PB L’ultimo inserto del Corriere della Sera ( il Sette che ha ispirato il post di Paola sul “fattore S”) è una miniera di preziose gemme. Una fra tutte la famosa citazione di Arbasino a proposito del fatto che in Italia “c’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di brillante promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerabile maestro”.
E a proposito di maestri, mi viene in mente uno degli insegnamenti che più mi sono stati utili , impartitomi dall’allora mio capo in Armani, Ing Fantò.
Lottavamo con passione per il successo di EA7, la linea di abbigliamento dedicato alla sport all’interno dell’offerta Armani. Ma proprio allo sport attivo (roba per andare a sciare o per fare le regate, non per passeggiare in Corso Vittorio Emanuele con look Sankt Moritz o Porto Cervo).
Si combatteva contro fattori di criticità esterna (chi avrebbe mai messo una giacca a vento di Armani per andare a sciare?) e fattori critici di credibilità interna (eravamo parte di una Business Unit nata una quarantina di anni prima per fare preziose cravatte di seta e sciarpe fil coupé: come potevamo essere quelli a cui affidare una linea di abbigliamento tecnico?)
Mentre costruivamo un ufficio prodotto, una rete commerciale, una distribuzione, una filosofia nuova, il mio capo mi faceva pressione su dettagli apparentemente poco importanti, su progetti paralleli a breve termine.
A me pareva di sacrificare energie preziose (di tempo, attenzione, risorse) a scapito del “grande progetto”. Era dunque importante solo per me? O più per me che per lui?
Fu a quel punto che Fantò mi spiegò quanto fosse determinante, per avere la fiducia su un progetto a lungo termine, dare prove di capacità, pillole di successo, anche su progetti temporalmente più vicini, più verificabili sul breve.
Le atmosfere, gli umori in azienda sono mutevoli. Soprattutto in un mondo, quello della moda, dove i manager possono cambiare con il ritmo delle cartelle colore. La delega per agire non ha garanzia di anni (anche per progetti che dovono durare anni e che rispettano il timing!) e la fiducia va mantenuta calda da tappe di avvicinamento che tatticamente servono a confortare la decisione presa.
E’ opportuno creare piccoli Show case di successo per avere la libertà intellettuale e il tempo necessario per agire profondamente su progetti a più ampio respiro.
Rifare completamente il catalogo della linea di Intimo (un progetto grafico a limitato impatto strategico) permise di avere un immediato impatto di comunicazione su chi lavorava alle collezioni: l’approccio parve subito nuovo, dinamico. I prodotti ebbero il tempo di essere rinnovati in un processo di almeno quattro stagioni (dallo stile, al piano taglie, alla commercializzazione), ma gli strumenti di vendita subito rinnovati diedero credibilità alla promessa. David Beckham in slip affisso sui muri della città, oltre a dare il buon umore a chi prendeva il tram ogni mattina per andare a lavorare, ha contribuito incosapevolmente alla realizzazione delle giacche a vento.
A chi comincia una carriera consiglio di lavorare sempre a grandi progetti (la visione strategica è parte del talento di chi lavora nel marketing), senza dimenticare però che i piccoli obiettivi a corollario (non necessariamente connessi) sono uno strumento per raggiungerli e non una dispersione di energie.
Guardare solo al lungo termine è spesso deleterio per mantenere la fiducia di chi ci ha affidato una missione e di chi ci deve seguire sul campo: la riuscita di un progetto (anche piccolo) è la più efficace delle motivazioni.
A me è capitato di mettere al centro della riuscita di una collezione il rispetto del timing perché sapevo che per la prima stagione era l’unico obiettivo che avremmo potuto raggiungere: ma non potevo permettermi una frustrazione di 12 mesi, prima dei quali non avremmo raggiunto obiettivi più importanti.
Sicuramente il mio capo era una brillante promessa (queste cose me le insegnava da Direttore Generale e non aveva compiuto ancora quarant’anni) , posso dire di avere pensato ogni tanto di lui che fosse uno stronzo (chi non lo ha pensato del proprio capo almeno una volta?) ma certo è stato un maestro (sul “venerabile” per il momento soprassiedo, lascio l’esclusiva a Arbasino e aspetto almeno che a Fantò vengano i capelli bianchi)
Cara PB,
non posso che concordare con la maggior parte di quanto hai scritto.
Sono ancora in attesa del grande progetto, di quello a lungo termine, dopo milleuno piccoli progetti nel quale penso (sbagliando?) di aver dimostrato quello che sono capace di fare a 4 GM diversi..
Leggendo il post precedente di PC, sicuramente difetto in qualcuno dei 15 punti elencati; sono anche certa che qualcuno mi consideri STR.. perchè in certi casi effettivamente lo sono stata (felicemente, anche se tu sai che non è nella mia natura).
Siccome anch’io devo quasi tutto quello che so e che sono diventata all’Ing. Fantò (una parte la devo anche a te), sono tranquilla nell’affermare che se tutti i GM fossero STR.. come lui (però con le stesse altre qualità), allora HURRA’ per gli STR..!!
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Cara Giulia, in alcuni momenti non c’è niente di più confortante di una formula che funziona. Il nostro “non ancora venerabile” ce ne ha somministrate alcune che durano nel tempo. Un giorno vi parlerò della teoria del “carotaggio” che ho A-D-O-R-A-T-O. Ma ci vuole un post ad hoc.
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