Archivi tag: Patrizia Bolzoni blogger

Buon Compleanno Trampolino!

PB Nel marzo del 2012 io e Paola abbiamo inaugurato il nostro Bog.

Venivamo dalla crisi del 2008 (crollo delle borse, crollo dell’occupazione), avevamo figli alle medie e desiderio di dare consigli con leggerezza e profondità (si, pare un ossimoro, ma si può essere concreti e sognatori ad un tempo) ai giovani che si avventuravano nel mondo del lavoro.

Oggi sono passati 10 anni, abbiamo figli al liceo (o alle prime esperienze professionali) e i ragazzi hanno ancora bisogno , tra virus e conflitti, di avere uno sguardo progettuale sul futuro e magari di qualche buona dritta per non scoraggiarsi.

Io e Paola siamo ancora qui. Io sempre a occuparmi di Moda, lei sempre tra Food e Comunicazione.

Così dibattiamo al telefono , tutti i giorni driblando il traffico (io da Milano sud, lei per Milano nord) di Metaverso, di Dark shop, di tendenza alla frugalità e di stagisti super preparati. Di colleghi con crollo nervoso, di capi a volte visionari e a volte no. Parliamo delle lezioni al Master, del fenomeno delle grandi dimissioni (il Big quit americano che sta arrivando anche da noi) ma anche di scarpe (io Mary Jane, Paola stivali: due scuole di pensiero) e pesto genovese.

Con la scusa delle riunioni di redazione, anche quando scrivere diventa difficile (perché non si ha tempo, o voglia, o ispirazione) ci scambiamo pensieri e opinioni, consulenze professionali sottobanco e molto, molto altro.

Non so se Trampolino abbia aiutato i nostri lettori. Ma a noi, amiche per sempre, è servito come scusa , colla, svago, salvagente, motivazione. E’ diventato un pezzo della nostra amicizia. Auguri Trampolino, Buon Compleanno!

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Di quando il lavoro è meglio del collagene

PB Quando mio figlio era piccolo, e facevo cose miracolose come pagare l’abbonamento alla play station multi giocatore o scaricare l’ultimo aggiornamento di Assassin’s Creed, mi chiamava MAMMHACKER.

Presto questo prestigioso soprannome è stato sostituito dal più cinico e spietato BOOMER. L’adorazione dei figli è inversamente proporzionale alla loro statura.

Solo un sortilegio mi salva dal decadere da boomer (e già c’è poco da stare allegri) a reperto archeologico bisognoso del salvavita Beghelli (forse non esiste più, si tratta sicuramente di una citazione boomer): il lavoro.

Lavorare, al di là del non trascurabile dettaglio di fornirci uno stipendio, ci tiene aggiornati nostro malgrado.

I ticket restaurant, che si strappavano dal blocchetto di carta e si capiva subito quando stavano per finire, sono stati sostituiti dalla tessera con il chip. Il badge per timbrare da una app (se ti suda il pollice sei finito), così come l’abbonamento a BikeMi.

Per entrare in mensa si scansiona il green pass, per leggere il menu dobbiamo inquadrare il QR code.

Siamo in grado di fare video call dal traghetto e condividiamo schermi e documenti con un clic. Per fare la nota spese o stampare la busta paga dobbiamo districarci tra identità digitali e piattaforme dedicate. Le riviste erano di carta, poi digitali, poi virtuali, poi di carta ma virtuali, con un sacco di contenuti nuovi che non si sfogliano, ma si inquadrano. La show room si vede in tempo reale dall’altra parte dell’oceano, i libretti di istruzione si trovano on line e si aggiornano senza abbattere un bosco, all’Esselunga ti fai lo scontrino da sola.

Io ho iniziato a lavorare che c’erano i lucidi e il proiettore! I floppy disc e le VHS!

Se qualcuno diceva “sto male”, pensavi stesse male, non che fosse estremamente divertito.

C’erano le segretarie che ti cambiavano le lire in franchi se andavi a Parigi e i capi non leggevano le e mail ma se le facevano stampare (la carta faceva status).

Oggi anche l’amministratore delegato si fa il check-in on line. E google translator non traduce più chicken breast con seno di pollo.

Se poi, oltre a lavorare, hai anche un figlio di 17 anni e collaboratori molto più giovani di te, allora hai fatto Bingo: puoi lanciarti nel mondo degli NTF credendo che sia come avere un Renoir appeso in sala da pranzo, pensare che nel metaverso le cose vadano al vivo come nella vita reale e rinunciare al collagene.

