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La ricetta del signor Balocco per i giovani talenti: inglese perfetto e innamorarsi di quello che si studia

PC Alberto Balocco, amministratore delegato dell’azienda fondata dal nonno nel 1927 e imprenditore dell’anno nel settore Food&Beverage, è una di quelle rare persone di successo e potere (gestisce un’azienda da più di 150 milioni di euro che cresce anno su anno) che riesce ad essere così vera, gentile e amichevole che si finisce a parlare di figli e scuola nelle pause prima di una nuova versione di montaggio degli ultimi spot che abbiamo girato.

Alberto Balocco, A.d della Balocco

Alberto Balocco, A.d della Balocco

Scopro così che Alberto condivide con trampolinodilancio la certezza che solo un ottimo livello di inglese possa permettere ai giovani di competere nel nuovo scenario internazionale. Una convinzione che ha potuto verificare di persona dato che ha fortemente sviluppato l’espansione sui mercati esteri da quando ha cominciato a guidare, insieme alla sorella Alessandra, l’azienda che il padre aveva industrializzato nel dopo guerra. Scelta che ha contribuito al grande sviluppo negli ultimi dieci anni: un milione di euro al mese per più di 100 mesi.

Mi racconta infatti che è stato recentemente invitato a parlare agli studenti in un liceo e lì, anche a rischio di risultare impopolare e suscitando la difesa di casta di qualche docente, ha detto chiaramente che alle superiori va bene studiare tutte le materie previste (ma forse anche un po’ meno latino…), ma la priorità deve essere sapere alla perfezione l’inglese (per inciso il fatto che abbia trovato il tempo di andare a parlare in un liceo ha confermando il mio sospetto che abbia la dote dell’ubiquità, maturato vedendolo in meno di un mese apparire nel paesino sperduto dove giravamo gli spot, partecipare in Irlanda alla partenza del Giro d’Italia, di cui Balocco è main sponsor, verificare montaggio ed edit di ogni film a Milano, mentre continua a condurre l’azienda).

Contando sulla sua disponibilità e capacità di agire su più fronti,  ho quindi approfittato per porgli le nostre consuete domande:

Quali caratteristiche deve avere un giovane per entrare in Balocco?

Alberto Balocco: Deve mettere il lavoro ad un livello di priorità molto alta e dev’essere pronto a vivere lo spirito di squadra che da noi si respira un po’ ovunque.

C’è una persona che hai assunto che ti è rimasta impressa perché rappresenta le qualità che deve avere un candidato?

Alberto Balocco: Sicuro, è una ragazza. Ha la capacità di macinare tanti progetti, ha il sorriso anche nei momenti più complicati,  non si arrende mai.

Un consiglio su come affrontare un colloquio di lavoro?

Alberto Balocco: Essere sé stessi, senza bleffare.

In quale settore del marketing ci sono maggiori prospettive di sviluppo per i giovani al momento?

Alberto Balocco: Direi in quello operativo, nelle aziende del largo consumo.

Quale consiglio potresti dare a un giovane che voglia entrare nel mondo del marketing e della comunicazione?

Alberto Balocco: Suggerirei di scegliere una buona università e di innamorarsi della materia

(Sono perfettamente d’accordo su quest’ultimo punto: se non si è innamorati del marketing e della comunicazione già all’università difficilmente si potrà mettere entusiasmo e passione in quello che si farà in seguito).

Per chi fosse curioso di come Alberto Balocco si sia costruito le competenze per guidare l’azienda, contraddicendo il pronostico che vuole che la terza generazione sia quella che sperpera il patrimonio familiare, questo è il suo percorso di studi: si è laureato a pieni voti in Economia e Commercio all’Università degli Studi di Torino e ha conseguito il Master in Organizzazione Aziendale e il Master in Controllo di Gestione presso la S.D.A. Bocconi di Milano. Il tutto bruciando le tappe per affiancare appena possibile il padre in azienda: per esempio facendo il militare mentre frequentava l’università (racconta che arrivare in divisa agli esami produceva comunque un effetto positivo… sarà stata la pistola d’ordinanza?).

 

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INTERVISTA A MICHELANGELO TAGLIAFERRI, SOCIOLOGO E FONDATORE DI ACCADEMIA DELLA COMUNICAZIONE

PC “C’è una persona a un certo punto.

