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Generosi e curiosi. Quasi magici

Duomo di Ostuni

Duomo di Ostuni (Photo credit: Wikipedia)

PB Ho fatto qualche giorno di vacanza di fine anno in Salento. Che bello!

Al di là di quel paio di rotolini di ciccia che mi sono rimasti attaccati , causa pasticciotti e orecchiette, e degli occhi pieni di Barocco Leccese, mi rimane una riflessione per voi, cari lettori di Trampolino.

Il 31 dicembre siamo andati a Ostuni. Purtroppo per i turisti (e bene per i sereni pugliesi) nel tacco d’Italia, tra le 13 e le 16,30 nulla è aperto. Chiudono le chiese, i musei, i negozi.

Noi siamo arrivati davanti alla Concattedrale alle 13,01. Ne usciva, chiavi in mano, una ragazza che, deposto secchio e straccio, aveva appena finito di lavare il pavimento della chiesa, nell’unica giornata piovosa della nostra vacanza.

Abbiamo, con aria un poco supplice, chiesto se poteva almeno farci sbirciare dalla porta la navata centrale.

La ragazza ha esitato un attimo, poi ha sospirato, poi ha riaperto la porta, poi ha detto “vabbé ripasserò lo straccio”, infine ci ha fatti entrare.

I bambini hanno tolto il cappello ma, aimè, le scarpe erano piuttosto infangate. Si sono accorti che la navata centrale era storta.

Così la fanciulla, che ci guardava un po’ discosta e preoccupata per il suo pavimento non più pulito, ha cominciato a raccontare: l’abside fu ricostruita in un secondo tempo e purtroppo la roccia sottostante non aveva consentito di fare le cose per bene e di mantenere tutto in simmetria.

La leggenda attribuisce però la strana forma alla scelta dell’architetto che aveva voluto riprodurre, nella pianta del tempio, il capo reclinato di Cristo sulla croce.

Ci siamo così ritrovati, fuori tempo massimo, in una chiesa tutta nostra, con una guida gentile che con lo spazzolone in mano ci raccontava di stucchi che sembrano marmi, di rifacimenti settecenteschi, di errori che diventavano leggenda.

La nostra gita ritardataria si è trasformata in poesia.

La signorina che lavava i pavimenti in una generosa padrona di casa.

Ogni situazione può trasformarsi, per l’occhio che trasfigura.

Non si tratta di essere illusi o ingenui o stupidi.

Si tratta di dotarsi di uno sguardo capace di vedere al di là, di intelligere armonie invisibili alla sguardo banale, che non prevede deviazioni.

Siate generosi e appassionati del vostro lavoro, qualunque esso sia. Non siate avari e risparmiosi. Potrete trasformare imperfezioni in poesia, uno spazzolone per lavare i pavimenti in una bacchetta magica.

Vi auguro per il 2014 un occhio capace di trasfigurare, un cuore capace di sbagliare (in eccesso) la misura.

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Il bello di dire SI’

PB  Recentemente mi sono imbattuta in uno di quegli articoli (tipici dei magazine femminili) che spiegano come imparare a dire NO.

Dire NO per ricavare tempo per sé, per fare carriera, per migliorare il proprio lavoro.

Come se il dire troppi SI’ fosse cosa da donnicciole, incapaci di pianificare con virile determinazione la propria carriera.

Eppure io ho sotto il naso esempi di successo professionale di chi forse ha esagerato con i SI’ senza calcolare bene le conseguenze, senza calibrare con cura gli svantaggi e i vantaggi, senza quantificare nel dettaglio le conseguenze. Persone che hanno cambiato il loro ruolo in azienda perché è stato loro riconosciuto un nuovo status dopo che se lo erano già conquistato sul campo (una modellista diventata stilista perché con la scusa della vestibilità aveva creato un modello poi divenuto best seller, un Area Manager diventato Direttore Vendite perché tappava i buchi delle zone scoperte con generosità e efficacia, un Marketing Manager che si è preso anche il Prodotto e poi è diventato Marketing Director a furia di elargire consulenze ai colleghi).

E poi invece vedo molti esempi di frutti avvizziti prima di essere maturati, grazie a tutti i loro NO, alle riserve di fronte ai rischi, alla misurazione dei mai sufficienti vantaggi. Con il risultato di rimanere immobili sulle proprie posizioni, pieni di meticolosa e sterile intelligenza.

Credo che di fronte al rischio (di non vedere riconosciuto il proprio lavoro, di non essere pagati abbastanza, di fare troppo in cambio di poco) sia preferibile abbondare in fiducia che in prudenza.

Anche la natura mi pare segua lo stesso esempio (un sacco di uova perché nasca un pesciolino, un sacco di km nella savana per trovare una valle lussureggiante, un sacco di sbucciature sulle ginocchia per imparare ad andare in bici)

La eccessiva prudenza, il calcolo meticoloso dei punti di forza e dei punti di debolezza di una nuova proposta, spesso hanno un effetto castrante.

Chiedere ad un primo colloquio quando sono le vacanze è agghiacciante. Le vacanze sono sacrosante, ma parlarne al primo incontro è come parlare di alimenti post divorzio al primo appuntamento.

La prudenza è buona cosa nella maturità, quando si ha una carriera da amministrare, non da cominciare. Lasciamo agli esordi tutta la generosità irrazionale del proprio tempo, della propria persona, del proprio sorriso. E fantastichiamo di paesi lontani e incontri straordinari: a dire SI’ spesso i sogni si avverano, anche sogni che non credevamo di potere sognare.

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