Comunicazione interna. Quando il caffè alla macchinetta non è sufficiente

PB Per aziende con meno di cinquecento dipendenti e unica sede, non esistono programmi, procedure, master che superino l’efficacia del caffè alla macchinetta per sapere come si sta muovendo la compagnia.

Quando in buvette si tirano fuori le tazzine di porcellana, è chiaro che in sala riunioni sta iniziando un meeting importante.

Se il tuo collega è vestito come alla prima comunione e esce alle 16 per andare dal dentista, presto avrete bisogno di assumere il suo sostituto.

Se il tuo capo ti offre il caffè, il budget è andato bene. Se si incazza perchè bevi il caffé, il budget è andato male.

Si vedono al piano ragazze bellissime con la chiavetta ospiti: c’è in ballo il casting per lo shooting.

Il product manager gira con il trolley e chiede ai colleghi come impostare l’out of office: l’embargo trasferte è finito.

Ma se i dipendenti superano le mille unità? Se le sedi di lavoro sono più di quattro? Se il covid ha dato spazio allo smart working? La gestione della comunicazione interna deve cadere sul nostro tavolo come una priorità.

A lezione in Università (io e la Simo insegniamo Teoria e tecniche della promozione dell’immagine in Cattolica) insistiamo molto sulla comunicazione integrata e sulla importanza di considerare fornitori e dipendenti come stakeholder di primaria importanza. Sono i nostri ambasciatori più credibili, in grado di moltiplicare i messaggi positivi ma anche quelli negativi della nostra azienda.

Uno degli strumenti più efficaci che mi è capitato di sperimentare è una accurata e puntuale Rassegna Stampa a disposizione di tutti i dipendenti, dalle posizioni apicali dell’headquarter agli apprendisti in sartoria. In Dolce&Gabbana ho visto la migliore della mia carriera, perché non solo dava una visione internazionale di tutte le uscite del marchio, ma forniva quotidianamente link dei più interessanti articoli su moda e competitors. Gli argomenti più importanti diventavano base comune di conoscenza.

Alla mia amica Paola (e coblogger come i lettori di @trampolinodilancio sanno) ho chiesto qualche aneddoto sulla comunicazione interna, di cui si occupa da qualche tempo. Forse l’aver lavorato sia dalla parte dell’agenzia (piccola, agile, snella: comunicazione interna sul taxi correndo dal cliente) che di quella della grande azienda (complessa, a volte complicata, multinazionale, multiculturale) le ha consentito una sguardo molteplice, come quello dei camaleonti . Quando lavorava in Sky attribuiva un valore importante alla customizzazione della caffetteria aziendale in concomitanza con il lancio dei nuovi programmi: ti sembrava di entrare nel BarLume quando i gialli di Malvaldi erano passati dalla carta stampata alla tv, eri circondato dai campioni di calcio in tutta la scenografia all’inizio del campionato. L’effetto era di sviluppare un forte senso di appartenenza e orgoglio soprattutto quando gli ospiti esterni a cui offrivi il caffè (fornitori, consulenti, candidati, giornalisti, ma anche solo tuo figlio che era venuto a portarti le chiavi…) rimanevano ammirati dal gioco di immersione teatrale nell’ultimo prodotto di cui i dipendenti si sentivano in qualche modo artefici.

L’aspetto emotivo, la bellezza che colpisce i sensi, possono fare a volte di più di un piano di incentivazione. I tuoi dipendenti vanno informati e sedotti. Sono, con i tuoi clienti, una parte sostanziale della tua community. Buon caffè.

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One thought on “Comunicazione interna. Quando il caffè alla macchinetta non è sufficiente

  1. […] Il Top Manager nell’era dei Social Media deve cambiare pelle, abbiamo più volte ribadito nei Prolegomeni precedenti. Aggiungiamo adesso che se il centro delle sue responsabilità resta quella di essere il Curatore, per dirla con il linguaggio del management classico, delle risorse umane, tecniche ed economiche dell’organizzazione (come il periodo pandemico ha messo definitivamente in evidenza, cfr. le Conversazioni #peoplecaring), oggi cambia radicalmente il modo di interpretare questo ruolo. La metafora contiana del Curatore che si limita “a offrire un caffè” a dipendenti costretti a vivere nel Mocambo aziendale dominato dall’incomunicabilità, conseguenza del trionfalismo funzionale tipico dello Scientific Management, indica bene un modello gestionale paternalistico ormai superato da tutti i punti di vista (quanti manager conoscete convinti di poter risolvere i problemi di motivazione di una persona liquidandoli con un caffè alla macchinetta?). […]

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