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Quando il genio non esclude l’empatia

PC Sono rimasta molto toccata, come tanti italiani, dalla notizia che Oliviero Toscani ha una malattia incurabile e dalla lucidità e il coraggio con i quali comunica la notizia nell’intervista apparsa qualche giorno fa sul Corriere della Sera. Mi ha poi fatto riflettere – ma non sorpreso – la sua reazione sinceramente stupita all’ondata di affetto che lo ha circondato dopo l’uscita della notizia, che conferma la sua grande e sincera componente umana.

Io sulla sinistra, due colleghi di Y&R in centro e Oliviero Toscani che fa una faccia buffa a destra. Poi, certo, il canguro…

Ho avuto la fortuna di conoscerlo e lavorare con lui per uno scatto fotografico commerciale per la Canguro (scarpe tipo Superga), una campagna che non ha certo lasciato il segno nelle coscienze della collettività e per la quale era probabilmente sprecato. Ma anche in quel caso mi ha colpito la sua capacità empatica di entrare in contatto con le persone più diverse per riuscire a realizzare la foto di cui aveva bisogno. Toscani era già così famoso (per quello lo avevamo scelto) che per qualsiasi modello era un onore solo il poter dire di aver lavorato per lui: ogni sua indicazione era un ordine che veniva immediatamente eseguito. Nel casting, però, c’era anche una bambina di cinque anni, alla quale doveva chiedere di salire nuda su un canguro a misura reale, ricoperto di un pelo apparentemente ispido che ricordava il più possibile l’originale (erano altri tempi, ma non ricordo fosse stato scuoiato un vero canguro per farlo…). La bimba piangeva e si rifiutava di farsi issare sul canguro. Toscani le parlo da solo, la fece ridere, le permise di salire prima insieme ad un altro modello e alla fine riuscì ad ottenere una bellissima immagine di una bambina felice e spensierata.

Per questo, anche se lui afferma nell’intervista che vorrà essere ricordato per il suo impegno, io nel mio piccolo lo ricorderò per la leggerezza e l’empatia che solo le grandi donne e i grandi uomini sono capaci di utilizzare quando è necessario.

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Linkedin: (controverse) istruzioni per l’uso

PB  Caspita, il post di Paola a proposito dell’uso di Linkedin ha creato, intorno al blog, un vero vespaio.

Io e Paola abbiamo passato diverse mezz’ore al telefono, nei nostri viaggi da pendolari con auricolare, o su Skype per scambiarci sensazioni e pareri a proposito dei commenti al post.

Ne abbiamo avuti un paio piuttosto severi, molto critici nei confronti del profilo di Catalina che Trampolino ha giudicato fresco e diretto e che  Matteo e Fabio (due contatti di Paola che lavorano nel Marketing) hanno trovato poco professionale e poco orientato al business.

La critica a mio parere non è del tutto fuori luogo: il profilo di Linkedin è un curriculum vitae, non il palcoscenico per un provino.

Ma è pur vero che per valutare un candidato non tutti i mezzi sono uguali: per uno stilista io guardo il book dei disegni, per una modella il composit, per un Marketing Manager le aziende dove si è formato e i prodotti di cui si è occupato.

Per chi ha un curriculum molto snello alle spalle, cioè per i ragazzi che iniziano a lavorare, è difficile descrivere una carriera (a parte quella scolastica) che sostanzialmente non esiste. Molto meglio allora, tentare di trasmettere in modo efficace la propria personalità.

Il profilo di Catalina, che ama i gatti con il naso rosa, non avrà più senso tra cinque anni, quando potrà mettere nel suo profilo il suo curriculum professionale. La sua creatività e la sua unicità non saranno più solo intuibili dal suo stile, ma dai progetti di comunicazione ai quali avrà lavorato.

Per essere più chiari: è irrilevante che le piaccia il calcio (se avesse amato il tennis non sarebbe stato molto diverso) o i gatti. Si capisce qualche cosa di lei da come lo ha scritto.

Ha parlato direttamente a chi leggeva di lei ( If you are here, that means you want to know about me…so let me sum it up”), creando immediatamente una relazione senza intermediari. E’ stata elegante e musicale nella scelta degli argomenti. Ha trasmesso la sua internazionalità (“I was born in Colombia and lived in Bogotá, Miami, New Jersey, Milan and now Lisbon. I’m 24 years old”) , è stata seduttiva.

Insomma, una buona comunicatrice, non una buona cuoca (nonostante dica di amare il cibo speziato): per una che vuole lavorare nella comunicazione non mi pare male.

Alla fine, quello che salverei della vicenda per rendere più efficace il vostro profilo Linkedin è:

–          siate  sinceri (se in realtà Catalina avesse paura di viaggiare e fosse una introversa che si è fatta scrivere il profilo da un copy, sarebbe un guaio)

–          siate  originali, ma non fate “gli originali” (nessuno ha voglia di stravaganza gratuita, né della stonata sensazione che il vostro stile non sia farina del vostro sacco)

–          ponete l’accento sulla vostra personalità solo fino a che non potrete ancora porre l’accento sui vostri trascorsi professionali: questo profilo sarebbe inadeguato  per un professionista di 35 anni

–          pensate sempre empaticamente a chi volete sedurre professionalmente: uno spiccato senso della comunicazione piacerà a un Direttore Creativo più che a un Primario di Chirurgia: se volete fare la ferrista in sala operatoria puntate su sangue freddo e manualità dato che l’oggetto del vostro lavoro nella maggior parte dei casi starà dormendo e non sarà interessato alla vostra conversazione.

Grazie a Matteo e Fabio per i loro commenti, severi e costruttivi. Approfondiremo l’argomento e verificheremo le nostre opinioni con un paio di addetti ai lavori a cui abbiamo chiesto un parere. Ma voi che ne pensate?

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