C’è sempre una persona che a un certo punto, magari senza volerlo, dirige la vostra vita, le fa prendere una piega piuttosto che l’altra. Soprattutto quando siamo giovani. Può essere qualcuno di molto vicino, o anche un estraneo. Qualcuno che ci vive sempre accanto o che vediamo una volta sola ma in un modo così intenso che ci lascia il segno. Non si può dire. In ogni caso è una persona che noi chiameremo maestro, anche se di fatto non ci avrà insegnato niente.”  (Paola Mastrocola, Non so niente di te, Einaudi).tagliaferri-300x130

Le parole, lette ieri sera, della mia omonima, insegnante e scrittrice, spiegano molto meglio di quanto io saprei fare il mio debito di riconoscenza con Michelangelo Tagliaferri, che avendomi come alunna all’Istituto Europeo di Design, vista la mia passione per la materia che insegnava – sociologia- mi disse: “tu non puoi non fare l’università.” Gli diedi retta, mi iscrissi in parallelo al corso in Ied anche all’università e mi innamorai della sociologia. La mia passione per lo studio di questa materia mi è stata molto utile per approcciare l’analisi dei target, delle marche e della comunicazione, che sono anche ora il cuore del mio lavoro, e l’approccio universitario mi ha aperto la mente.

Lo incontro dopo quasi trent’anni, con una certa soggezione, a un convegno sull’EXPO2015 (di cui è consulente), dove tiene con nonchalance un intervento metà in francese (il convegno è organizzato dal Consolato Svizzero) e metà in inglese. Ovviamente non si ricorda di me, mentre io lo trovo identico a trent’anni fa. Mi spiega che il trucco è farsi crescere da giovani una folta barba e poi tenerla uguale negli anni. La gente si focalizza su quella e ti trova sempre identico (e anche questo è personal branding!). Gli chiedo di rilasciarmi un’intervista per trampolinodilancio, con pronta gentilezza accetta e mi riceve dopo qualche giorno nella sede di Fondazione Accademia, la fondazione responsabile di quella che prima era Accademia di Comunicazione, una delle più esclusive scuole di comunicazione e marketing d’Italia, da lui fondata l’anno dopo che io finii lo Ied.

Partecipa all’intervista anche un affettuoso cagnone, che avuto la sua dose di coccole gli si accuccia ai piedi.

Gli chiedo innanzitutto di raccontarmi qualcosa di Fondazione Accademia.

Michelangelo Tagliaferri: Chi viene in Fondazione Accademia impara un mestiere, proprio come quando si va in una bottega a vedere come facevano le scarpe una volta.

Io credo che i fondamentali della comunicazione rimangono fondamentali della comunicazione, anche se lavori in rete e usi i supporti digitali. Se vuoi trasgredire devi prima partire dalla conoscenza delle tue capacità vere e imparare le regole.

Fondazione Accademia è a numero chiuso, molto selettiva, offre sia corsi post diploma che master ed è posizionata bene a livello internazionale. Quest’anno nell’annuale e prestigioso concorso internazionale dell’ADeD inglese ben quattro gruppi hanno vinto il primo premio in Advertising e grafica, mentre l’anno scorso siamo stati insigniti dall’Art Director Club di New York del premio internazionale come la migliore scuola italiana di Pubblicità.

Ho intervistato qualche mese fa un vostro studente, Giuseppe Mastromatteo,  che sicuramente ricorderà come vostro brillante studente (e che io ricordo come brillante stagista in Young & Rubicam!)

Giuseppe è un “meraviglioso bandito” che ho molto amato…ma le cucciolate hanno dato molti altri talenti da Caparezza a Menda  o  Volpe o Massimo De Vitiis dei Neri per Caso…

Ai giovani che vogliono lavorare nel marketing o nella comunicazione che consigli possiamo dare?

Sostanzialmente due o tre cose fondamentali. La prima cosa è verificare veramente la loro attitudine. E le competenze per questa attitudine. A costo di martirizzarsi, di lavorare gratis, di stare in giro per il mondo, ma devono capire se la loro attitudine è veramente quella . E in che cosa consiste. Misurarsi nei limiti del possibile con vicende le più variegate, perché il marketing più essere anche “metto un banchetto in strada che nessuno ha mai venduto”. Ma devo sentirla questa cosa.

Quindi per capire qual è la loro attitudine devono sperimentare?

Ma certo. I giovani devono riflettere su di sé, non sui modelli di sé che gli vengono dati. Chiedersi ” cosa sento?  Mi piacerebbe o non mi piacerebbe?”. Io mi sono laureato in Diritto sono stato il primo a Milano a prendere la Laurea in Diritto delle comunità europee perché volevo lavorare in Europa, ma dovevo prima passare dal vaglio del praticantato di legge. Entravo al Tribunale di Milano ogni mattina alle 9 e, mi perdoni il termine, mi veniva da vomitare, e dopo tre mesi ho capito che non era la mia strada.

