PC Chi è lo start upper italiano? In prevalenza è un uomo, giovane – ma non quanto ci si aspetterebbe! – con elevato livello di istruzione e grande passione per l’innovazione. Lo si legge nell’ultima edizione dell’indagine “La voce delle startup” realizzata da Italia Startup, in collaborazione con GRS-Ricerca e Strategia.
L’età media degli start upper è scesa a 40 anni (in calo rispetto alla scorsa rilevazione) e la fascia che va dai 30 ai 39 anni ha registrato un incremento di più del 18%. Oltre il 56% dichiara di aver conseguito una laurea di secondo livello, un post laurea o un master-. Il profilo che emerge è quindi molto simile a quello di alcuni start upper di successo che abbiamo intervistato in questi anni: Alessandro Giua, Fulvio Aniello, Tommaso Magnani, Matteo Sarzana, Matteo Achilli.
La voglia di innovare nel proprio settore è la principale motivazione per aprire una start up. Si tratta quindi molto spesso di persone che hanno già lavorato in un mercato e dall’interno capiscono come si potrebbe migliorare.
Una caratteristica che accomuna gli start upper è la voglia di rischiare, come prevedibile, vista la natura imprenditoriale dell’iniziativa. Questa voglia di mettersi in gioco risulta per metà degli intervistati uno dei punti di forza della propria startup.
Le start up sono in generale strutture piccole, composte da 3/9 impiegati nel 50% delle 300 realtà intervistate e da 1 a 3 dipendenti nel 32%. Operano prevalentemente nel B2B Business-to-Business (50,7%) e nel B2B2C Business-to-Business-to-Consumer (36,1%); solo l’11% dello startup è puramente B2C.
Se non ve la sentite di aprire una start up, cercate almeno di farne parte: per i dipendenti è prevista formazione interna con progetti per un periodo superiore alle 40 ore a dipendente in un terzo delle aziende.
Questo a riconferma che una start up, al di fuori degli stereotipi a cui ci ha abituato il cinema, raramente nasce su iniziativa di un giovanissimo nerd, magari anche un po’ ribelle, ma richiede invece professionalità e attenzione continua alla formazione.
Mentre pubblichiamo Istat segnala finalmente un miglioramento nell’occupazione, anche giovanile. Nel loro piccolo anche le start up possono essere un trampolinodilancio o di rilancio per giovani e meno giovani dotati di spirito di iniziativa e voglia di mettersi in gioco.
Avremo modo di parlarne ancora, e presto scoprirete perché.
Sarebbe interessante approfondire anche i motivi di insuccesso più comuni fra le startup. Sia da freelance che da imprenditore (niente startup per me, una semplice web agency) ho visto più di un progetto affondare o andare alla deriva, e spesso questi mostravano sintomi comuni: mentori inadeguati, elevata propensione al rischio ma scarsa capacità previsionale, selfesteem alle stelle, tra i più comuni sulla lista.
voi cosa ne pensate?
p.s.
ben ritrovate! è un po’ che mancavo da queste parti 🙂
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Grazie del commento che ci dà la possibilità di parlare di un tema sicuramente molto importante. Ne faremo prossimamente un post per cercare di approfondire le motivazioni per cui le startup spesso (in Italia più che nel resto di Europa) falliscono, Per ora mi limito a dirti che condivido in pieno la tua lista: anche le ricerche* dimostrano che nel 42% c’è un disallineamento tra quello che la startup propone e quello che il mercato richiede (con una autostima meno alle stelle questo si può verificare attraverso una ricerca di mercato), nel 29% dei casi manca la liquidità (affidandosi a un innovator hub , invece che a un mentore inadeguato, questo problema può essere in gran parte risolto) e in generale manca la capacità di definire un business model e un piano di marketing (scarsa capacità previsionale).
Grazie anche di essere tornato a seguirci!
* https://s3-us-west-2.amazonaws.com/cbi-content/research-reports/The-20-Reasons-Startups-Fail.pdf
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