PC Il direttore di A, Maria Latella, scrive nel suo editoriale che ai giovani talenti serve spesso di più un lavoretto estivo, come cameriere o muratore, che uno stage, e tira le orecchie ai genitori con ansie da prestazione nei confronti dei figli.
Un suggerimento che mi sento come formatrice e selezionatrice di talenti di condividere in pieno, anche se come genitore, invece, mi rendo conto che molto spesso indirizziamo i nostri figli verso scelte che speriamo possano potenziare i loro talenti, più che fornire un’esperienza di vita. Ci hanno spiegato che dobbiamo riconoscere i loro doni e fare del nostro meglio perché li sviluppino, in modo da rinforzare la loro autostima, ma il rischio è di crescere una generazione incapace di accettare il fallimento. Non solo: ho trovato un interessante articolo che dimostra come il modello di overachievement che imponiamo ai nostri giovani talenti può addirittura influenzare negativamente la loro carriera (5 Mistakes That Cause Overachievers To Fail, Jennifer Gresham). Ne riporto i punti che ritengo più interessanti.
1. Bisogno di piacere
Abituati a sentirsi dire quanto valgono e quanto sono intelligenti, i giovani talenti sono spaventati nell’affrontare le sfide che implicano anche una remota possibilità di fallimento. Non solo hanno una reputazione da mantenere, ma sono letteralmente drogati di apprezzamento, affetto e ammirazione. Spesso confondono i simboli esteriori di successo – come ricchezza, potere e fama – con l’autorealizzazione e la felicità, e orientano la loro carriera per ottenere l’approvazione degli altri, invece che in base alle proprie aspirazioni più profonde.
Nel mio caso non posso certo criticare i miei genitori per aver lusingato eccessivamente le mie ambizioni: mia mamma ha sempre avuto un approccio teutonico all’educazione, e alla fine di ogni ciclo scolastico mi diceva di non illudermi che anche il successivo andasse bene, perché sarebbe stato sicuramente molto più difficile.
Malgrado ciò per anni ho avuto grossissime difficoltà a fare scelte che temevo potessero diminuire la mia “popolarità”. Un mio capo, Briano Olivares, ora direttore generale in Ferrero, mi ricordava sempre che “non si può piacere a tutti” e mi ha insegnato che spesso, anche nel lavoro di tutti i giorni, bisogna rinunciare alla diplomazia e al rassicurante piacere di essere amati e apprezzati, per prendere decisioni impopolari ma necessarie.
2. Paura di fallire
Legata al bisogno di piacere c’è spesso la paura di fallire, che porta a evitare di assumere rischi nelle proprie scelte lavorative.
I perfezionisti spesso accettano solo i lavori nei quali sono sicuri che potranno dimostrare le loro doti, e facendo così rinunciano a molte opportunità di carriera. Un vero successo nasce sempre da un’infinita serie di errori, che solo chi si mette in gioco compie.
3. Incapacità di fare un passo indietro
A volte per progredire verso la vera destinazione che ci darà successo e felicità è necessario fare un passo indietro, o di lato, come il cavallo degli scacchi, anche se questo può essere particolarmente difficile per i giovani talenti, abituati a un’immagine di vincenti.
4. Troppa impazienza
Il vero rischio di chi è intelligente e ha talento è di essere troppo impaziente. Abituati a ottenere facilmente il successo, i giovani talenti si arrendono troppo presto di fronte alle vere sfide e non capiscono che molti progetti richiedono tempo e pazienza. Bisogna imparare che il problema non è tanto se qualcosa si può fare, ma quanto tempo e quanta energia saranno necessari per portare a termine il compito.
Ho eliminato il quinto punto (troppe opportunità) che purtroppo non mi sembra particolarmente indicato all’attuale situazione del lavoro in Italia, ma mi piace molto, invece, come Jennifer conclude il suo articolo: con un invito a ricordare che la persona alla quale dovete piacere siete voi stessi. Se non vi aprite ai cambiamenti e alle sfide non proverete mai la soddisfazione di riuscire veramente. Se lo farete sarete più felici e l’unica persona che dovrete ringraziare sarete voi stessi.
E a volta la sfida può essere accettare un lavoro estivo come cameriere, dove il primo della classe si ritrova ad essere l’ultimo arrivato.
Cara Paola, la mia mamma era teutonica quanto la tua.
Le due frasi suddette mi hanno perseguitato per decenni :
#1. è solo parte del tuo dovere
#2. potresti fare meglio
(nel caso di un bel 10 valeva la #1, nel caso di un misero 9 valeva la #2, se il voto era sotto il 6 non posso riportare la frase, è un sito pubblico – poi vi censurano !).
Sicuramente mi ha cresciuto senza paura del fallimento (voti sotto il 6 ne ho presi una valanga e non sono morta, nè mi ha cancellato dall’albero generalogico) ma a volte avrei davvero desiderato un complimento sincero, assoluto, che mi facesse sentire in cima all’Everest e non solo sulle colline di Pino Torinese…
Forse in medio stat virtus.
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Ci persone che fanno fatica a esprimere il loro apprezzamento direttamente, ma se guardi nel profondo degli occhi trovi tantissimo amore e anche ammirazione.
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Ciao Paola.
Grazie per il tuo blog, è interessante e utile.
Mi sono ritrovata in particolare nel punto 4, sebbene io non sia né giovane né di talento. Spesso mi è capitato di scalpitare, ritenendo i tempi troppo lenti per i miei gusti.
Poi con l’esperienza e qualche scivolone ho compreso che fare carriera è come fare il panettone: ci sono tempi (di lievitazione) che vanno rispettati con pazienza.
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