delle più esclusive scuole di comunicazione e marketing d’Italia, da lui fondata l’anno dopo che io finii lo Ied.

Partecipa all’intervista anche un affettuoso cagnone, che avuto la sua dose di coccole gli si accuccia ai piedi.

Gli chiedo innanzitutto di raccontarmi qualcosa di Fondazione Accademia.

Michelangelo Tagliaferri: Chi viene in Fondazione Accademia impara un mestiere, proprio come quando si va in una bottega a vedere come facevano le scarpe una volta.

Io credo che i fondamentali della comunicazione rimangono fondamentali della comunicazione, anche se lavori in rete e usi i supporti digitali. Se vuoi trasgredire devi prima partire dalla conoscenza delle tue capacità vere e imparare le regole.

Fondazione Accademia è a numero chiuso, molto selettiva, offre sia corsi post diploma che master ed è posizionata bene a livello internazionale. Quest’anno nell’annuale e prestigioso concorso internazionale dell’ADeD inglese ben quattro gruppi hanno vinto il primo premio in Advertising e grafica, mentre l’anno scorso siamo stati insigniti dall’Art Director Club di New York del premio internazionale come la migliore scuola italiana di Pubblicità.

Ho intervistato qualche mese fa un vostro studente, Giuseppe Mastromatteo,  che sicuramente ricorderà come vostro brillante studente (e che io ricordo come brillante stagista in Young & Rubicam!)

Giuseppe è un “meraviglioso bandito” che ho molto amato…ma le cucciolate hanno dato molti altri talenti da Caparezza a Menda  o  Volpe o Massimo De Vitiis dei Neri per Caso…

Ai giovani che vogliono lavorare nel marketing o nella comunicazione che consigli possiamo dare?

Sostanzialmente due o tre cose fondamentali. La prima cosa è verificare veramente la loro attitudine. E le competenze per questa attitudine. A costo di martirizzarsi, di lavorare gratis, di stare in giro per il mondo, ma devono capire se la loro attitudine è veramente quella . E in che cosa consiste. Misurarsi nei limiti del possibile con vicende le più variegate, perché il marketing più essere anche “metto un banchetto in strada che nessuno ha mai venduto”. Ma devo sentirla questa cosa.

Quindi per capire qual è la loro attitudine devono sperimentare?

Ma certo. I giovani devono riflettere su di sé, non sui modelli di sé che gli vengono dati. Chiedersi ” cosa sento?  Mi piacerebbe o non mi piacerebbe?”. Io mi sono laureato in Diritto sono stato il primo a Milano a prendere la Laurea in Diritto delle comunità europee perché volevo lavorare in Europa, ma dovevo prima passare dal vaglio del praticantato di legge. Entravo al Tribunale di Milano ogni mattina alle 9 e, mi perdoni il termine, mi veniva da vomitare, e dopo tre mesi ho capito che non era la mia strada.

La mia prima vocazione era fare il sociologo e sono tornato a fare quello. Ho preso la seconda laurea in sociologia, e la mia vita è diventata la sociologia.

Innanzitutto scoprire la propria attitudine, e poi?

Data l’attitudine bisogna capire che cosa serve perché io possa avere le competenze per governare questa attitudine, guardando criticamente le competenze che mi vengono trasferite. Poggiare la propria formazione su scambi di competenze. Voglio che il mio docente mi dica che esperienze ha fatto, e mi deve proprio spiegare non tanto le case history, ma come questa parte teorica che mi sta spiegando l’ha applicata nella pratica della sua vita, cosa ci ha fatto o non ha fatto. Una teoria della prassi. Non fidarsi di nulla che non sia anche nella prassi.

Contemporaneamente però lo studente deve anche possedere una forte capacità di riflessione sulla teoria, quindi studiare. Non devono studiare quelli che scrivono cose che hanno già scritto altri, ma andare alla ricerca di scritti che sono in rete, che non ha mai letto nessuno. La rete è bellissima in questo, è fantastica.

Appendono un gancio in parete e salgono, qualche volta si perdono, a volte no, ma vanno a cercare linee più autentiche di studio. Devono continuare a studiare.

Lo sforzo più grande è identificare il falso dal vero, se loro dovessero commerciare oro o lavorare oro è la prima cosa che gli insegnano. Loro devono riuscire da soli.

In più fare bottega il più possibile, e andare in giro molto, anche a fare il pizzaiolo, non è importante.

La lingua inglese è una lingua franca, che si mettano in testa di imparare l’inglese. E non aver paura di affrontare l’avventura di tre quattro, cinque lingue.

Non aver paura della tecnologia, ma non diventando programmatori. Piegando il più possibile la tecnologia al loro disegno di progetto. Poi si chiamano dei programmatori e se non ci sono i soldi si va in rete, in open,  e sicuramente si trova qualcuno che partecipa al progetto. I giovani devono cavalcare questa cosa: la rete come ausilio dal punto di vista della connessione delle intelligenze, del trovare le risorse.

Infine un po’ di scaltrezza ci vuole, bisogna essere furbi. Ma non prendere le scorciatoie, e non confondere i fini con i mezzi, se devo raggiungere un fine il mezzo dev’essere coerente. Se voglio fare una cosa buona ho bisogno di coerenza ,anche nei mezzi che otterrò per realizzarla.

E poi non aver paura del lavoro, soprattutto se si lavora nel mondo della innovazione e della creatività. Ma in realtà in ogni lavoro c’è un elemento che è tuo; questo elemento che è tuo lo devi veramente amare, se lo ami veramente sei il più bravo a fare quella cosa. Altrimenti ognuno è fungibile,chiunque può prendere il posto di un altro. Invece no, devo fare in modo che il mio valore sia tale che prima di sostituirmi ci devono pensare due volte. Devo essere sempre in grado di dimostrare che sono il migliore della mia categoria, anche degli imbecilli. Ma il migliore della mia categoria! Mi scusi il paradosso.

C’è sicuramente una cosa in cui ciascuno di loro può eccellere.

È nelle lettere di San Paolo, un uomo di marketing eccezionale, quando dice che ogni uomo è diverso ed elenca: uno che è capace di curare, uno è capace di scrivere, uno è capace di parlare, perché ciascuno ha questa sua vocazione e questa attitudine e si deve mettere in ascolto

Se invece ti fai fuorviare dal rumore, non vai lontano. Non si può suonare ad orecchio,  a meno di essere veramente un talento come Pavarotti che cantava senza saper leggere la musica.

Oltre alla Fondazione, dove so che ormai  è coinvolto solo in minima parte, quali sono i progetti più recenti ai quali sta lavorando?

Coordino un apparato di ricerche che si occupa del rapporto tra enti pubblici e il cittadino, piccola cosa ma molto significativa.

Ho fondato insieme ad altri amici un’associazione che si chiama Il comunicatore italiano, associazione che lavora sulla web reputation ed è nata per nascere il sindacato degli specialisti in web. Vediamo troppo spesso che la gente sul web si inventa le notizie, per creare il ricatto. Non sono un bacchettone, ma non puoi dipendere da notizie senza fonti, dati a supporto. Riguarda la politica, ma anche il sistema delle aziende che spesso sono avvilite per un niente.

Una sorta di certificazione?

Sì una certificazione della qualità dei giornalisti e delle fonti: il dato dev’essere inoppugnabile, verificabile poi può essere commentato come si vuole, ma il dato dev’essere il dato.

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