La mia prima vocazione era fare il sociologo e sono tornato a fare quello. Ho preso la seconda laurea in sociologia, e la mia vita è diventata la sociologia.

Innanzitutto scoprire la propria attitudine, e poi?

Data l’attitudine bisogna capire che cosa serve perché io possa avere le competenze per governare questa attitudine, guardando criticamente le competenze che mi vengono trasferite. Poggiare la propria formazione su scambi di competenze. Voglio che il mio docente mi dica che esperienze ha fatto, e mi deve proprio spiegare non tanto le case history, ma come questa parte teorica che mi sta spiegando l’ha applicata nella pratica della sua vita, cosa ci ha fatto o non ha fatto. Una teoria della prassi. Non fidarsi di nulla che non sia anche nella prassi.

Contemporaneamente però lo studente deve anche possedere una forte capacità di riflessione sulla teoria, quindi studiare. Non devono studiare quelli che scrivono cose che hanno già scritto altri, ma andare alla ricerca di scritti che sono in rete, che non ha mai letto nessuno. La rete è bellissima in questo, è fantastica.

Appendono un gancio in parete e salgono, qualche volta si perdono, a volte no, ma vanno a cercare linee più autentiche di studio. Devono continuare a studiare.

Lo sforzo più grande è identificare il falso dal vero, se loro dovessero commerciare oro o lavorare oro è la prima cosa che gli insegnano. Loro devono riuscire da soli.

In più fare bottega il più possibile, e andare in giro molto, anche a fare il pizzaiolo, non è importante.

La lingua inglese è una lingua franca, che si mettano in testa di imparare l’inglese. E non aver paura di affrontare l’avventura di tre quattro, cinque lingue.

Non aver paura della tecnologia, ma non diventando programmatori. Piegando il più possibile la tecnologia al loro disegno di progetto. Poi si chiamano dei programmatori e se non ci sono i soldi si va in rete, in open,  e sicuramente si trova qualcuno che partecipa al progetto. I giovani devono cavalcare questa cosa: la rete come ausilio dal punto di vista della connessione delle intelligenze, del trovare le risorse.

Infine un po’ di scaltrezza ci vuole, bisogna essere furbi. Ma non prendere le scorciatoie, e non confondere i fini con i mezzi, se devo raggiungere un fine il mezzo dev’essere coerente. Se voglio fare una cosa buona ho bisogno di coerenza ,anche nei mezzi che otterrò per realizzarla.

E poi non aver paura del lavoro, soprattutto se si lavora nel mondo della innovazione e della creatività. Ma in realtà in ogni lavoro c’è un elemento che è tuo; questo elemento che è tuo lo devi veramente amare, se lo ami veramente sei il più bravo a fare quella cosa. Altrimenti ognuno è fungibile,chiunque può prendere il posto di un altro. Invece no, devo fare in modo che il mio valore sia tale che prima di sostituirmi ci devono pensare due volte. Devo essere sempre in grado di dimostrare che sono il migliore della mia categoria, anche degli imbecilli. Ma il migliore della mia categoria! Mi scusi il paradosso.

C’è sicuramente una cosa in cui ciascuno di loro può eccellere.

È nelle lettere di San Paolo, un uomo di marketing eccezionale, quando dice che ogni uomo è diverso ed elenca: uno che è capace di curare, uno è capace di scrivere, uno è capace di parlare, perché ciascuno ha questa sua vocazione e questa attitudine e si deve mettere in ascolto

Se invece ti fai fuorviare dal rumore, non vai lontano. Non si può suonare ad orecchio,  a meno di essere veramente un talento come Pavarotti che cantava senza saper leggere la musica.

Oltre alla Fondazione, dove so che ormai  è coinvolto solo in minima parte, quali sono i progetti più recenti ai quali sta lavorando?

Coordino un apparato di ricerche che si occupa del rapporto tra enti pubblici e il cittadino, piccola cosa ma molto significativa.

Ho fondato insieme ad altri amici un’associazione che si chiama Il comunicatore italiano, associazione che lavora sulla web reputation ed è nata per nascere il sindacato degli specialisti in web. Vediamo troppo spesso che la gente sul web si inventa le notizie, per creare il ricatto. Non sono un bacchettone, ma non puoi dipendere da notizie senza fonti, dati a supporto. Riguarda la politica, ma anche il sistema delle aziende che spesso sono avvilite per un niente.

Una sorta di certificazione?

Sì una certificazione della qualità dei giornalisti e delle fonti: il dato dev’essere inoppugnabile, verificabile poi può essere commentato come si vuole, ma il dato dev’essere il dato.

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