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Come entrare velocemente nel mondo del lavoro? Ecco le facoltà vincenti.

PC Quanto impiega un laureato a trovare lavoro? Dipende dalla facoltà: chi ha studiato Ingegneria Civile trova lavoro dopo circa tre mesi e dopo un primo periodo di precarietà diventa stabile in tre anni. Seguono Economia e Medicina. Più difficile la vita per i laureati in Scienze della Comunicazione, lavorano subito (il 50% ha un lavoro stabile a un anno dalla laurea) per poi perdere tutte le certezze di stabilità dopo tre anni. Qualche difficoltà in più anche per chi si è laureato in Psicologia che stenta a trovare lavoro e quando lo ottiene resta precario nel breve e lungo periodo.

A rivelarlo è l’infografica realizzata dall’Università degli Studi Niccolò Cusano, che illustra i dati relativi al tempo medio che trascorre tra il conseguimento della laurea ed il primo lavoro per gli studenti delle principali facoltà universitarie. Tra i dati raccolti – basati su uno studio condotto da Almalaurea sui laureati nel 2012 – troviamo il profilo del laureato tipo per ciascuna facoltà, il livello di stabilità del lavoro a 1 e 3 anni dalla laurea e gli anni impiegati in media dagli studenti a laurearsi. Il profilo più ricorrente? Donna e precaria, fatta eccezione per Ingegneria Civile con il 75% di laureati che sono di sesso maschile e lavoratori stabili.

Ai vertici della classifica dopo Ingegneria vengono Economia, Medicina e Giurisprudenza, che garantiscono un ingresso quasi immediato nel mondo del lavoro e una relativa stabilità dal terzo anno in poi.

 

 

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Professione Strategic Planner. Ce ne parla Giovanni Lanzarotti Head of planning in Ogilvy & Mather Advertising

PC Per descrivere Giovanni Lanzarotti prenderò a prestito le parole con le quali Marco Lombardi, nel suo libro La creatività in pubblicità, introduce il pezzo che Giovanni ha scritto: ne traspare la stima di Marco per lui e si intuisce che persona intelligente e poliedrica è Giovanni, proprio come io penso debba essere uno strategic planner. “Lanzarotti è uno scrittore mancato di romanzi gialli, che ha iniziato in grande quantità durante gli anni delle scuole elementari, cucina ed è chiamato “chef” dalle sue figlie che lo aiutano ai fornelli, fa il portiere perché gli altri sono più bravi di lui con i piedi e hanno paura delle pallonate in faccia, pedala, amando insolitamente le salite, che non sono adatte alle sue caratteristiche, ma quello che vedi quando scollini vale centinaia di chilometri di pianura e quando riesce scrive e gira cortometraggi.” Di giorno è Head of planning in Ogilvy & Mather Advertising.colline-siena-1

Aggiungo che è una delle persone più simpatiche, autoironiche e divertenti che io conosca, ed è con piacere che gli chiedo un consiglio per chi vuole capire se ha le capacità e le attitudini per diventare strategic planner, perché sono sicura che non ci racconterà delle banalità.

Quali caratteristiche deve avere uno strategic planner?

Credo che la prima dote necessaria sia la capacità di ascoltare. Questo mestiere consiste nel fare incontrare le esigenze e le proposte di un’azienda/marca con i bisogni e le sensibilità delle persone. Se non si sta in ascolto, è impossibile avvicinare le due parti. Bisogna imparare a conoscere la storia e la cultura di una marca, bisogna capire come pensa e si comporta la gente. Ascoltando, senza pregiudizi e con la massima apertura possibile. E’ tutto qui, in fondo. Ascoltare e creare un dialogo tra realtà differenti. E ciò si applica anche al “fronte interno” in termini di processo: qui sono gli obiettivi di marketing che devono idealmente incontrare l’immaginazione creativa.

Un’altra caratteristica fondamentale, penso, è la flessibilità e la capacità di adattamento. Chi fa il planner facilmente si trova a lavorare per multinazionali sempre più strutturate dal punto di vista della dotazione di strumenti strategici formalizzati, che è necessario imparare a padroneggiare e applicare e contemporaneamente per piccole realtà, magari a forte impronta imprenditoriale, in cui la cultura di marketing e comunicazione è spesso poco sviluppata, se non addirittura mal vista (e l’aggettivo “pubblicitario” ha invariabilmente un’accezione negativa).