Se talvolta, nei momenti di debolezza, rimpiangi segretamente il blocchetto dei ticket e la mancia in contanti nella bustina del nonno (e anche la segretaria che ti faceva la nota spese, che lusso d’antan) non dirlo a nessuno e applica un po’ di contorno occhi (Chanel, le lift, è meglio di cosmeti.cam ed è anche profumato). Stay tuned

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Amore sulla scrivania: di come il flirt faccia volare il business e il sesso lo affondi

PB Hai presente quando arriva il collega nuovo (figo) al Controllo di Gestione e anche 10 modi per fare l’amore in ufficio senza farsi sgamarela Peppina delle PR (che di solito sfora il budget per principio) mette anche il centro di costo sulle fatture?

Quando in riunione fai il brillante e dici cose intelligentissime (ma come ti è venuta quella genialata?) per fare colpo sulla nuova area manager della Francia?

Quando il tuo capo ti dice che hai una spiccata intelligenza emotiva, ma lo dice con l’occhio birichino, come se l’intelligenza emotiva avesse il pizzo? E allora tu spari una strategia che neanche Finzi+Doxa+Pambianco esaminando big data e fattori socioeconomici avrebbero prodotto?

O quando la più carina della classe è anche un cervello fino e tu studi per fare bella figura all’interrogazione di latino? Chiudi YouTube sulle demo di Assassin’s creed e attacchi con Rosa, rosae?

Bene: qui si tratta di flirt produttivo. Si mescola la lusinga, il divertimento, la seduzione, la battuta sagace. Si sparge quel frizzantino in riunione che fa essere tutti un po’ brillanti e competitivi, ma altruisti (chi si innamorerebbe di uno stronzo che vuole fare carriera a tutti i costi o vuol farti le scarpe?), si pensa – alla domenica sera – come ci si vestirà lunedì, si portano i marron glacé in ufficio quando iniziano le prime nebbie, si saluta sorridendo entrando in ufficio.

Ci si mostra coraggiosi di fronte al pericolo (essendo che nessuno si innamorerebbe di un paraculo o di un vile e che – per dirla con Platone –  non esiste uomo tanto codardo che l’amore non renda coraggioso e trasformi in un eroe), galanti al proiettore (lei finge di non trovare la connessione, lui si inchina a infilare la presa della corrente: le slide partono in tempo, la riunione è un successo) , oratori brevi e efficaci (fino a quando, brontoloni, abuserete della nostra pazienza?).

Insomma, il flirt in Ufficio aumenta il tasso di eleganza, il sorriso, il margine operativo, il buon umore.

Codesto flirt, mai e poi mai si trasformerà in amore, se non a costi pesantissimi per la vostra carriera e per il bilancio aziendale.

Andare a letto con il vostro capo/collega/collaboratore vi metterà sulla bocca di tutti i colleghi. Da quel momento nessun successo sarà per merito vostro: se anche inventate la ruota ormai siete considerate delle shampiste. Quando il tipo si stancherà di voi, o voi di lui, andare in ufficio sarà una pena. Non potrete neanche buttarvi nella carriera per superare le pene d’amore, perché entrambe le pene saranno nello stesso luogo.

L’unica cosa peggiore di fare sesso in ufficio è innamorarsi e sposarsi. Il tutone che fa tanto tenero sul divano di casa, lo porterete in ufficio, trasformando l’eccitante arena di caccia (momento flirt: capello in piega, idee geniali) in un rilassato tinello (capello con la coda, pensiero alle vacanze).

Produttività in discesa, uscita alle diciottozerozero in tandem con il vostro amore per ottimizzare l’uso di un’unica auto. Il vostro capo vi odierà perché prima vi spiava sui tacchi e adesso vi vede con le Birkenstock andare a bere il caffè al piano di sotto, in amministrazione (bleah).

Anche se prima uscivate alle 17 per andare dal parrucchiere o a giocare a squash, oggi sembrerà a tutti che lavoriate meno. I colleghi vi odiano perché volete fare le vacanze con quel Gino (ma non era figo prima di sposarvi?) del Controllo di Gestione e non si riesce mai a turnare le ferie democraticamente.

Il lunedì sarà uno schifo andare in ufficio: si stava così bene a casa a pomiciare. Il vostro capo sarà costretto a trattenersi dal parlare male del Controllo di Gestione (o del Commerciale, o dei Sistemi Informativi, a seconda di chi avrete avuto la malaugurata idea di sposare) e voi sarete passata da stratega emotiva a spia bolscevica.