Terzo, la sintesi, intesa come capacità di riunire in un punto di vista semplice ma allo stesso tempo ricco e illuminante realtà multidimensionali e complesse.

Quarto, la disponibilità a cambiare idea. Anzi no.

C’è una particolare formazione che viene considerata indispensabile in fase di selezione di un giovane strategic planner?

L’esperienza mi dice qualsiasi. Oggi esistono molti corsi universitari che formano figure professionali orientate alla comunicazione: possono essere un buon punto di partenza per una formazione tecnica di base; per motivi biografici (io ho una laurea in Lettere Moderne) tendo a pensare che un orientamento umanistico possa costituire un piccolo vantaggio se non altro in termini di approccio generale allo studio e all’apprendimento a valle del percorso universitario, ma il poco che so l’ho imparato da un economista, quindi…

Quale aggiornamento culturale consigli a chi inizia questo mestiere?

Credo che oggi stiamo vivendo un momento di forte cambiamento in questo settore professionale. Il digitale è sempre più diffuso, ma mi pare che allo sviluppo delle tecnologie e delle tecniche di comunicazione non sia corrisposto un parallelo sviluppo dei modelli interpretativi sul funzionamento di questi nuovi mezzi. In altre parole, la TV perde di importanza come mezzo, ma il suo modello di influenza ancora non è stato sostituito da un “modello digitale”. Come faccio a vendere più detersivo con facebook? Mi pare che in verità non lo sappia nessuno, per via del fatto che i cambiamenti sono frenetici e la casistica limitata, per ovvi motivi. Trionfa l’empirismo, ancora. Dunque studiare e approfondire le conoscenze in questo campo può produrre un vantaggio nel medio periodo.

Accanto e connesso a questo tema, vi è quello dell’analisi: sempre più importante diverrà la capacità di padroneggiare ed estrarre valore dalla immane mole di dati che vengono prodotti quotidianamente.

C’è qualche suggerimento che vorresti dare a chi vuole intraprendere questa professione?

Leggi, cucina, viaggia, vai in bici più che puoi, nuota o corri, o gioca a calcio, studia, vai al cinema, fai delle foto ma non usare Instagram, impara a fare almeno tre cose nuove ogni anno, ascolta la musica, non ti stancare mai di scoprire cose nuove. Non scherzo. Dovrebbe distoglierti da questa insana tendenza. Se proprio non passa, manda un CV. Nel frattempo avrai fatto cose molto utili.

Cosa apprezzi di più in un colloquio a un futuro strategic planner?

Mi piace una ricca e variegata lista di hobby e interessi, oltre che di lingue conosciute. Questo è un mestiere in cui essere curiosi e appassionati è fondamentale.

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Professione pr. Ce ne parla Gianna Paciello founder e vice president di Aida Partners Ogilvy Pr

PC Lunedì sono rimasta molto colpita dall’appassionato appello che Gianna Paciello, founder e vice president di  Aida Partners Ogilvy Pr ha scritto a Youmark, che infatti non a caso ha suscitato un vivo dibattito.adv-vs-pr

“Dove abbiamo sbagliato?’ è il titolo della lettera che ha inviato alla redazione, in cui si chiede come mai le pr siano percepite come una categoria poco qualificata, poco professionale, improvvisata e salottiera, salvo qualche rara eccezione“e attribuisce la principale colpa proprio a chi fa pr ma non ha saputo qualificare la propria professione agli occhi del mercato in questi anni (vi ricordate l’adagio milanese Ofelè va strascià del sò mestè?).

Gianna Paciello prosegue sottolineando che persino le nuove leve che vengono assunte in agenzia a volte hanno la stessa percezione. “Colpa delle scuole che sfornano migliaia di futuri comunicatori all’anno?” si chiede Paciello, “No, è ancora e sempre colpa nostra, perché in quelle scuole insegniamo anche noi.”

Mi è sembrata la persona più giusta a cui chiedere quali caratteristiche deve avere un giovane talento per fare con entusiasmo e competenza un lavoro che può e deve avere un ruolo strategico nella comunicazione contemporanea. Ecco cosa mi ha risposto.

Gianna Paciello: “Sembrerà strano ma quando scelgo una persona, a seguito di un colloquio, quello che colpisce di più la mia attenzione non sono tanto i titoli di studio e i corsi frequentati quanto la passione, la curiosità, la sensibilità e la determinazione.

Ho visto negli anni fallire miseramente persone con una cultura elevatissima, solo perché non avevano il carattere giusto per fare questo lavoro. E ho visto invece crescere persone dotate di una grande sensibilità e forza di volontà che hanno sopperito ad una mancanza di cultura di base con lo studio, l’aggiornamento e la costanza.

Chi fa il comunicatore deve amare guardarsi intorno, interpretare i segnali, avere delle visioni. Deve amare leggere, scrivere, confrontarsi, mettersi nei panni degli altri. Questo ritengo sia un punto fondamentale. Il sapersi mettere nei panni degli altri, che non è altro che l’ essere sensibili, ti permette di ascoltare il cliente, comprenderne i bisogni, adeguarsi al suo modo di relazionarsi con la sua azienda, indirizzarlo verso il cambiamento o il potenziamento delle sue attitudini. Avere una laurea e non avere questa predisposizione, non basta a fare di te un buon comunicatore.

Quindi la formazione è secondaria. Che sia una laurea in cultura umanistica o meno, valgono la voglia di imparare sempre cose nuove, di leggere intorno a sé cosa sta accadendo e perché.

A chi vuole iniziare questo mestiere consiglio di rimboccarsi le maniche e darsi da fare, senza orgoglio e arroganza. Se si impara dal basso, si potrà insegnare. Questo è un lavoro fatto anche di grande operatività e non solo di strategia. Conoscerne tutti gli aspetti aiuta poi tantissimo nella gestione delle risorse che prima o poi dipenderanno da noi.”

Quali aggiornamenti deve prevedere un giovane che inizi oggi questa carriera?

Per quanto riguarda gli aggiornamenti, dipende molto dalla propria specializzazione. Chi si occupa di digital è costretto ad aggiornarsi quotidianamente perché quello che oggi è nuovo, domani è obsoleto. Chi si occupa di media relation deve conoscere un panorama di media che è in costante evoluzione e quindi dovrà aggiornarsi frequentissimamente, parlando con i giornalisti, comprendendone le necessità e le evoluzioni.”

La tecnologia a volte non aiuta questo lavoro. Non si puo’ rendere impersonale un lavoro che è fatto di relazioni. Quindi il suggerimento più forte che posso dare è : usate la tecnologia ma non fate mai sì che questa sostituisca il rapporto umano.

Cosa valuti durante il colloquio d’assunzione in un giovane?

Cosa apprezzo di più in un colloquio? Sicuramente la passione che l’intervistato riesce a trasmettermi. Passione per questo lavoro ma anche per la vita. Altrimenti questo non è il lavoro giusto.”

Ci auguriamo che queste appassionate parole consentano a molti giovani di capire meglio se le pr sono la professione giusta per loro e ringraziamo Gianna per il tempo che ci ha così gentilmente dedicato.

(Prometto che a giorni pubblicheremo anche l’approfondimento sulla professione strategic planner, come preannunciato. Stay tuned).

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PROFESSIONE COPY WRITER. CE NE PARLA MARCO CALAPRICE, SOCIO FONDATORE DI SUNNY MILANO

PC Incontro Marco Calaprice nell’incredibile villa viscontea  che ospita Sunny Milano, l’agenzia che ha aperto insieme ad Antonio Cirenza, con il quale ha creato molte campagne di successo ed è stato direttore creativo di Armando Testa.copy writer

Nel silenziosissimo cortile acciottolato della villa, Milano sembra davvero, come promette il nome dell’agenzia, un soleggiato posto dove lavorare piacevolmente tra un filare di kiwi e un loggiato quattrocentesco.