E questo finché l’amore dura. Perché quando poi quel figo del controllo di gestione si rivelerà da vicino come tutti gli esseri umani (un po’ Gino, hanno ragione i colleghi…), allora sarete una spia bolscevica con i Birkenstock e pure di cattivo umore, mentre tutti intorno a voi stanno filtrando allegramente e fanno una carriera spaziale.

Unica possibilità di fare carriera se in ufficio credete di avere trovato l’Amore Vero: Vi licenziate un nanosecondo dopo essere finiti tra le sue lenzuola. Trovate un altro lavoro brillante (dove filtrare allegramente con i vostri nuovi colleghi) e vivete per sempre felici e contenti.

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Per fare un manager ci vuole un cactus

PB Ho ascoltato recentemente una intervista – su Radio Capital – a Niccolò Branca, autore del libro Per fare un manager ci vuole un fiore.

Precisando che non ho ancora letto il libro (è uscito per Mondadori a fine 2013 e affronta il tema della meditazione e della autoconsapevolezza nella gestione manageriale), che non conosco l’autore (è proprio il presidente delle distillerie Branca, quelle del Fernet), che forse mi sarebbe anche simpatico dato che dice di avere come ideale di manager una persona con la luce negli occhi e che tiene un blog (proprio come me e Paola con Trampolinodilancio), mi preme sottolineare che, spesso, per fare un manager ci vuole un cactus. O una clava, vedete voi.

E per non usare la metafora guerresca (si sente dal tono che ho iniziato il 2014 in trincea? Con un coltello tra i denti? ) che forse è troppo dura, troppo maschile, troppo fuori moda (ma che a volte ci azzecca eccome!) quella dello sport è forse l’area che ancora vedo più vicina alle dinamiche dell’impresa e della managerialità.

Se pensiamo a come si prepara un atleta, molti sono gli elementi che si possono mutuare per gestire la nostra carriera manageriale:

la cura della preparazione: “la preparazione è la metà del successo”  diceva un mio capo. Un tantino esigente, ma aveva ragione: gli imprevisti possono sempre presentarsi, ma non sottovalutiamo le situazioni che dobbiamo affrontare pensando che la nostra capacità di improvvisazione possa sempre farci uscire vincenti. Recentemente mi è capitato che un brillante avvocato abbia compromesso la relazione con un cliente perché, parlando sopra la voce di collaboratori forse meno carismatici ma più preparati, ha dato l’impressione al cliente che lo studio legale non si fosse occupato con la dovuta attenzione del caso in discussione.

la fatica dell’allenamento:  con lo studio, gli esercizi, le prove, la gavetta: d’altra parte se fosse solo divertimento perché dovrebbero pagarci per lavorare? E quale buon lavoro avete in mente (dalle Piramidi, alla Pastiera napoletana) che non sia il frutto di duro lavoro?

l’eccitazione della gara: quando è il tuo momento e le endorfine cancellano tutta la fatica e non fa più male e si dà il meglio di sé. Quando si scende nell’arena si vuole vincere, alla faccia di de Coubertin.

la competizione per il primato: la tensione verso il risultato, la capacità di misurarci e superarci. Il punteggio, la quota di mercato, il fatturato, la notorietà del marchio: i numeri non sono dei nemici, ma i nostri alleati per darci la posizione dei blocchi di partenza e per disegnare l’orizzonte del nostro obiettivo.

la lealtà verso l’avversario: in epoca in cui i bluff sono scoperti, le bolle sono scoppiate, che bello vedersi forti ma leali e trattare i nostri avversari come vorremmo essere noi trattati nella sconfitta. Perché è ben giusto anche partecipare. Alla faccia di de Coubertin

il gusto per la vittoria: e sì, diciamolo, che bello vincere! Non esiste un motivatore migliore del successo per essere spronati a fare sempre meglio! compresa la festa, le foto e i regali. Che professionalmente parlando sono una migliore visibilità, un migliore stipendio, una migliore posizione. Senza arroganza. Ma anche senza falsa modestia.

(nel frattempo ho sbirciato il sito  http://www.branca.it: ci sono un sacco di cose che mi piacciono, dal fatto che esista un museo visitabile al pubblico, al formidabile logo con l’aquila e il mondo: forse non leggo il libro, ma un bicchierino di PUNT E MES  – solo per come si racconta della sua nascita – me lo farei: che aiuti l’autoconsapevolezza? al limite mi solleverà l’umore).

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