Sarà il contesto, o saranno gli anni passati da quando lavoravamo insieme su Mulino Bianco in Young & Rubicam (diciassette!) ma Marco, già bravo ad affrontare con flemmatica sopportazione i ritmi folli delle multinazionali, ora mi sembra aver davvero trovato la sua dimensione. Approfitto quindi per chiedergli dei saggi consigli da dare ai giovani talenti che vogliono capire se hanno le caratteristiche per fare il copy writer, mestiere che ha avuto modo di svolgere in molte agenzie, come Lintas, Tbwa, Young & Rubicam e Armando Testa.

Trampolinodilancio: quali caratteristiche deve avere un copy writer? Deve possedere un particolare talento o una specifica attitudine?

Marco Calaprice: Il lavoro di un copywriter si può riassume in due parole: pensiero e scrittura.

La fase del pensiero è strettamente legata alle attitudini e alla forma mentis del singolo.

Un copywriter deve essere, per indole, una persona propensa a stimolare atteggiamenti costruttivi, scambi comunicativi, avere un carattere incline a trovare soluzioni. Senza queste qualità è inutile affrontare questa professione.

Diverso è il discorso sulla scrittura. Al contrario del giornalista e dello scrittore, il copywriter non ha un pubblico, ne ha infiniti.

Può capitare di scrivere titoli indirizzati a giovani manager che cercano una nuova auto e depliant per nonne interessate a diete iposodiche, annunci per rockettari appassionati di strumenti musicali e bodycopy per bambini che amano collezionare le figurine degli animali.

Bisogna lavorare molto su stile e tono e affinare la propria ecletticità.

Cè una particolare formazione che viene considerata indispensabile in fase di selezione di un giovane copy writer?

E’ difficile rispondere a questa domanda perché ogni direttore creativo ha criteri di valutazione personale; c’è chi preferisce un laureato in lettere e chi uno studente che ha frequentato un corso specialistico.

Senza contare che le agenzie hanno esigenze molto differenti una dall’altra. Un conto è cercare un giovane copywriter che lavori su un cliente internazionale che si occupa di abbigliamento, un altro è trovarne uno che scriva i bugiardini dei medicinali. Comunque sia, è importante conoscere lingue straniere e avere un minimo di conoscenza delle tecniche di scrittura.

Quale aggiornamento culturale consigli a chi inizia questo mestiere?

Il digitale sta cambiando la scrittura e la fruizione di essa. Sarebbe un errore snobbare e non studiare i linguaggi che si utilizzano nei blog e nei social media.

C’è qualche suggerimento che vorresti dare a chi vuole intraprendere questa professione?

Fate tanta pratica. Entrare nel mondo del lavoro è difficilissimo quindi ogni occasione, ogni colloquio è una chance da affrontare preparati.

Inventate annunci, riformulate titoli di campagne uscite, scrivete soggetti radio per prodotti inventati o esistenti. Dimostrate ciò che sapete fare e, soprattutto, che davvero lo volete fare.

Cosa apprezzi di più in un colloquio a un futuro copy writer?

Originalità, amore per la scrittura, modestia, entusiasmo, e non necessariamente in quest’ordine.

Ringrazio Marco e prometto di tornare a primavera per una riunione all’aperto (ma magari anche prima, per la raccolta dei kiwi).

 

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UNA NUOVA RUBRICA SU TRAMPOLINODILANCIO

Nasce una rubrica dedicata alle singole professioni  che si possono svolgere nel mondo del marketing e della comunicazione. Una guida per chi vuole capire quale ruolo si addice meglio alle sue attitudini e capacità. Un modo per aiutare i giovani talenti a indirizzarsi su una delle tante professioni all’interno del settore.dax_megafono

Per avere delle indicazioni aggiornate e quindi davvero utili nell’attuale contesto abbiamo preferito non affidarci a testi esistenti, ma intervistare personaggi che svolgono quel ruolo con successo e che si sono trovati a selezionare giovani per quella posizione.

Inauguriamo domani la rubrica iniziando con la professione di copy writer di cui ci parlerà Marco Calaprice, che ha lavorato come tale per più di 20 anni in alcune tra le principali agenzie di pubblicità e ha avuto modo di formare futuri talenti in veste di direttore creativo di Armando Testa.

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